Vita Chiesa

Funerali ad Amatrice: mons. Pompili, «il terremoto non uccide. Uccidono le opere dell’uomo»

Ventotto bare, a rappresentare le 231 vittime di Amatrice e le 11 di Accumuli, poste davanti l’altare sul quale era stato issato un Cristo Crocifisso e a lato sistemata una statua della Madonna della neve, posizionata su un cumulo di macerie. Accompagnata dai canti della corale della cattedrale la messa ha visto la presenza delle più alte cariche dello Stato, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, il premier Matteo Renzi e i presidenti delle due Camere, Pietro Grasso e Laura Boldrini.

Nella sua omelia il vescovo Pompili ha preso spunto dal passo del Libro delle Lamentazioni che descrive la distruzione di Gerusalemme, ma che, ha detto, «si presta bene ad evocare la devastazione di Amatrice e di Accumoli. Sembra di risentire i sopravvissuti: un rumore assordante, pietre che precipitano come pioggia, una marea asfissiante di polvere. Poi le urla. Quindi il buio». Monsignor Pompili ha esortato, rileggendo il brano, a «aspettare in silenzio la salvezza del Signore». «Si intuisce – ha aggiunto – che Dio non può essere utilizzato come il capro espiatorio. Al contrario, si invita a guardare in quell’unica direzione come possibile salvezza». Davanti a circostanze drammatiche, ha proseguito il presule, «va evitato di accontentarsi di risposte patetiche e al limite della superstizione. Come quando si invoca il destino, la sfortuna, la coincidenza impressionante delle circostanze. A dire il vero senza terremoti non esisterebbero dunque le montagne e forse neppure l’uomo e le altre forme di vita».

«Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi e io vi ristorerò… sono mite e umile di cuore». Da monsignor Domenico Pompili, è quindi giunto l’invito a rifugiarsi nelle parole. Le parole che sono «come un balsamo sulle ferite fisiche, psicologiche e spirituali di tantissimi. Troppi. Non basteranno giorni, ci vorranno anni. Sopra a tutto è richiesta una qualità di cui Gesù si fa interprete: la mitezza. Che è una ‘forza’ distante sia dalla muscolare ingenuità di chi promette tutto all’istante, sia dall’inerzia rassegnata di chi già si volge altrove. La mitezza dice, invece, di un coinvolgimento tenero e tenace, di un abbraccio forte e discreto, di un impegno a breve, medio e lungo periodo».

Solo così, ha sottolineato, «la ricostruzione non sarà una ‘querelle politica’ o una forma di sciacallaggio di varia natura, ma quel che deve: far rivivere una bellezza di cui siamo custodi. Disertare questi luoghi sarebbe ucciderli una seconda volta. Abitiamo una terra verde, terra di pastori. Dobbiamo inventarci una forma nuova di presenza che salvaguardi la forza amorevole e tenace del pastore. Come si ricava da un messaggio in forma poetica che mi è giunto oltre alle preghiere: «Di Geremia, il profeta, rimbomba la voce: ‘Rachele piange i suoi figli e rifiuta di essere consolata, perché non sono più’. Non ti abbandoneremo uomo dell’Appennino: l’ombra della tua casa tornerà a giocare sulla natia terra. Dell’alba ancor ti stupirai».

Ai funerali era presente anche monsignor Konrad Krajewski, elemosiniere di Sua Santità. «Il Papa ha voluto che venissi e io sono qui – ha dichiarato al Sir -. Ha mandato i rosari a tutte le famiglie di coloro che sono stati colpiti dal terremoto». Quando verrà il Papa? «Non posso dirlo, ma verrà».