Mondo

Papa Francesco: “smilitarizzare il cuore dell’uomo, meno armi e più cibo”

“Gli uni con gli altri, mai più gli uni contro gli altri”. “Disinneschiamo la tentazione fondamentalista”, “la pace non è un accordo da negoziare”

“Siamo chiamati, come rappresentanti delle religioni, a non cedere alle lusinghe del potere mondano, ma a farci voce di chi non ha voce, sostegno dei sofferenti, avvocati degli oppressi, delle vittime dell’odio, scartate dagli uomini in terra ma preziose davanti a Colui che abita i cieli”. Dal Colosseo, il Papa ha affidato questi compiti ai leader religiosi riuniti per iniziativa della Comunità di Sant’Egidio. “Oggi hanno timore, perché in troppe parti del mondo, anziché prevalere il dialogo e la cooperazione, riprende forza il confronto militare come strumento decisivo per imporsi”, l’analisi di Francesco, che ha ripetuto l’esortazione fatta ad Abu Dhabi “sul compito non più rimandabile che spetta alle religioni in questo delicato frangente storico: smilitarizzare il cuore dell’uomo”. “È nostra responsabilità, cari fratelli e sorelle credenti, aiutare a estirpare dai cuori l’odio e condannare ogni forma di violenza”, l’imperativo del Papa: “Con parole chiare incoraggiamo a questo: a deporre le armi, a ridurre le spese militari per provvedere ai bisogni umanitari, a convertire gli strumenti di morte in strumenti di vita. Non siano parole vuote, ma richieste insistenti che eleviamo per il bene dei nostri fratelli, contro la guerra e la morte, in nome di Colui che è pace e vita”. “Meno armi e più cibo, meno ipocrisia e più trasparenza, più vaccini distribuiti equamente e meno fucili venduti sprovvedutamente”, la traduzione in tempi di pandemia: “I tempi ci chiedono di farci voce di tanti credenti, persone semplici e disarmate stanche della violenza, perché chi detiene responsabilità per il bene comune si impegni non solo a condannare guerre e terrorismo, ma a creare le condizioni perché essi non divampino”.

“Perché i popoli siano fratelli, la preghiera deve salire incessante al Cielo e una parola non può smettere di risuonare in terra: pace”. Papa Francesco ha fatto suo l’invito di Giovanni Paolo II, che “per primo invitò le religioni a pregare concordi per la pace ad Assisi nel 1986” e “sognò un cammino comune dei credenti, che si snodasse da quell’evento verso il futuro”. “Cari amici, siamo in questo cammino, ciascuno con la propria identità religiosa, per coltivare la pace in nome di Dio, riconoscendoci fratelli.”, l’appello durante l’incontro promosso dalla Comunità di Sant’Egidio: “Giovanni Paolo ci indicò questo compito, affermando: ‘La pace attende i suoi profeti. La pace attende i suoi artefici’. Ad alcuni parve vuoto ottimismo. Ma negli anni è cresciuta la condivisione e sono maturate storie di dialogo tra mondi religiosi diversi, che hanno ispirato percorsi di pace. È questa la via. Se c’è chi vuole dividere e creare scontri, noi crediamo nell’importanza di camminare insieme per la pace: gli uni con gli altri, mai più gli uni contro gli altri”.

“La pace non è anzitutto un accordo da negoziare o un valore di cui parlare, ma un atteggiamento del cuore”. “Nasce dalla giustizia, cresce nella fraternità, vive di gratuità”, ha proseguito Francesco: “Spinge a servire la verità e dichiarare senza paure e infingimenti il male quando è male, anche e soprattutto quando viene commesso da chi si professa seguace del nostro stesso credo”. “In nome della pace disinneschiamo, vi prego, in ogni tradizione religiosa, la tentazione fondamentalista, ogni insinuazione a fare del fratello un nemico”, la supplica del Papa: “Mentre tanti sono presi da antagonismi, fazioni e giochi di parte, noi facciamo risuonare quel detto dell’Imam Ali: ‘Le persone sono di due tipi: o tuoi fratelli nella fede o tuoi simili nell’umanità”. Non c’è un’altra divisione. Popoli fratelli per sognare la pace’”.

“Con la vita dei popoli e dei bambini non si può giocare. Non si può restare indifferenti. Occorre, al contrario, entrare in empatia e riconoscere la comune umanità a cui apparteniamo, con le sue fatiche, le sue lotte e le sue fragilità”. “Tutto questo mi tocca, sarebbe potuto accadere anche qui, anche a me”, ha detto invitando tutti a pensare. “Oggi, nella società globalizzata che spettacolarizza il dolore ma non lo compatisce, abbiamo bisogno di costruire compassione”, l’appello di Francesco: “Di sentire l’altro, di fare proprie le sue sofferenze, di riconoscerne il volto. Questo è il vero coraggio, il coraggio della compassione, che fa andare oltre il quieto vivere, oltre il non mi riguarda e il non mi appartiene. Per non lasciare che la vita dei popoli si riduca a un gioco tra potenti”. “No, la vita dei popoli non è un gioco, è cosa seria e riguarda tutti; non si può lasciare in balia degli interessi di pochi o in preda a passioni settarie e nazionaliste”, il monito del Papa: “È la guerra a prendersi gioco della vita umana. È la violenza, è il tragico e sempre prolifico commercio delle armi, che si muove spesso nell’ombra, alimentato da fiumi di denaro sotterranei”.  “La guerra è un fallimento della politica e dell’umanità, una resa vergognosa, una sconfitta di fronte alle forze del male”, ha ribadito Francesco: “Dobbiamo smettere di accettarla con lo sguardo distaccato della cronaca e sforzarci di vederla con gli occhi dei popoli. Due anni fa, ad Abu Dhabi, con il caro fratello qui presente, il Grande Imam di Al Azhar, abbiamo invocato la fratellanza umana per la pace, parlando in nome dei popoli che hanno perso la sicurezza, la pace e la comune convivenza, divenendo vittime delle distruzioni, delle rovine e delle guerre”.