Vita Chiesa
Papa in Marocco. Mons. López Romero: «Europa, non chiudere il tuo cuore a chi bussa per necessità»
(da Rabat) – Un messaggio ai cristiani e ai musulmani perché si riconoscano sempre più fratelli e lavorino insieme per la pace nel mondo. Un appello all’Europa, soprattutto ai cristiani che vivono nel nostro continente, perché non chiudano i loro cuori alle persone migranti che bussano alla nostra porta. E infine un invito alla Chiesa universale perché esca nelle periferie a servizio dei più poveri e in dialogo con gli altri. Tutto questo è racchiuso nel viaggio che Papa Francesco compirà a Rabat, in Marocco, nei giorni 30 e 31 marzo. Mons. Cristóbal López Romero è l’arcivescovo di Rabat e segue con estrema calma tutta la preparazione dell’evento. Parla di una «collaborazione totale» che la Chiesa cattolica sta ricevendo dalle autorità del Paese, dagli ultimi ritocchi alla cattedrale, alla messa a punto dei luoghi e degli eventi. È una visita fortemente voluta dal Re Mohammed VI che lo ha invitato e che Francesco ha subito accettato. Sarà lui ad accogliere il Papa all’aeroporto. Poi insieme (gli ultimi cinque chilometri sulla papamobile), si recheranno sulla spianata della Torre di Hassan dove ad attendere il Papa ci sarà il popolo del Marocco. Qui ci sarà un discorso molto atteso perché saranno le prime parole che il Papa pronuncerà in terra marocchina. Momento culmine sarà la preghiera silenziosa al Mausoleo dove sono sepolti il padre (Hassan II), il nonno (Mohammed V) e lo zio dell’attuale Re. «Un segno di apprezzamento al popolo marocchino e all’islam», sottolinea l’arcivescovo, «e un passo importante per il dialogo con l’islam. Sono segni che valgono più di mille congressi».
Perché il Papa ha scelto di venire in Marocco?
«Perché è stato invitato e perché lui vuole andare nei Paesi che si trovano in periferia. È stato in Armenia, in Azerbaijan, in Albania, negli Emirati Arabi Uniti e, ora, in Marocco dove i cristiani sono una minoranza. Il Papa chiede alla Chiesa di non essere auto-referenziale o chiusa ma sempre in uscita e presente nelle periferie. Questo viaggio è un esempio di ciò che lui predica. Penso che la spianata della Tour Hassan sia un luogo emblematico e simbolico».
Dopo Abu Dhabi, il Marocco, un paese a maggioranza islamica. Perché secondo lei il Papa è cosi interessato a entrare in dialogo con l’islam?
«Si contano nel mondo 3 miliardi di musulmani e cristiani. Quasi la metà dell’umanità. Penso che se riusciamo a mettere d’accordo musulmani e cristiani per fare la pace, per costruire un mondo nuovo, più giusto e più fraterno, l’umanità farebbe un passo in avanti incalcolabile. Siamo religioni monoteiste, crediamo nell’unico Dio Onnipotente e Misericordioso. Non possiamo essere un problema. Dobbiamo essere parte della soluzione del problema. Non possiamo continuare ad essere avversari, meno ancora nemici. Dobbiamo essere amici e fratelli e lavorare insieme per la pace, la giustizia, per l’amore».
Una visita che arriva in un momento delicato, scosso dal terribile attentato in Nuova Zelanda. Il Papa verrà qui e si presenterà come amico dei musulmani. Quanto sarà importante questo messaggio oggi per il mondo?
«Questo attentato è stato terribile ma proprio per questo, credo che sia più importante ancora dare al mondo dei segni contrari: segni di amicizia, di pace, di fraternità. Dobbiamo far vedere che non è vero che l’islam è terrorismo e non è vero che i cristiani sono contro i musulmani. Ma siamo tutti a favore sempre della pace e dell’amore. Penso che queste tragedie diano più importanza a questo momento della visita del Papa in Marocco».
L’incontro con i migranti. È l’altro grande momento che caratterizzerà questo viaggio.
«Il Marocco è un Paese punto di arrivo, di uscita e di passaggio. A riguardo dei migranti noi vogliamo essere in questo Paese la Chiesa del Buon Samaritano. Una Chiesa che vede una persona ferita, in necessità e gli va incontro senza domandare chi è, perché si trova in quella situazione, da dove viene o dove vuole andare. Noi vediamo una persona: un minore non accompagnato, una donna incinta, un ammalato, un senza permesso di soggiorno. Non sono migranti. Sono persone che migrano. Hanno diritti umani. Sono figli di Dio. Sono i nostri fratelli. La nostra Chiesa vuole essere come il Buon Samaritano. Sono convinto però che se vogliamo dare alla questione migrazione una soluzione, il mondo deve cambiare radicalmente. Devono cambiare le leggi del commercio internazionale, le relazioni tra Paesi ricchi e Paesi poveri, l’economia. Occorre una grande rivoluzione perché ogni persona possa restare nel suo Paese o migrare ma farlo sempre in condizioni degne».
In Italia abbiamo da poco vissuto l’ennesimo caso dei porti chiusi. Che messaggio all’Europa, secondo lei, può arrivare in questi giorni dal Marocco?
«Per me è un peccato che le porte e le frontiere si chiudano ma è ancora più un peccato che i cuori siano chiusi e che i cuori dei cristiani non siano aperti ai fratelli e alle sorelle in necessità che arrivano. So che c’è un problema politico, sociale, economico e che non è semplice trovare una soluzione. Ma non possiamo chiudere i nostri cuori. Non possiamo lasciare da parte la Misericordia. Non possiamo chiudere gli occhi per non vedere i nostri fratelli che passano delle difficoltà. Vorrei chiedere ai miei fratelli cristiani e a tutte le persone di buona volontà dell’Europa di restare con il cuore aperto e di avere uno sguardo positivo verso queste persone. Non possiamo chiudere il nostro cuore e se a chiudere i cuori sono i cristiani è doloroso».
L’opinione pubblica italiana è molto divisa anche sui soccorsi in mare. Lei come vede da qui questo dibattito?
«Questi atteggiamenti mi rattristiscono. Così come le autorità che prendono queste decisioni sia a riguardo delle frontiere sia a riguardo delle navi che soccorrono le persone in mare. Capisco e comprendo che ci sono difficoltà. Che quello che fai o non fai ha delle conseguenze. Ma non si può lasciare che dei nostri fratelli muoiano nel mare. Non possiamo lasciare che dei nostri fratelli muoiano nel deserto. Non possiamo lasciare che dei nostri fratelli cadano nelle mani delle mafie. Non è facile lottare contro la criminalità ma è triste che si criminalizza quelli che fanno il bene. Ho vergogna della mia Europa».
Che Marocco vorrebbe vedere dopo Papa Francesco? Quale il suo augurio?
«Spero che il Papa ci riempia di speranza e faccia bruciare i cuori nel fuoco dell’amore. Mi aspetto che il Papa ci confermi nella nostra fede e nel nostro percorso che come Chiesa stiamo facendo in Marocco. Che ci dica: andate avanti con coraggio».
Il programma aggiornato del viaggio in Marocco
Il Pontefice partirà, sabato 30 marzo, alle 10.45, da Roma-Fiumicino per Rabat. Dopo l’arrivo all’aeroporto internazionale, previsto per le 14, i primi appuntamenti in programma sono la cerimonia di benvenuto e la visita di cortesia al re Mohammed VI nel Palazzo reale. Alle 15.30 l’incontro con il popolo marocchino, con le autorità, con la società civile e con il corpo diplomatico, sulla spianata della Moschea Hassan II, luogo dove il Papa terrà il suo primo discorso. Il programma della giornata prevede anche la visita al Mausoleo Mohammed V, la visita all’Istituto Mohammed VI e, alle 18, l’incontro con i migranti nella sede della Caritas diocesana, a cui Francesco rivolgerà un saluto.
Nella giornata del 31 marzo, il primo appuntamento previsto, alle 9.30, è la visita privata al centro rurale per i servizi sociali di Témara, seguita alle 10.35 dall’incontro con i sacerdoti, i religiosi, i consacrati e il Consiglio ecumenico delle Chiese nella cattedrale di Rabat, luogo del secondo discorso del Papa, cui seguirà l’Angelus. Dopo il pranzo, sarà celebrata la Messa, alle 14.45, nel complesso sportivo Principe Moulay Abdellah. L’ultimo appuntamento è la cerimonia di congedo all’aeroporto internazionale di Rabat/Salé, alle 17.15. L’arrivo è previsto all’aeroporto di Roma-Ciampino, alle 21.30.