Vita Chiesa
Ramadan: mons. Spreafico (Cei), «possa portare frutti di pace»
«La pace sia con voi! In occasione del sacro mese di Ramadan, che sta per iniziare, è proprio questo l’augurio e la preghiera che sentiamo di voler condividere con voi e con tutti gli uomini e le donne di buona volontà, perché cessino guerre e violenze di ogni sorta e sia stabilita quella pace di cui il mondo ha bisogno». Inizia così, con questa invocazione, il messaggio che monsignor Ambrogio Spreafico, vescovo di Frosinone e presidente della Commissione episcopale per l’ecumenismo e il dialogo della Cei, ha inviato a tutte le comunità islamiche presenti nel nostro Paese, alla vigilia del mese sacro del Ramadan che dal 27 maggio fino al 24 giugno coinvolgerà 2 milioni di musulmani in Italia.
«Il mio augurio a tutte le comunità islamiche – spiega il vescovo al Sir – è quello di vivere questo mese come un tempo per coltivare la pace, come un’occasione di vivere insieme a tanti un senso di comunione e di condivisione in questo tempo difficile, dove la violenza rende il mondo più brutto e la vita talvolta piena di paure. Quindi un augurio di pace, che sento di condividere con loro. Ho incontrato recentemente alcuni membri delle comunità islamiche e ho visto che anche in loro c’è questo grande desiderio di pace e di fraternità di fronte alla violenza di alcuni che essi stessi non condividono».
L’ultimo attentato in Europa è stato quello di Manchester. L’Islam è sempre più spesso accusato di fomentare odio e violenza in nome di Dio. C’è l’urgenza di contrastare con determinazione questa deriva della religione. Come fare? E chi lo deve fare?
«Innanzitutto bisogna ricordare che nel nostro Paese le comunità islamiche hanno sempre e prontamente condannato gli attentati e l’utilizzo del nome di Allah per giustificare l’uccisione degli altri. La seconda cosa che vorrei sottolineare è che non bisogna identificare l’Islam con il terrorismo. Sono due cose molto distinte tra loro. Il terrorismo, purtroppo, c’è ed esiste anche in situazioni dove non ci sono né sono implicati i musulmani. La terza cosa è che negli attentati che si susseguono in varie parti del mondo e in Europa a morire, insieme a tanti cristiani e a tanti appartenenti ad altre religioni, ci sono i musulmani. Questa identificazione dell’Islam con il terrorismo rende solo più complicata una situazione già di per se complessa. Cosa fare? Dobbiamo abituarci a ragionare e a capire. La mancanza di conoscenza e l’ignoranza creano solo paure, impediscono la convivenza, fomentano da una parte i radicalismi, dall’altra i populismi, allontanano il traguardo verso un giusto approccio all’altro, anche se diverso».
In questo mese vedremo i musulmani in preghiera. In un clima in cui hanno attecchito i populismi, la preghiera islamica mette paura perché si teme che sia preludio di radicalismo. E il Ramadan rischia di essere vissuto dagli italiani con sospetto e non rispetto.
«Credo che chi sfrutta la paura per se stesso e per il proprio gruppo di appartenenza, qualunque essa sia, fa un grande male al Paese, al mondo e anche a se stesso. La paura non è mai stata premessa di soluzione dei problemi. Sfruttare quindi la paura per la propria ideologia significa recare un danno, anzi, un grave danno alla società. Papa Francesco quando ha incontrato il Grande Imam di al Azhar, in Egitto, al Tayyeb, ha detto che l’unica alternativa alla civiltà dell’incontro è l’inciviltà dello scontro. Quindi, o noi ci mettiamo nella prospettiva di costruire ponti verso gli altri, oppure la nostra società non ha futuro. È evidente che chi identifica Islam e terrorismo, non conosce l’Islam. Non sa neanche di cosa parla. È questo il grande problema: una ignoranza tale attorno a noi che è facile da sfruttare. L’ignoranza è foriera purtroppo di grande violenza in parole e azioni. Ricordiamo sempre cosa è avvenuto in Europa nel secolo scorso».
Come attrezzarsi culturalmente a vivere in una società, come quella europea, sempre più multiculturale e multireligiosa?
«Direi tre cose. Primo: educarsi ad avere uno sguardo benevolo verso l’altro. E questo approccio vale per tutti. Verso il diverso, richiede di non essere diffidenti o dominati dalla paura perché altrimenti non si favorisce la convivenza. Seconda cosa: direi che dobbiamo cercare di conoscere gli altri. Per questo motivo, l’Ufficio Cei per il dialogo ha predisposto già da vari anni una serie di schede informative sull’Islam che possono essere prese dal sito. Abbiamo bisogno di conoscere prima di giudicare e l’ignoranza non porta da nessuna parte, così come il lamento. Terzo: essere consapevoli che i profughi che vengono dal Nord Africa sono uomini e donne che arrivano da terre dove erano privati di tutto, terre in cui ci sono guerre, miserie, desertificazione e da cui non possono fare altro che fuggire. Forse qualche volta ascoltare le loro storie ci aiuterebbe a capire che dobbiamo essere orgogliosi di come il nostro Paese è stato all’altezza di accogliere queste persone nonostante la fatica che l’Italia sta facendo».
Che cosa è il digiuno?
«È un esercizio che aiuta a purificare se stessi, i propri pensieri, a vincere le cattive inclinazioni, a mettersi con sincerità davanti a Dio, a pregarlo con umiltà. Spero che questa preghiera e questo digiuno vissuti in questo tempo di Ramadan possano portare frutti di pace, di convivenza e amore reciproco. Ne abbiamo davvero tutti bisogno».