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Cop26: Realacci, «la transizione verde è un’opportunità per innovare»

«La nostra dipendenza dai combustibili fossili sta spingendo l’umanità sull’orlo del precipizio». È il «grido» di allarme lanciato dal segretario generale dell’Onu Antonio Guterres alla Cop26 a Glasgow. Quali sono le prospettive che abbiamo? E quale il ruolo dell’Italia? Lo abbiamo chiesto a Ermete Realacci, ambientalista e presidente della Fondazione Symbola

«La nostra dipendenza dai combustibili fossili sta spingendo l’umanità sull’orlo del precipizio». È il «grido» lanciato dal segretario generale dell’Onu Antonio Guterres prendendo la parola alla Conferenza Onu sul cambiamento climatico che si sta svolgendo a Glasgow in Scozia. Quali sono le prospettive che abbiamo? Lo abbiamo chiesto a Ermete Realacci, ambientalista e presidente della Fondazione Symbola.La Cop26 sul clima segnerà un cambiamento decisivo nelle politiche dei Paesi per gli obiettivi fissati a Parigi o potrebbero essere l’ennesimo flop?«Ennesimo flop non la condivido come espressione perché alcune di queste conferenze sono state molto importanti, a cominciare da quella di Parigi dove si è rinosciuta la gravità della crisi climatica. Le divisioni ci sono state sui tempi e sui pesi della risposta ma non sulla direzione da prendere. Non è una cosa da poco, perché individuare una direzione in cui muoversi è il primo elemento della soluzione».Se guardiamo a casa nostra come vanno le cose?«In Italia, al di là delle politiche ufficiali, dobbiamo guardare quali sono i comportamenti reali del paese, in particolare nell’economia. C’è un’Italia che si è già incamminata nella giusta direzione e che può essere protagonista alla Cop26 perché fa della transizione verde un’opportunità per innovare. Possiamo farcela se mobilitiamo le migliori energie del Paese senza lasciare indietro nessuno, senza lasciare solo nessuno».Perché questo cambio di direzione?«Non perché il settore economico è stato folgorato dall’ambientalismo ma perché il modello su cui si basa è più favorevolmente orientato rispetto ai temi dell’ambiente e dell’efficienza delle risorse. L’Italia è di gran lunga la superpotenza europea dell’economia circolare, che non è prevalentemente fondata sulle raccolte differenziate urbane, che rappresentano solo 1/5 dei rifiuti prodotti. Il grosso sono infatti i rifiuti dei cicli produttivi. L’Italia così recupera, in media, il doppio dell’Europa: questo accade perché siamo un paese povero di materie prime e quindi, nel corso dei secoli, abbiamo dovuto utilizzare quella grande fonte di energia rinnovabile e non inquinante che è l’intelligenza umana. Ciò ci consente già oggi di risparmiare ogni anno 23 milioni di tonnellate di petrolio e 63 milioni di tonnellate di emissioni di Co2».Ci sono alcuni esempi virtuosi?«Questa attività dell’economia la troviamo in tantissimi settori, per esempio in quello del legno arredo dove siamo i terzi esportatori mondiali. Il nostro settore dei mobili rispetto a quello degli altri paesi europei consuma meno energia, meno acqua e recupera più legno. Molto spesso le azioni più efficaci, le imprese più avanzate sono anche quelle che hanno i rapporti migliori con il territorio, con le comunità, con i lavoratori. Nel manifesto di Assisi, la prima frase dice: “Affrontare con coraggio la crisi climatica non è solo necessario ma rappresenta una grande opportunità per rendere la nostra economia e la nostra società più a misura d’uomo e per questo più capace di futuro”. Oggi c’è una forte sottolineatura, soprattutto da parte di Draghi, Biden, Macron, del tema dell’opportunità. Si tratta di capire che siamo di fronte da un lato ad una necessità, dall’altro anche ad un’opportunità. Su questo bisogna riorganizzare l’economia ma anche il confronto politico».La crisi climatica è appunto globale. Per questo anche se uno Stato agisce in maniera virtuosa, ma è da solo, la battaglia destinata a fallire…«Da un lato, con pazienza bisogna costruire un approccio multilaterale come ha detto bene il presidente Draghi, dall’altro dobbiamo usare tutti i mezzi a nostra disposizione tra cui anche la competizione economica virtuosa. C’è per esempio una fiscalità sui prodotti di ingresso in Europa data dalle emissioni che questi hanno avuto nel ciclo della loro vita. È una misura che avrà un effetto fortissimo per proteggere le imprese europee e provocherà anche polemiche. Ma l’Europa è il più grande mercato del mondo, quindi se diciamo che chi desidera venire a vendere da noi deve accettare i nostri standard, questo è sicuramente un coadiuvante molto forte. La Cina, per esempio, non accelera sull’elettrico solo per motivi ambientali ma perché vuole guidare il mondo in questo settore. Noi dobbiamo organizzarci per non arrivare dietro in questa sfida in tanti campi».La domanda che tutti si fanno: le rinnovabili hanno costi superiori per produrre energia?«Rispetto ai fossili tradizionali le rinnovabili sono più convenienti. Per esempio, negli Stati Uniti Trump vinse le elezioni con due grandi slogan: il muro con il Messico e il carbone americano. Poi nei suoi anni di governo è successo che in tutti gli Stati Uniti hanno vinto le rinnovabili e nel giugno dell’anno scorso tutti i nuovi impianti per la produzione di energia elettrica, in tutti gli stati americani, sono alimentati da rinnovabili. Siamo in un mondo di cambiamento e alcune volte le politiche non lo capiscono e non riescono a stare al passo con i tempi».L’Italia cosa farà?«L’Italia ha anche un’arma in più rispetto agli altri, cioè la bellezza. Produrre cose belle, oggetti cha hanno un senso, permette di avere un’economia più competitiva, consumando meno energia e meno materie prime. La cultura della bellezza dell’Italia va messa in campo anche in questa sfida che l’Italia ha davanti. La bellezza è ecologica».E le persone, come individui e come comunità, quali azioni possono intraprendere?«L’orientamento dei consumi è una forte arma per modificare le attività delle imprese. Anche gli ambientalisti devono cambiare. Non si può dire di essere per le rinnovabili e poi opporsi a tutto perché altrimenti non si è per le rinnovabili ma per le fossili. Invece la spinta forte che può arrivare e in parte arriva dall’opinione pubblica è di orientare i consumi sulla base di un’attenzione alla sostenibilità. Questa viene percepita come un indicatore di qualità ed è il motivo per cui, anche al di là delle convinzioni dei singoli imprenditori, tante parti del mondo produttivo sono spinte a lavorare sul tema della sostenibilità».Ultima domanda: in Francia si torna a parlare di nucleare di nuova generazione. Cosa ne pensa?«Il nucleare in Italia è stato fermato dai referendum, in Occidente dai costi. Attualmente in Europa sono in costruzione due sole centrali nucleari con tecnologia francese: una in Francia e una in Finlandia. Nel frattempo hanno visto però raddoppiare i tempi di costruzione e sono triplicati anche i costi. È stato un pessimo affare. È chiaro che paesi che hanno una forte presenza del nucleare fanno fatica a distaccarsene e c’è esigenza del nucleare anche nel mondo militare. Molti stati costruiscono centrali non perché hanno bisogno di energia ma per usi militari. Dire che il nucleare è una fonte di energia a buon mercato è un’affermazione palesemente falsificata dalla realtà. Questo poi non significa che non dobbiamo fare ricerca».