Vita Chiesa
Le religiose nella Chiesa? «Assenti dove vengono prese le decisioni»
È una moltitudine in cammino quella che si incontrerà a Roma, dal 9 al 13 maggio, per la ventesima Assemblea plenaria dell’Unione internazionale delle superiore generali (Uisg). Sono attese quasi 900 religiose, responsabili di Congregazioni femminili di vita apostolica, da ben 80 Paesi in rappresentanza di centinaia di migliaia di consorelle: «Siamo presenti in molte zone del mondo dove la vita del pianeta e della popolazione sono costantemente minacciate da disastri ambientali, conflitti regionali, povertà di ogni tipo e dalla negazione dei diritti umani fondamentali». Suor Patricia Murray, religiosa dell’Istituto della Beata Vergine Maria, è segretaria esecutiva della Uisg e attenta osservatrice della vita consacrata femminile.
«Tessere la solidarietà globale per la vita» è il tema dell’Assemblea. Come si può realizzare questo invito?
«Rappresentiamo una rete mondiale di religiose e possiamo unire i nostri sforzi ed essere fonte di speranza, fornendo risposte concrete alle sfide globali del nostro tempo. “Insieme” è la parola chiave. Grazie ai nostri sforzi congiunti nel fare rete a livello globale, abbiamo già ottenuto un discreto successo per sensibilizzare, salvare e riabilitare uomini, donne e bambini le cui vite sono state distrutte dalla pratica peccaminosa della tratta di esseri umani».
Il calo delle vocazioni ha un impatto forte sulla vita delle religiose?
«È una realtà vissuta in alcune parti del mondo, non in altre. Ovviamente è fonte di preoccupazione, ma ciò che è ancora più importante è la testimonianza di vita e la vitalità di coloro che hanno già professato i voti religiosi. Le vocazioni alla vita religiosa si alimentano in un ambiente di fede, soprattutto in famiglia e in comunità. Dentro società sempre più secolarizzate, invece, richiede coraggio per un giovane dire apertamente che la fede è una parte importante della propria esistenza. Le Congregazioni devono dare maggiore visibilità alla loro vita e opera, molte già lo fanno utilizzando canali di comunicazione moderna quali siti web, Facebook e Twitter. Spesso, infatti, i mezzi di informazione non riescono a presentare il volto contemporaneo della vita religiosa».
C’è uno sforzo, da parte delle Congregazioni, per rispondere alle necessità dei tempi? Povertà, immigrazione, disparità economiche…
«Alcuni aspetti dell’apostolato – educazione, assistenza sanitaria, servizi sociali – sono importanti in diverse aree del mondo, ma le religiose sono impegnate anche in ambiti nuovi nella veste di avvocati, economiste e assistenti religiose negli ospedali e nelle carceri. Mentre le Congregazioni hanno i propri progetti e programmi, molte sorelle sono coinvolte in iniziative promosse dai governi, operando con Ong nazionali e internazionali, cooperando per fornire assistenza ai margini delle società, dove spesso sono le uniche a essere presenti. Tante Congregazioni offrono la possibilità di “venire a vedere con i vostri occhi”, per quante siano interessate alla vita religiosa. Altri Istituti collaborano in iniziative portate avanti a livello nazionale per aiutare i giovani a discernere la vocazione di vita dalla prospettiva della fede. Infine, la comunità cristiana locale deve iniziare a promuovere e sostenere le vocazioni alla vita religiosa attraverso la famiglia e le strutture parrocchiali».
Come sono cambiate le giovani suore rispetto al passato?
«La mia generazione ha aderito alla vita religiosa dopo il Concilio Vaticano II. Era un periodo di grande ottimismo, nella Chiesa e nel mondo. C’era la convinzione che la povertà potesse essere sradicata, che i diritti umani potessero essere promossi e attuati, che la Chiesa avesse un ruolo importante da svolgere. La vita religiosa si stava trasformando rispetto al modello monastico, diventando sempre più aperta alle esigenze del mondo. È stato un momento di rinnovamento e di adattamento per le religiose, un momento di maggiore inserimento nella vita della gente comune e nelle preoccupazioni quotidiane, per essere al loro fianco nel rendere la fede rilevante di fronte alle nuove ed emergenti realtà. Oggi il contesto è cambiato, ma non credo che chi sceglie la vita religiosa sia mosso da un desiderio diverso di seguire Cristo e essere parte della sua missione nel mondo. Sono diventata suora a 18 anni: entrare nella vita religiosa a quella età, significava rinunciare a molte possibilità. Adesso tante persone che entrano nella vita religiosa sono più anziane e hanno maggiore esperienza. Effettivamente stanno rinunciando a molte cose, dalla casa alla carriera, ma arrivano con la stessa generosità e lo stesso slancio di fare la differenza nel mondo».
Gli abbandoni, anche in età adulta, sono un fenomeno che affligge le Congregazioni femminili…
«La chiamata a seguire Cristo nella vita religiosa non è una risposta “una tantum”. Si tratta di dire “sì” ad approfondire questo rapporto ogni giorno, non importa quale sia la propria età. I motivi di abbandono sono diversi per ciascuna storia».
È possibile che alcune religiose vadano incontro a un sovraccarico quando non riescono a mantenere un equilibrio tra gli aspetti esterni e interni della loro vita, tra il ministero e la preghiera, tra il fare e l’essere?
«Forse altre hanno fatto una scelta quando non avevano la maturità per compierla? È possibile, anche, che alcuni aspetti della vita comunitaria diventino difficili da sostenere? La vocazione è un tesoro prezioso che ha bisogno di essere nutrito e sostenuto, e ci sono molti fattori che possono contribuire alla sua crescita o alla sua decadenza».
Quale contributo possono ancora offrire le religiose?
«Il nostro slogan dovrebbe essere: “Non fare mai da sola ciò che potresti fare insieme”. Abbiamo un’ampia rete a livello globale, che può essere mobilitata per creare una cultura di amore e misericordia, per combattere l’indifferenza e l’emarginazione. Le religiose possono servire a ogni livello della Chiesa, dai dicasteri vaticani ai più remoti angoli del mondo. Le centinaia di migliaia di sorelle sono formate sia umanamente che spiritualmente e possono assumere posizioni di leadership nelle parrocchie, nelle diocesi e all’interno di strutture ecclesiastiche. Possiamo esercitare la nostra vocazione come avvocati di diritto canonico, teologhe, studiose di Sacre Scritture, consigliere e amministratrici. Siamo presenti nei luoghi più remoti del pianeta, per avvicinare le persone alla fede in Gesù Cristo. Siamo presenti nel cuore delle città, dove accompagniamo le persone nella ricerca di senso e speranza; siamo con le vittime della tratta di esseri umani, con i migranti e i rifugiati, con gli sfollati nelle zone di guerra e conflitti armati. Siamo lì, in mezzo alla vita, nel cuore delle comunità. Possiamo parlare ai potenti, sostenere i diritti degli oppressi, e possiamo essere profeti del Regno di Dio che deve ancora arrivare».
E sul piano delle responsabilità ecclesiali?
«Le religiose sono spesso assenti laddove vengono prese decisioni nella Chiesa, e questa assenza priva la Chiesa istituzionale di una certa saggezza ed esperienza, una prospettiva femminile che potrebbe aiutare ad arricchirla, promuovendone la rilevanza nel rispondere ai bisogni del mondo contemporaneo».
Il 12 maggio incontrerete Papa Francesco. Cosa vi aspettate?
«Parole di incoraggiamento, in rapporto a come abbiamo già risposto. Ma anche parole che ci interpellino nel testimoniare e vivere in maniera più radicale e profetica la nostra vocazione religiosa, attraverso la vita comunitaria e la vocazione apostolica. Il Papa, inoltre, potrebbe offrirci delle riflessioni sulla partecipazione delle religiose negli organi decisionali della Chiesa».