Vita Chiesa
Mansueto Bianchi, un vescovo che sapeva parlar chiaro
Un ricordo di Mansueto Bianchi non può che partire dal tono della voce: una voce bella, profonda, tonante, chiara. Fin da quel novembre 2006 quando lo conobbi perché venne a Pistoia come vescovo (e ci arrivò in una situazione non facile, consapevole delle difficoltà che avrebbe trovato in una città dove con le difficoltà, e con le divisioni, ci si «diverte» un po’ troppo), rimasi colpito da quel tono di voce. Un tono, forte, che mi ricordava il primo Papa Giovanni Paolo II.
Fu poi facile, dovendolo accompagnare – con Sara e Maurizio – nel non semplice compito di comunicare le attività sue e della comunità ecclesiale di Pistoia, fu facile accorgersi di un’altra caratteristica: dietro quella voce, accanto a quella voce, c’era anche una straordinaria capacità di comunicare bene, con una efficacia invidiabile nel tempo della comunicazione mediatica.
Era davvero bravo, Mansueto, dal nostro punto di vista: il punto di vista di chi deve accompagnare una personalità (in questo caso un pastore, uno che si nutre di Parola, un ecclesiastico) nello scivoloso mondo mediatico. Con lui impossibile far brutta figura: conosceva bene i tempi radiofonici e televisivi, era capace di sintesi, sapeva inventarsi immagini dal grande fascino, in grado di bucare; si rendeva conto che i giornalisti hanno esigenze specifiche, anche nei tempi, e non si negava quando, telefonandogli anche a ore complicate, gli si doveva chiedere «una battuta» su questo o su quello, proporgli un’idea, segnalargli una questione.
E mi è sempre venuto da sorridere quando qualche collega mi presentava come «portavoce del vescovo»: ben capendo quanto impossibile fosse, per me, «portare» una «voce» che così bene si «portava» da sola.
Ma un’altra caratteristica mi viene di ricordare, in un momento per me (e per tanti altri) di grande e sincero dolore: la simpatia umana che Mansueto era capace di comunicare.
Non faceva certo il «piacione»: il suo spessore, culturale ed ecclesiale, glielo avrebbe impedito. Ma con lui – assicuro – mi sono divertito un sacco: all’inizio ero titubante (anche se poi, tutto sommato, il vescovo Bianchi aveva solo tre anni più di me) e un po’ mi peritavo nel fare una battuta scherzosa e nell’usare il metro dell’ironia; ma capii subito che, con lui, si poteva osare.
E mantengo ancora nei miei ricordi più privati battute e sfottò – per esempio su questo o su quel personaggio politico. In particolare su uno – che mi veniva di fargli, in diretta o per telefono, e a cui per Mansueto era semplice interagire con la stessa voglia di scherzarci, di sorridere, anche di ridere.
Infinite le iniziative, i momenti e i ricordi, che conservo su lui nei suoi 2.700 giorni di episcopato pistoiese. Bene ha fatto l’attuale direttrice dell’Ufficio diocesano Comunicazioni Sociali a rimettere in circolo un comunicato prodotto nella primavera 2014 quando Mansueto, decisamente provato, lasciò Pistoia.
Un vescovo che parlava chiaro, non in ecclesialese. Un vescovo capace di stare accanto alla sua comunità nell’ordinario e nella emergenza, portando la forza della Parola in un mondo di parole spesso banali. Un pastore che è venuto a mancare troppo presto. Vorrei poter dire un amico, con cui si scherzava sui problemi di cuore (intesi come organo fisico, per entrambi malandato). Un uomo di Chiesa chiamato nel compito di governare quella piccola parte di Chiesa compresa fra i colli di Leonardo e i monti di Zeno Colò.
«Perdere il lavoro – disse Mansueto in una fabbrica pistoiese occupata – è come subire un terremoto». Aver perso un vescovo come lui, mi permetto di dire io, lascia un vuoto e una tristezza colmabili solo con quel tipo di Fede, e di Speranza, che a lui certo non difettava.
So che è morto sereno. E di questo, proprio, non avevo dubbi.
*già direttore ufficio Comunicazioni Sociali Diocesi di Pistoia