Vita Chiesa

Chiesa e comunicazione: Rivoltella, «senza i media il Messaggio rimane inaccessibile all’uomo»

«La transizione dall’oralità alla scrittura, ovvero la comparsa dei sistemi di registrazione, è legata proprio alla ricerca di un dispositivo che consenta di trasmettere le informazioni anche quando esse superano la nostra capacità di gestirle attraverso le tecnologie della parola». Lo ha detto Pier Cesare Rivoltella, professore ordinario di didattica e tecnologie dell’istruzione all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, nella relazione principale all’Assemblea generale della Cei sul tema «Quale presenza ecclesiale nell’attuale contesto comunicativo». Per Rivoltella, «l’alfabeto, la stampa e i media digitali non sono più diversi di quanto non siano invece simili. E questa somiglianza si può trovare proprio nella funzione che essi esercitano nei confronti della memoria: il libro ri-media la scrittura, e il web ri-media il libro». «La storia dei media, rispetto alla comunicazione della Chiesa, è la storia delle diverse forme che la mediazione del Messaggio assume», ha aggiunto: «Senza i media non c’è mediazione, e senza mediazione non è possibile alcuna trasposizione. L’esito sarebbe una Parola che non sa comunicare, un Messaggio che rimane inaccessibile all’uomo di un certo tempo semplicemente perché è costruito con linguaggi e codici differenti».

Il rapporto con i media rende «la Chiesa realmente cattolica». «Che tutti siano raggiunti dalla Parola non è per la Chiesa un obiettivo commerciale (come per l’editore, che fa di tutto per aumentare il parco dei suoi lettori), o di potere (come per le televisioni, che cercano in tutti i modi di aumentare la propria audience per essere più influenti), ma vuol dire rispondere alla missione che le è stata affidata». Ne è convinto Pier Cesare Rivoltella, che individua una «ragione profonda del rapporto della Chiesa con i media e con la comunicazione: senza, il Messaggio raggiungerebbe pochi, non renderebbe la Chiesa realmente cattolica». La Chiesa, però, «non ha solo la necessità di comunicare verso l’esterno e di raggiungere sempre più persone con questa comunicazione, ma anche quella di vigilare autorevolmente sul modo in cui il Messaggio viene recepito».

Oggi l’informazione è parte della società». «Oggi stiamo vivendo (o abbiamo già vissuto) la transizione alla società informazionale, ovvero una società in cui l’informazione non è la cosa più importante, ma parte della società stessa». Secondo Rivoltella, è «riduttivo ormai pensare ai media come a degli strumenti» ma bisognerebbe intenderli come «un vero e proprio tessuto connettivo» con la funzione di «sinapsi sociali». Ma «in una realtà in cui qualsiasi conoscenza è inevitabilmente mediata, diviene sempre più difficile distinguere la verità dalla menzogna con il risultato di mischiare scienza e opinioni, affermazioni verificate e paralogismi persuasivi».

«Pastorale 3.0 per riarticolare il rapporto tra dentro e fuori la Chiesa». La Chiesa  – ha proseguito il prof. Rivoltella – deve prendere atto del fatto che «i media sono diventati ciò che favorisce le connessioni tra le persone, che essi sono parte integrante delle nostre vite e del modo in cui in esse costruiamo e manteniamo relazioni e che questo ci fa rendere conto di come l’uomo sia straordinario quando «si collega» agli altri, inutile se rimane da solo, proprio come una stampante senza connessione ». «Lo specifico di una pastorale 3.0 sta proprio nella capacità di riarticolare il rapporto tra dentro e fuori la Chiesa – ha spiegato – attivando insieme tutte e tre le arene di circolazione dei significati, comprese quelle periferiche, che sono quelle più lontane, quelle che di solito rimangono tagliate fuori dalla nostra comunicazione intenzionale».

La pastorale 3.0 «richiama i laici a un nuovo senso di responsabilità». «Comunitaria e paritetica, la pastorale 3.0 attiva i suoi destinatari, li rende protagonisti, sostituisce a una comunicazione verticale l’esperienza sinodale». È il passaggio conclusivo della relazione di Pier Cesare Rivoltella. La pastorale 3.0 «richiama i laici a un nuovo senso di responsabilità. L’operatore pastorale (ma mi verrebbe da dire qualsiasi battezzato) nella società informazionale, grazie alla disponibilità dei media digitali e sociali, si atteggia a tutor di comunità. Si tratta di un ruolo complesso che è allo stesso tempo rivolto alla comunità ecclesiale e alla comunità civile: nel primo senso allude, tra l’altro, al nuovo significato della diaconia in un tempo di secolarizzazione e di progressiva contrazione dei consacarati; nel secondo senso – ha sottolineato Rivoltella -, intercetta quel che sempre più spesso accade, ovvero l’esperienza di una Chiesa chiamata non ad affiancare le istituzioni in una logica di sussidiarietà, ma a svolgere rispetto ad esse una funzione di supplenza, come sempre è accaduto nella storia in tutti i tempi di crisi. Mai come oggi Cristianesimo può voler dire cittadinanza».