Vita Chiesa

«Evangelii Gaudium»: mons. Galantino a Pistoia, «nuovo linguaggio ecclesiale» richiede di «uscire»

«Con i suoi scritti – in particolare con l’esortazione apostolica Evangelii gaudium – e con i suoi gesti, Papa Francesco sta richiamando a più riprese l’attenzione di tutti sul tema del linguaggio, ritenendolo uno strumento indispensabile per un rinnovato slancio che deve caratterizzare l’intera comunità ecclesiale». Ha esordito così mons. Nunzio Galantino, segretario generale della Cei, nell’intervento con il quale ha aperto, questo pomeriggio a Pistoia (Palazzo comunale – Piazza del Duomo), la 30ª edizione della Settimana teologica dedicata a «I linguaggi del divino».

L’efficacia del linguaggio, ha affermato, «è molto di più di un fatto tecnico. Un passaggio importante per essere protagonisti dei ‘linguaggi del divino’ è costituito dall’acquisizione di alcune condizioni: l’ascolto, la condivisione e l’attenzione prestata alla storia degli altri». Punto di partenza il Vangelo. Essenziale «la ricerca di linguaggi adeguati e di gesti coerenti» per testimoniare la «gioia pasquale», alternativa del «triste e mortificante ripiegamento su se stessi» e «frutto dell’uscire da noi stessi». Tra i cinque verbi – uscire, abitare, educare, annunziare, trasfigurare – «che la Chiesa italiana ha indicato a se stessa per il suo impegno missionario nel portare al mondo la gioia del Signore risorto, c’è proprio l’ ‘uscire’», ha ricordato Galantino. Si tratta di «mettersi in ascolto della Parola di Dio e al contempo delle parole dell’uomo, per trovare le strade di una comunicazione testimoniale capace di raggiungere le persone nella loro situazione effettiva».

I «linguaggi del divino» esigono, per essere efficaci, «di passare attraverso un’esperienza personale e comunitaria di liberazione, che domanda di abbandonare o almeno di purificare forme convenzionali, strutture irrigidite, comportamenti distonici, facili sicurezze, paure paralizzanti», ha proseguito il Segretario generale della Cei. Tutti, ha avvertito, «tendiamo a raggiungere momenti di gioia, aneliamo a vivere in uno stato solido e prolungato di letizia. Talora non raggiungiamo l’oasi gioiosa perché rimaniamo bloccati da miraggi che si sostituiscono alla realtà». «C’è il miraggio del successo immediato»; del «possesso materiale» e della «corsa frenetica all’avere»; della «affermazione a ogni costo, maldestro tentativo per nascondere i buchi neri della propria esistenza». Voragini dello spirito umano, ha avvertito il segretario generale Cei, «da cui stentano a emergere la lealtà come alternativa all’imbroglio, il compimento del proprio dovere in alternativa al disimpegno, la solidarietà concreta in alternativa al tornaconto e all’egoismo, l’assunzione di responsabilità individuale e collettiva come alternativa all’indifferenza cinica e omertosa, la generosità alternativa allo sfruttamento, l’umiltà che sola può debellare gli spasmi convulsi dell’arroganza».

«Lo stile ed il metodo dell’uscire ci pongono in un’attitudine di incontro aperto e disponibile, senza mire di conquista» perché «l’uscire non è funzionale, bensì strutturale per l’identità della Chiesa». Il segretario generale della Cei è ritornato al concetto di «gioia» e ha spiegato: «La gioia del Vangelo che il cristiano è chiamato a vivere e a testimoniare non si deve confondere con l’allegria goliardica e tanto meno con la baldoria sfrenata». Il cristiano è un «missionario della gioia», ma è tale grazie alla «fede vissuta» e non a teorie «che fanno da paravento all’ipocrisia». Infine un’annotazione a commento di un apoftegma raccontato, ma legata all’attualità: «L’ospitalità è sacra nella Scrittura. Per non viverla si inventano talvolta mille scuse scandalose che rivelano una grettezza inconfondibile e una contraddizione insopportabile. Ci sono, è vero, dei pericoli quando si annunzia il Vangelo. Pericoli che vanno affrontati con discernimento e con estremo realismo». Ma il pericolo maggiore, il monito di Galantino, «sta nel rifiutare di accogliere il prossimo perché non vediamo più in lui quella presenza di Cristo che non riusciremo mai a soffocare sotto le ceneri delle nostre miserie e dei nostri calcoli».