Vita Chiesa
Incontro con le vittime di abuso. Padre Hans Zollner, «se il Papa piange, è l’intera Chiesa che piange»
Ferite indelebili, danni irreparabili, inferte da uomini della Chiesa, spesso sui bambini. Di fronte a simili sfregi, il Papa ieri ha pianto. È successo in Cile, nella sede della nunziatura dove Francesco ha incontrato, in forma strettamente privata, un piccolo gruppo di vittime di abusi sessuali. Nessun altro era presente: solamente il Papa e le vittime. E questo perché potessero raccontare le loro sofferenze. Sapendo di arrivare in una terra fortemente colpita da una serie di abusi sessuali che hanno visto protagonisti uomini di Chiesa, spesso molto conosciuti, Papa Francesco ha dedicato a questo scandalo le sue prime parole. «Qui – ha detto alle autorità nel Palazzo della Moneda – non posso fare a meno di esprimere il dolore e la vergogna, vergogna che sento davanti al danno irreparabile causato a bambini da parte di ministri della Chiesa. Desidero unirmi ai miei fratelli nell’episcopato, perché è giusto chiedere perdono e appoggiare con tutte le forze le vittime, mentre dobbiamo impegnarci perché ciò non si ripeta». Padre Hans Zollner (gesuita) è membro della Commissione vaticana contro la pedofilia e presidente del Centro protezione dei minori istituito presso l’Università Gregoriana.
Padre Zollner, quanto sono importanti le parole di Papa Francesco?
«Sono importantissime perché dolore e vergogna sono i sentimenti che uno prova di fronte al fatto che dei chierici abbiano abusato della fiducia e dell’amicizia di persone, soprattutto bambini e minori di età, e che attraverso un abuso fisico, psichico, sessuale e anche spirituale abbiano recato un danno spesso permanente alla vita di non poche persone. Vergogna e dolore che tutto ciò sia opera di persone che per vocazione dovevano essere portatori della buona novella, testimoni della vicinanza di Dio specialmente ai più vulnerabili».
Di fronte a queste storie di abuso, il Papa ieri ha pianto. Lei che lavora in questo ambito, quanto è importante incontrare le vittime, guardarle negli occhi, farsi raccontare il dolore vissuto?
«La vicinanza è una medicina per l’anima. È quello che si chiama empatia, la capacità di sentire, percepire, condividere il dolore dell’altro, la sua disperazione, la rabbia, la mancanza di speranza, l’incapacità a lenire la ferita. Ed è questa empatia profonda a suscitare il pianto. Se uno piange, vuol dire che è stato toccato nel cuore. Quelle lacrime sono un sollievo, certamente un inizio, la constatazione che non sono più solo ma c’è una persona che in questa ferita cammina con me. È quello che ho visto tre anni fa, nel luglio 2014. Avevo accompagnato due persone tedesche come traduttore nel loro incontro con il Papa. Erano state vittime di abuso da parte di sacerdoti. Vedere come il Papa reagisce di fronte alla sofferenza, percepire quanto profonda sia la sua empatia e quanto sia grande la sua capacità ad aprire il cuore per accogliere questo dolore, è impressionante. Ma posso anche dire la stessa cosa per Papa Benedetto quando aveva incontrato vittime di abuso in Germania. Anche in quell’occasione, le vittime stesse riferirono che il Papa aveva pianto con loro. Il Papa è il primo rappresentante della Chiesa e di Cristo sulla terra. Se il Papa piange, è l’intera Chiesa che piange, è Cristo stesso che piange con loro».
Le associazioni di vittime stanno manifestando a Santiago perché nella Chiesa si faccia giustizia. Queste proteste sono segno che ci sono ancora tanti che non si sentono ascoltati, che bussano porte che non vengono aperte. Come risponde lei che è membro della Pontificia Commissione per la protezione dei minori?
«È il Papa stesso, un anno e mezzo fa, ad aver definito i parametri per punire persone nella gerarchia della Chiesa che non eseguono e non seguono le norme stesse della Chiesa. Norme che sono più o meno allo stesso livello o più o meno corrispondenti alle normative vigenti in molti Stati nazionali, come in Italia. La giustizia però non è solo un concetto giuridico. La giustizia – ed è quello che ribadisco spesso a tanti vescovi – va oltre la pura lettera della legge. È ascolto profondo, attenzione sincera, presenza empatica all’altro. E il Papa è il modello da seguire per tutti i responsabili della Chiese locali, per i provinciali degli Ordini religiosi che devono innanzitutto stare con le vittime, dare loro ascolto. Stando a contatto con un bel numero di vittime di abuso, posso garantire che questo ascolto produce spesso più giustizia del procedimento giuridico, che comunque deve andare avanti senz’altro. Ma non può mai raggiungere o rappacificare completamente un cuore. Anche se un criminale è stato condannato, non significa necessariamente che giustizia è fatta pienamente perché la vittima rimane con una ferita per tutta la vita, per cui la Chiesa dovrà impegnarsi a dare ascolto, aiuto, sostegno, quanto richiesto e necessario per le vittime».
C’è anche chi lamenta e denuncia lentezza dei procedimenti negli uffici vaticani. Può darci una parola di garanzia sul fatto che anche in Vaticano il punto di riferimento sono le parole di Papa Francesco e la politica della tolleranza zero?
«Anche il Papa stesso nell’incontro con la Pontificia Commissione per la tutela dei minori, lo scorso settembre, ha detto che la Chiesa ha reagito troppo lentamente di fronte a questo fenomeno. Le procedure all’interno della Santa Sede possono essere lente ma a volte sono anche molto rapide. Dipende dal caso e non dobbiamo dimenticare che parliamo di un ufficio che ha 12 persone che sono responsabili di procedimenti che devono accertare i fatti, nel contesto poi di ciascun Paese e in ciascuna lingua, comprovare la veridicità delle accuse e arrivare poi ad una conclusione, cioè ad una condanna o meno».