Vita Chiesa

Papa in Perù: a Puerto Maldonado, difendere l’Amazzonia, non siamo i padroni del Creato

Un volto plurale. Prima la citazione del Cantico delle Creature di San Francesco, poi le parole che da sole sintetizzano il senso del viaggio: «Ho molto desiderato questo incontro e volevo passare qui a visitarvi». È cominciata così la tappa in Perù di Papa Francesco, seconda parte del suo 22° viaggio apostolico dopo la trasferta in Cile. «Vedo che siete venuti dai differenti popoli originari dell’Amazzonia», il saluto di Francesco, che nell’incontro con i popoli dell’Amazzonia nel Coliseo Madre de Dios di Puerto Maldonado li ha elencati: Harakbut, Esse-ejas, Matsiguenkas, Yines, Shipibos, Asháninkas, Yaneshas, Kakintes, Nahuas, Yaminahuas, Juni Kuin, Madijá, Manchineris, Kukamas, Kandozi, Quichuas, Huitotos, Shawis, Achuar, Boras, Awajún, Wampís, tra gli altri. «Vedo anche che ci accompagnano popoli che vengono dalle Ande e son arrivati nella selva e si sono fatti amazzonici», ha proseguito Francesco: «Grazie per la vostra presenza e perché mi aiutate a vedere più da vicino, nei vostri volti, il riflesso di questa terra». «Un volto plurale – lo ha definito il Papa – di un’infinita varietà e di un’enorme ricchezza biologica, culturale, spirituale. Quanti non abitiamo queste terre abbiamo bisogno della vostra saggezza e delle vostre conoscenze per poterci addentrare, senza distruggerlo, nel tesoro che racchiude questa regione». «Che Tu sia lodato, Signore, per quest’opera meravigliosa dei popoli amazzonici e per tutta la biodiversità che queste terre racchiudono!», ha ripetuto Francesco parafrasando l’opera più celebre del santo di cui ha scelto di portare il nome. «Questo canto di lode si spezza quando ascoltiamo e vediamo le profonde ferite che porta con sé l’Amazzonia e i suoi popoli», la denuncia del Papa: «E ho voluto venire a visitarvi e ascoltarvi, per stare insieme nel cuore della Chiesa, unirci alle vostre sfide e con voi riaffermare un’opzione convinta per la difesa della vita, per la difesa della terra e per la difesa delle culture».

Lasciata la nunziatura apostolica, il Papa è partito dall’aeroporto di Lima alle 8.30 locali (14.30 ora di Roma) diretto a Puerto Maldonado, dove è stato accolto dal vicario apostolico, mons. David Martinez de Aguirre Guinea, dal governatore e dal sindaco. Un coro di bambini l’ha accolto cantando: «Papa Francesco è amazzonico». Poi in auto Francesco si è recato al Coliseo Madre de Dios dove, alle 10.30 locali (16.30 ora di Roma) ha incontrato circa 4mila rappresentanti di diversi popoli dell’Amazzonia.

«Probabilmente i popoli originari dell’Amazzonia non sono mai stati tanto minacciati nei loro territori come lo sono ora». È l’analisi del Papa, che ha ricordato che l’Amazzonia «è una terra disputata su diversi fronti: da una parte, il neo-estrattivismo e la forte pressione da parte di grandi interessi economici che dirigono la loro avidità sul petrolio, il gas, l’oro, le monocolture agro-industriali; dall’altra parte, la minaccia contro i vostri territori viene anche dalla perversione di certe politiche che promuovono la ‘conservazione’ della natura senza tenere conto dell’essere umano e, in concreto, di voi fratelli amazzonici che la abitate». «Siamo a conoscenza di movimenti che, in nome della conservazione della foresta, si appropriano di grandi estensioni di boschi e negoziano su di esse generando situazioni di oppressione per i popoli originari per i quali, in questo modo, il territorio e le risorse naturali che vi si trovano diventano inaccessibili», il grido d’allarme di Francesco: «Questa problematica soffoca i vostri popoli e causa migrazioni delle nuove generazioni di fronte alla mancanza di alternative locali». «Dobbiamo rompere il paradigma storico che considera l’Amazzonia come una dispensa inesauribile degli Stati senza tener conto dei suoi abitanti», il grido del Papa, secondo il quale è «imprescindibile compiere sforzi per dar vita a spazi istituzionali di rispetto, riconoscimento e dialogo con i popoli nativi; assumendo e riscattando cultura, lingua, tradizioni, diritti e spiritualità che sono loro propri». Si tratta, ha spiegato Francesco, di «un dialogo interculturale in cui voi siate i principali interlocutori, soprattutto nel momento in cui si procede con grandi progetti che interessano i loro spazi. Il riconoscimento e il dialogo sarà la via migliore per trasformare le antiche relazioni segnate dall’esclusione e dalla discriminazione».

Il «buon vivere» dei popoli dell’Amazzonia. «Se, da qualcuno, voi siete considerati un ostacolo o un ‘ingombro’, in verità, con la vostra vita siete un grido rivolto alla coscienza di uno stile di vita che non è in grado di misurare i suoi costi». Sono le parole del Papa dedicate alla dignità dei popoli dell’Amazzonia: «Voi siete memoria viva della missione che Dio ha affidato a tutti noi: avere cura della casa comune», il tributo di Francesco, secondo il quale «esistono iniziative di speranza che sorgono dalle vostre realtà locali e dalle vostre organizzazioni e cercano di fare in modo che gli stessi popoli originari e le comunità siano i custodi delle foreste, e che le risorse prodotte dalla loro conservazione ritornino a beneficio delle vostre famiglie, a miglioramento delle vostre condizioni di vita, della salute e dell’istruzione delle vostre comunità». Questo «buon agire», per il Papa, «è in sintonia con le pratiche del ‘buon vivere’ che scopriamo nella saggezza dei nostri popoli». «La difesa della terra non ha altra finalità che non sia la difesa della vita», ha ribadito Francesco, che non ha nascosto i punti principali di discriminazione degli indigeni: «Conosciamo la sofferenza che alcuni di voi patiscono per le fuoriuscite di idrocarburi che minacciano seriamente la vita delle vostre famiglie e inquinano il vostro ambiente naturale. Parallelamente, esiste un’altra devastazione della vita che viene provocata con questo inquinamento ambientale causato dall’estrazione illegale. Mi riferisco alla tratta di persone: la mano d’opera schiavizzata e l’abuso sessuale».

«La violenza contro gli adolescenti e contro le donne è un grido che sale al cielo», ha denunciato il Papa nell’incontro con i popoli dell’Amazzonia a Puerto Maldonado. «Mi ha sempre addolorato la situazione di coloro che sono oggetto delle diverse forme di tratta di persone», ha proseguito: «Vorrei che si ascoltasse il grido di Dio che chiede a tutti noi: ‘Dov’è tuo fratello?’. Dov’è il tuo fratello schiavo? Non facciamo finta di niente e non guardiamo dall’altra parte. Ci sono molte complicità. La domanda è per tutti!». Dopo cinque secoli, le parole pronunciate da san Toribio nel III Concilio di Lima – «non solo nei tempi passati sono stati fatti a questi poveri tante offese e violenze con tanti eccessi, ma che anche oggi molti continuano a fare le stesse cose» – «sfortunatamente continuano ad essere attuali».

Per il Papa, «le parole profetiche di quegli uomini di fede sono il grido di questa gente, che molte volte è costretta al silenzio o a cui hanno tolto la parola». «Quella profezia deve rimanere presente nella nostra Chiesa, che non smetterà mai di alzare la voce per gli scartati e per quelli che soffrono», ha ammonito Francesco. Di qui «l’opzione primordiale per la vita dei più indifesi», a partire dai «Popoli Indigeni in Isolamento Volontario» (Piav), «i più vulnerabili tra i vulnerabili». «Il retaggio di epoche passate li ha obbligati a isolarsi persino dalle loro stesse etnie, iniziando una storia di reclusione nei luoghi più inaccessibili della foresta per poter vivere in libertà», ha ricordato Francesco: «Continuate a difendere questi fratelli più vulnerabili», l’appello, perché «la loro presenza ci ricorda che non possiamo disporre dei beni comuni al ritmo dell’avidità del consumo. È necessario che esistano limiti che ci aiutino a difenderci da ogni tentativo di distruzione di massa dell’habitat che ci costituisce». «Il riconoscimento di questi popoli – che non possono mai essere considerati una minoranza, ma autentici interlocutori – come pure di tutti i popoli originari ci ricorda che non siamo i padroni assoluti del creato», la tesi di fondo del Papa: di qui l’urgenza di «accogliere l’apporto essenziale che offrono a tutta la società, non fare delle loro culture una idealizzazione di uno stato naturale e neppure una specie di museo di uno stile di vita di un tempo. La loro visione del cosmo, la loro saggezza hanno molto da insegnare a noi che non apparteniamo alla loro cultura. Tutti gli sforzi che facciamo per migliorare la vita dei popoli amazzonici saranno sempre pochi».

«La cultura dei nostri popoli è un segno di vita. L’Amazzonia, oltre ad essere una riserva di biodiversità, è anche una riserva culturale che deve essere preservata di fronte ai nuovi colonialismi». Ne è convinto il Papa, che nella parte finale del discorso pronunciato al Coliseo Madre de Dios di Puerto Maldonado si è soffermato sulla famiglia, che «è ed è sempre stata l’istituzione sociale che più ha contribuito a mantenere vive le nostre culture». «In momenti passati di crisi, di fronte ai diversi imperialismi, la famiglia dei popoli originari è stata la migliore difesa della vita», l’omaggio di Francesco: «Ci è chiesta una speciale cura per non lasciarci catturare da colonialismi ideologici mascherati da progresso che a poco a poco entrano e dilapidano identità culturali e stabiliscono un pensiero uniforme, unico… e debole». «Ascoltate gli anziani», il consiglio, perché «dispongono di una saggezza che li pone a contatto con il trascendente e fa loro scoprire l’essenziale della vita». «La scomparsa di una cultura può essere grave come o più della scomparsa di una specie animale o vegetale», il grido d’allarme del Papa, «e l’unico modo per far sì che le culture non si perdano è che si mantengano in dinamismo, in costante movimento». Poi la citazione della testimonianza di Yésica e Héctor: «Vogliamo che i nostri figli studino, ma non vogliamo che la scuola cancelli le nostre tradizioni, le nostre lingue, non vogliamo dimenticarci della nostra saggezza ancestrale!».

«Aiutate i vostri vescovi, i missionari e le missionarie affinché si uniscano a voi, e in questo modo, dialogando con tutti, possano plasmare una Chiesa con un volto amazzonico e una Chiesa con un volto indigeno». Con questo invito il Papa ha concluso il suo discorso. «Con questo spirito ho convocato il Sinodo per l’Amazzonia nel 2019», ha proseguito, annunciando a braccio che «la prima riunione presinodale avverrà proprio qui, oggi pomeriggio». «La scuola e l’educazione dei popoli originari dev’essere una priorità e un impegno dello Stato, impegno integrante e inculturato che assuma, rispetti e integri come un bene di tutta la nazione la loro sapienza ancestrale», l’appello del Papa, chiedendo ai vescovi che, «come si sta facendo anche nei luoghi più isolati della selva, continuino a promuovere spazi di educazione interculturale e bilingue nelle scuole e negli istituti pedagogici e universitari». «Molti hanno scritto e parlato su di voi. È bene che adesso siate voi stessi ad autodefinirvi e a mostrarci la vostra identità. Abbiamo bisogno di ascoltarvi», le parole dedicate da Francesco a «tutti quei giovani dei popoli originari che si sforzano di elaborare, dal proprio punto di vista, una nuova antropologia e lavorano per rileggere la storia dei loro popoli dalla loro prospettiva».

«Non soccombete ai tentativi che ci sono di sradicare la fede cattolica dei vostri popoli», l’invito ai presenti, insieme alla garanzia che «la Chiesa non è aliena dalla vostra problematica e dalla vostra vita, non vuole essere estranea al vostro modo di vivere e di organizzarvi. Abbiamo bisogno che i popoli originari plasmino culturalmente le Chiese locali amazzoniche». «Confido nella capacità di resilienza dei popoli e nella vostra capacità di reazione davanti ai difficili momenti che vi tocca vivere», l’auspicio finale: «Lo avete dimostrato nei diversi assalti della storia, con i vostri contributi, con la vostra visione differenziata delle relazioni umane, con l’ambiente e con l’esperienza della fede». L’incontro nel Coliseo Madre de Dios si è concluso con i doni portati dai popoli originari al Papa: tra questi, una corona di piume rosse e gialle e una sorta di «cintura» da incrociare sul petto, tipici dell’abbigliamento di un capo indigeno.

(testo integrale del discorso del Papa)