Vita Chiesa

«Humanae Vitae»: compie oggi 50 anni l’enciclica di Paolo VI

Il testo è composto da tre capitoli e contiene un appello finale. Dopo una premessa sul «gravissimo dovere di trasmettere la vita umana», per il quale «gli sposi sono liberi e responsabili collaboratori di Dio creatore», il Pontefice lo ha sviluppato nel primo capitolo dedicato agli «aspetti nuovi del problema e alla competenza del ministero», seguito da altri due capitoli sui «principi dottrinali» e sulle «direttive pastorali». Il documento ribadisce la connessione inscindibile tra il significato unitivo e quello procreativo dell’atto coniugale; dichiara anche l’illiceità di alcuni metodi per la regolazione della natalità (aborto, sterilizzazione, contraccezione) e approva quelli basati sul riconoscimento della fertilità. Nei 31 paragrafi che compongono il testo vengono indicate «le caratteristiche dell’amore coniugale», della «paternità responsabile», il rispetto della «natura e della finalità dell’atto matrimoniale». Poi, nel secondo capitolo, l’attenzione si focalizza sulle «Vie illecite per la regolazione della natalità» e sulla «liceità dei mezzi terapeutici» e del «ricorso ai periodi infecondi». Nel terzo capitolo, una serie di appelli rivolti ai «pubblici poteri», agli «uomini di scienza», agli «sposi cristiani», ai «medici e al personale sanitario», ai «sacerdoti» e ai «vescovi». Infine, l’appello ai «venerati fratelli, dilettissimi figli, e a voi tutti, uomini di buona volontà» sulla «grande opera di educazione, di progresso e di amore alla quale vi chiamiamo».

«Quando l’enciclica fu resa nota, la reazione dell’opinione pubblica non fu favorevole. Critiche e rilievi vennero anche dall’interno della Chiesa», ricorda al Sir mons. Marcello Semeraro, vescovo di Albano e segretario del Consiglio dei cardinali. Dopo aver citato una confidenza fatta dal Pontefice a un amico, Jean Guitton («Nell’amore non c’è solo l’amore. Vogliamo dire che nell’amore dell’uomo è racchiuso l’amore divino. Per questo il legame tra amore e fecondità è un rapporto così armonioso e segreto»), il vescovo sottolinea come «delle difficoltà riguardo all’accoglienza dell’enciclica Paolo VI fu da sempre ben consapevole, così come lo era dell’ineludibilità del suo dovere di proclamare la dottrina cristiana». Eppure il Papa «rimaneva fiducioso che il suo documento ‘quasi per virtù propria, per la sua umana verità’, sarebbe stato alla fine bene accolto, nonostante la diversità di opinioni largamente diffusa e anche nonostante la difficoltà insita nella via tracciata per chi la volesse fedelmente percorrere. In realtà ciò non avvenne».

Ricordando il contesto in cui nacque, «quel 1968 in cui giungeva al suo apice l’utopia della ‘liberazione sessuale’», l’enciclica di Paolo VI era «inevitabilmente anacronistica». «Considerata praticamente irricevibile nel contesto occidentale, l’enciclica ebbe al contrario un’accoglienza sostanzialmente positiva nei Paesi del Terzo Mondo e, in particolare, in America Latina». Così mons. Semeraro segnala che «a distanza di cinquant’anni dalla sua pubblicazione, siamo ancora posti davanti a quello che potrebbe essere ritenuto il suo punto nodale. Lo troviamo nel n. 9 dell’enciclica, dove Paolo VI evidenzia le note e le esigenze caratteristiche dell’amore coniugale». Si tratta di un amore «pienamente umano», «totale, ossia una forma tutta speciale di amicizia personale», «fedele ed esclusivo» e «fecondo».