Vita Chiesa
Giornata Pro Orantibus 2018. Suor Fragasso: «I monasteri si aprano e collaborino tra loro»
«Un’occasione di attenzione e di aiuto per le suore di clausura di tutto il mondo». È la definizione della Giornata Pro Orantibus nelle parole di suor Giuseppina Fragasso, vicepresidente del Segretariato assistenza monache, che in occasione della Giornata istituita da Pio XII nel 1953 ha organizzato a Roma un convegno di approfondimento della costituzione apostolica «Vultum Dei Quaerere» e dell’istruzione applicativa «Cor Orans».
Come è nato il Segretariato?
«Dopo la Seconda guerra mondiale, Papa Pacelli inviò questionari a tutti i monasteri per capire le condizioni in cui versavano a conclusione del conflitto. Quando ebbe le risposte, consegnò il materiale al carmelitano padre Isidoro di sant’Elia che fece sintesi. Si capì allora che le monache avevano tanti bisogni ma, sopratutto, desideravano sentirsi sostenute dalla Chiesa. La Santa Sede convocò a Roma i superiori dei diversi Ordini religiosi per capire cosa si potesse fare. Nacque così il Segretariato assistenza monache. Tra le diverse iniziative, vide anche la luce una struttura di assistenza sanitaria per le monache. Si volle creare a Roma un punto d’appoggio per le monache che avevano bisogno di visite mediche o interventi chirurgici. È Villa Nostra Signora della Meditazione, dove sono ospitate le suore bisognose di cure. Era previsto il soggiorno per un tempo definito, per non far perdere l’identità di monache di clausura e permettere il ritorno nelle comunità. La Villa è stata costruita come un piccolo monastero, perfino con le grate. Padre Isidoro fondò anche un piccolo gruppo di donne consacrate, che ha resistito fino al 2010: le Sorelle di Santa Margherita Redi. Queste donne hanno servito le monache bisognose fino a quando sono state sostituite per ragioni di età e di salute. Da allora c’è una comunità di suore messicane, della stessa spiritualità carmelitana, che si prende cura delle monache ospiti».
Che lavoro svolge il Segretariato?
«Aiutiamo situazioni difficili di monache o monasteri in Italia e all’estero. Abbiamo istituito anche un fondo a disposizione dei monasteri, che ogni anno alimentiamo con i ricavi dei biglietti per il Natale e la Pasqua che stampiamo e che solitamente le Congregazioni acquistano per spirito di solidarietà, malgrado le novità tecnologiche e le difficoltà economiche».
Ma i monasteri riescono a fronteggiare da soli le difficoltà?
«Ci sono monasteri che hanno avuto il coraggio di aggiornarsi e di aprirsi a ciò che la Chiesa incoraggia da anni. Monasteri che periodicamente promuovono l’ascolto in parlatorio, le catechesi e le lectio divine. Ma ci sono luci e ombre. Monasteri che si sono rinnovati, avviando ad esempio attività di artigianato per la sussistenza, e puntando sulla qualità anche nelle pubblicazioni o nelle riviste».
Si fatica ad instaurare percorsi di collaborazione?
«In Romania c’era un monastero di Benedettine che, essendo diminuite, hanno deciso di occupare solo una parte della struttura cedendo la restante ai Francescani. Ci sono esempi encomiabili di collaborazione, ma è faticoso. C’è il caso delle Cappuccine del Santissimo Sacramento che si sono trasferite dalle Marche a Trento, perché erano rimaste isolate. Hanno avuto il coraggio e il discernimento comunitario di ravvivarsi. Si è scelto insieme. Talvolta, invece, prevalgono le abitudini consolidatesi nel tempo».
E anche i monasteri invecchiano…
«Nelle comunità più anziane, tante suore sono entrate e hanno vissuto soltanto la clausura e il lavoro. Ora che l’età è avanzata, si sentono avvilite. Per questo è importante che i monasteri coltivino i propri membri, quando ciò avviene si coglie uno spirito vivo e promettente».
Anche recentemente, Papa Francesco ha sollecitato una maggiore «presenza femminile nei diversi campi di responsabilità della vita della Chiesa». A che punto è il percorso?
«C’è già qualche spiraglio, ma c’è tanto da fare. I monasteri che, oltre alla dimensione contemplativa e monastica, scelgono di accogliere ed evangelizzare si ravvivano essi stessi. E le donne possono esprimersi ancora di più nella Chiesa. Penso alle Clarisse di Bisceglie, in Puglia, dove era rimasta una sola monaca giovane con tante anziane. Ha avuto la forza e la generosità di accompagnare le sorelle finché il Signore le ha chiamate, ma con la sua apertura ha già accolto alcune giovani. E oggi il monastero si è rinnovato».
Che accoglienza hanno trovato finora «Vultum Dei Quaerere» e «Cor Orans»?
«Vultum Dei Quaerere è più spirituale. Cor Orans, invece, è un puzzle. Alcuni elementi della Verbi Sponsa non sono stati toccati, dunque sono rimasti confermati. Altri, invece, sono stati aggiornati. Ci vuole tempo per essere assimilati. I monasteri che hanno camminato con la Chiesa, sono già pronti ad accoglierli. Chi non si è mosso, invece, li può vivere come un attacco alle forme tradizionali che però non hanno più nulla di contemplativo e di entusiasmante».