Vita Chiesa
Papa in Colombia: al Celam, imparare dal metodo di Aparecida
Il «metodo» di Aparecida, ha ricordato Francesco, è «basato essenzialmente sulla partecipazione delle Chiese locali e in sintonia con i pellegrini che camminano in cerca del volto umile di Dio»: in questa prospettiva, la missione della Chiesa latino americana «vuol essere non la somma di iniziative programmatiche che riempiono le agende e disperdono anche energie preziose, bensì lo sforzo per porre la missione di Gesù nel cuore della Chiesa stessa, trasformandola in criterio per misurare l’efficacia delle strutture, i risultati del lavoro, la fecondità dei ministri e la gioia che essi sono capaci di suscitare. Perché senza gioia non si attira nessuno». No, allora, alle «tentazioni, ancora presenti, della ideologizzazione del messaggio evangelico, del funzionalismo ecclesiale e del clericalismo»: bisogna «arrivare al cuore dell’uomo», tenendo presente che «Dio, quando parla all’uomo in Gesù, non lo fa con un generico richiamo come a un estraneo, né con una convocazione impersonale alla maniera di un notaio, né con una dichiarazione di precetti da eseguire come fa qualsiasi funzionario del sacro», ma «con la voce inconfondibile del Padre che si rivolge al figlio». Non si può, per Bergoglio, «ridurre il Vangelo a un programma al servizio di uno gnosticismo di moda, a un progetto di ascesa sociale o a una visione della Chiesa come burocrazia che si autopromuove, né tantomeno questa si può ridurre a un’organizzazione diretta, con moderni criteri aziendali, da una casta clericale». La Chiesa, per Francesco, «è mistero e popolo», come si legge nella Lumen Gentium: «vicinanza e incontro sono gli strumenti di Dio che, in Cristo, si avvicinato e ci incontrato sempre». «Aparecida è un tesoro la cui scoperta è ancora incompleta», le parole di Francesco: «Le realtà indispensabili della vita umana e della Chiesa non sono mai un monumento ma un patrimonio vivo». «C’è tanta dispersione interiore e anche esteriore!», il grido d’allarme del Papa: «I numerosi eventi, la frammentazione della realtà, l’istantaneità e la velocità del presente, potrebbero farci cadere nella dispersione e nel vuoto».
«Ritrovare l’unità», senza «confondere le nostre vane necessità con la causa» di Gesù. È il secondo imperativo affidato dal Papa ai vescovi latinoamericani, nel discorso rivoltoai membri del Celam, in cui ha esortato i presuli a non «cedere allo scoraggiamento», nella loro azione missionaria, partendo dalla consapevolezza che «il Vangelo è sempre concreto, mai un esercizio di sterili speculazioni». No, allora, alla «ricorrente tentazione di perdersi nel bizantinismo dei ‘dottori della legge’, di domandarsi fino a che punto si può arrivare senza perdere il controllo del proprio territorio delimitato o del presunto potere che i limiti garantiscono». Sì, invece, ad una Chiesa «in stato di permanente di missione», che «mentre cammina, incontra; quando incontra, si avvicina; quando si avvicina, parla; quando parla, tocca col suo potere; quando tocca, cura e salva». «Uscire per incontrare, senza passare oltre; chinarsi senza noncuranza; toccare senza paura», la ricetta di Francesco per la Chiesa del suo continente: «Si tratta di mettersi giorno per giorno nel lavoro sul campo, lì dove vive il Popolo di Dio che vi è stato affidato. Non ci è lecito lasciarci paralizzare dall’aria condizionata degli uffici, dalle statistiche e dalle strategie astratte. Bisogna rivolgersi alla persona nella sua situazione concreta; da essa non possiamo distogliere lo sguardo. La missione si realizza in un corpo a corpo».
«La Chiesa non sta in America Latina come se avesse le valige in mano, pronta a partire dopo averla saccheggiata, come hanno fatto tanti nel corso del tempo», ha proseguito il Papa, spiegando che «quanti operano così guardano con senso di superiorità e disprezzo il suo volto meticcio; pretendono di colonizzare la sua anima con le stesse formule, fallite e riciclate, sulla visione dell’uomo e della vita; ripetono uguali ricette uccidendo il paziente mentre arricchiscono i medici che li mandano; ignorano le ragioni profonde che abitano nel cuore del popolo e che lo rendono forte proprio nei suoi sogni, nei suoi miti, malgrado i numerosi disincanti e fallimenti; manipolano politicamente e tradiscono le loro speranza, lasciando dietro di sé terra bruciata e il terreno pronto per l’eterno ritorno dello stesso, anche quando si ripresenti con un vestito nuovo». «Uomini e utopie forti hanno promesso soluzioni magiche, risposte istantanee, effetti immediati», ha ammonito Francesco, ribadendo che la Chiesa «deve continuare a prestare l’umile servizio al vero bene dell’uomo latinoamericano»: «Deve lavorare senza stancarsi per costruire ponti, abbattere muri, integrare la diversità, promuovere la cultura dell’incontro e del dialogo, educare al perdono e alla riconciliazione, al senso di giustizia, al ripudio della violenza e al coraggio della pace».
La Chiesa dell’America latina, ha sintetizzato il Papa, ha un «volto meticcio: non unicamente indigeno, né ispanico, né lusitano, né afroamericano, ma meticcio, latinoamericano! Guadalupe e Aparecida sono manifestazioni programmatiche di questa creatività divina». «Le pagine più luminose della storia della nostra Chiesa sono state scritte proprio quando abbiamo saputo nutrirci di questa ricchezza, parlare a questo cuore nascosto che palpita custodendo, come una piccola luce accesa sotto apparenti ceneri, il senso di Dio e della sua trascendenza, la sacralità della vita, il rispetto per il creato, i legami di solidarietà, la gioia di vivere, la capacità di essere felici senza condizioni», il bilancio a proposito dell’«anima profonda» del continente. No, dunque, alla «ombrosità lamentosa», sì invece alla capacità del «cuore latinoamericano» di essere «un sacramento di speranza».
«La speranza in America Latina ha un volto giovane» e «un volto femminile». Ne è convinto il Papa, che ha fatto notare come «si parla spesso dei giovani: alcuni riportano notizie sulla loro presunta decadenza e su quanto siano assopiti, altri approfittano del loro potenziale come consumatori, non pochi propongono loro il ruolo di manovalanza dello spaccio e della violenza». «Non lasciatevi catturare da simili caricature sui giovani», l’invito ai vescovi latinoamericani: «Guardateli negli occhi e cercate in loro il coraggio della speranza. Non è vero che sono pronti a ripetere il passato. Aprite loro spazi concreti nelle Chiese particolari a voi affidate, investite tempo e risorse nella loro formazione. Proponete programmi educativi incisivi e obiettivi da realizzare, chiedendo loro, come i genitori chiedono ai figli, di mettere in atto le loro potenzialità ed educando il loro cuore alla gioia della profondità, non della superficialità. Non accontentatevi della retorica o di scelte scritte nei piani pastorali e mai messe in pratica». «In ogni giovane si nasconde un istmo, nel cuore di tutti i nostri ragazzi c’è un pezzo di terreno stretto e allungato che si può percorrere per condurli verso un futuro che solo Dio conosce e a Lui appartiene», ha assicurato Francesco citando il luogo della prossima Giornata mondiale della Gioventù, in programma a Panama: «Tocca a noi presentare loro grandi proposte per suscitare in essi il coraggio di rischiare insieme a Dio e di rendersi, come la Vergine, disponibili». «La speranza in America Latina ha un volto femminile», ha proseguito il Papa soffermandosi sul «ruolo della donna nel nostro continente e nella nostra Chiesa»: «Dalle sue labbra abbiamo imparato la fede; quasi con il latte del suo seno abbiamo acquisito i tratti della nostra anima meticcia e l’immunità di fronte ad ogni disperazione. Penso alle madri indigene o «morenas», penso alle donne delle città con il loro triplo turno di lavoro, penso alle nonne catechiste, penso alle consacrate e alle così discrete «artigiane» del bene. Senza le donne la Chiesa del continente perderebbe la forza di rinascere continuamente. Sono le donne che, con meticolosa pazienza, accendono e riaccendono la fiamma della fede». «Se vogliamo una fase nuova e vitale della fede in questo continente, non la otterremo senza le donne», la tesi di Francesco auspicando che le donne siano «protagoniste nella Chiesa latinoamericana», e non vittime del «clericalismo».
«È indispensabile superare il clericalismo che rende infantili i laici e impoverisce l’identità dei ministri ordinati». Nella parte finale del suo discorso al Celam, il Papa ha auspicato «l’attuazione serena, responsabile, competente, lungimirante, articolata, consapevole, di un laicato cristiano che, in quanto credente, sia disposto a contribuire: nei processi di un autentico sviluppo umano, nel consolidamento della democrazia politica e sociale, nel superamento strutturale della povertà endemica, nella costruzione di una prosperità inclusiva fondata su riforme durature e capaci di tutelare il bene sociale, nel superare le disuguaglianze e salvaguardare la stabilità, nel delineare modelli di sviluppo economico sostenibili che rispettino la natura e il vero futuro dell’uomo – che non si esaurisce nel consumismo illimitato –, come pure nel rifiuto della violenza e nella difesa della pace». «La speranza deve sempre vedere il mondo con gli occhi dei poveri e a partire dalla situazione dei poveri», ha affermato Francesco, che subito dopo ha ammonito: «La ricchezza autosufficiente spesso priva la mente umana della capacità di vedere, sia la realtà del deserto sia le oasi che vi sono nascoste. Propone risposte da manuale e ripete certezze da talkshow; balbetta la proiezione di sé stessa, vuota, senza avvicinarsi minimamente alla realtà». «Se vogliamo servire, come Celam, la nostra America Latina, dobbiamo farlo con passione», la consegna finale del Papa: «Oggi c’è bisogno di passione. Mettere il cuore in tutto quello che facciamo. Passione del giovane innamorato e dell’anziano saggio, passione che trasforma le idee in utopie praticabili, passione nel lavoro delle nostre mani, passione che ci trasforma in incessanti pellegrini nelle nostre Chiese» come san Toribio di Mogrovejo, che «non si installò nella sua sede: di 24 anni di episcopato, 18 li passò nei paesi della sua diocesi».