Vita Chiesa
Il Papa e l’Europa: dieci parole e un sogno
«Che cosa ti è successo, Europa?». Alla vigilia dell’udienza che Papa Francesco concederà, venerdì 24 marzo, ai leader dei 27 Paesi membri dell’Unione europea, risuona ancora il grido lanciato da Francesco quasi un anno fa, in occasione del conferimento del Premio Carlo Magno. Due anni prima, negli altri due discorsi programmatici sul Vecchio Continente, pronunciati a Strasburgo, Francesco ha esortato a scongiurare il rischio di un’Europa «nonna», stanca, impaurita, ferita, pessimista e ripiegata su se stessa, tentata di dominare spazi più che generare processi, incapace di accogliere chi per cercare un futuro migliore rischia d’incentivare il numero di morti di un Mediterraneo diventato ormai un cimitero. Dieci parole e un sogno: sono la cornice entro la quale il Papa inscriverà il discorso del 24 marzo, che si preannuncia già storico, in coincidenza con le celebrazioni del 60° dei Trattati di Roma.
Cielo e terra. «Uno dei più celebri affreschi di Raffaello che si trovano in Vaticano raffigura la cosiddetta scuola di Atene. Al suo centro vi sono Platone e Aristotele. Il primo con il dito che punta verso l’altro, verso il mondo delle idee, potremmo dire verso il cielo; il secondo tende la mano in avanti, verso la terra, la realtà concreta. Mi pare un’immagine che ben descrive l’Europa e la sua storia, fatta del continuo incontro tra cielo e terra, dove il cielo indica l’apertura al trascendente, a Dio, che ha da sempre contraddistinto l’uomo europeo, e la terra rappresenta la sua capacità pratica e concreta di affrontare le situazioni e i problemi». (discorso al Parlamento europeo, Strasburgo, 25 novembre 2014).
Unità e diversità. «Il motto dell’Unione europea è unità nella diversità, ma l’unità non significa uniformità politica, economica, culturale, o di pensiero. In realtà ogni autentica unità vive della ricchezza delle diversità che la compongono: come una famiglia, che è tanto più unita quanto più ciascuno dei suoi componenti può essere fino in fondo se stesso senza timore. In tal senso, ritengo che l’Europa sia una famiglia di popoli». (discorso al Parlamento europeo, Strasburgo, 25 novembre 2014).
Persona e famiglia. «Dare speranza all’Europa non significa solo riconoscere la centralità della persona umana, ma implica anche favorirne le doti. Si tratta perciò di investire su di essa e sugli ambiti in cui i suoi talenti si formano e portano frutto. Il primo ambito è sicuramente quello dell’educazione, a partire dalla famiglia, cellula fondamentale ed elemento prezioso di ogni società. La famiglia unita, fertile e indissolubile porta con sé gli elementi fondamentali per dare speranza al futuro. Senza tale solidità si finisce per costruire sulla sabbia, con gravi conseguenze sociali». (discorso al Parlamento europeo, Strasburgo, 25 novembre 2014).
Identità e dialogo. «Dov’è il tuo vigore? Dov’è quella tensione ideale che ha animato e reso grande la tua storia? Dov’è il tuo spirito di intraprendenza curiosa? Dov’è la tua sete di verità, che hai finora comunicato al mondo con passione. Dalla risposta a queste domande dipenderà il futuro del continente. L’Europa deve riflettere se il suo immenso patrimonio artistico, tecnico, sociale, politico, economico e religioso è un semplice retaggio museale del passato, oppure se è ancora capace di ispirare la cultura e di dischiudere i suoi tesori all’umanità intera». (discorso al Consiglio D’Europa, Strasburgo, 25 novembre 2014).
Memoria e futuro. «Una storia bimillenaria lega l’Europa e il cristianesimo. Una storia non priva di conflitti e di errori, anche di peccati, ma sempre animata dal desiderio di costruire per il bene. Lo vediamo nella bellezza delle nostre città, e più ancora in quella delle molteplici opere di carità e di edificazione umana comune che costellano il continente. Questa storia, in gran parte, è ancora da scrivere. Essa è il nostro presente e anche il nostro futuro». (discorso al Parlamento europeo, Strasburgo, 25 novembre 2014).
Il sogno. «Con la mente e con il cuore, con speranza e senza vane nostalgie, come un figlio che ritrova nella madre Europa le sue radici di vita e di fede, sogno un nuovo umanesimo europeo, un costante cammino di umanizzazione, cui servono memoria, coraggio, sana e umana utopia Sogno un’Europa giovane, capace di essere ancora madre: una madre che abbia vita, perché rispetta la vita e offre speranze di vita. Sogno un’Europa che si prende cura del bambino, che soccorre come un fratello il povero e chi arriva in cerca di accoglienza perché non ha più nulla e chiede riparo. Sogno un’Europa che ascolta e valorizza le persone malate e anziane, perché non siano ridotte a improduttivi oggetti di scarto. Sogno un’Europa, in cui essere migrante non è un delitto, bensì un invito ad un maggior impegno con la dignità di tutto l’essere umano. Sogno un’Europa dove i giovani respirano l’aria pulita dell’onestà, amano la bellezza della cultura e di una vita semplice, non inquinata dagli infiniti bisogni del consumismo; dove sposarsi e avere figli sono una responsabilità e una gioia grande, non un problema dato dalla mancanza di un lavoro sufficientemente stabile. Sogno un’Europa delle famiglie, con politiche veramente effettive, incentrate sui volti più che sui numeri, sulle nascite dei figli più che sull’aumento dei beni. Sogno un’Europa che promuove e tutela i diritti di ciascuno, senza dimenticare i doveri verso tutti. Sogno un’Europa di cui non si possa dire che il suo impegno per i diritti umani è stata la sua ultima utopia». (discorso per il conferimento del Premio Carlo Magno, 6 maggio 2016).