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Libano: le vittime dell’esplosione di Beirut un anno dopo. La storia di Rami

Gli occhi guizzano, mentre guarda lo smartphone. “Il tuo schermo è proprio come quello di mio fratello grande”, dice: “Ha promesso che me lo darà, prima o poi, quando ne avrà un altro”. Rami ha 13 anni e nessuna voglia di piangersi addosso. Non che abbia dimenticato i boati, i vetri andati in frantumi, la paura. Quelle sei del pomeriggio del 4 agosto 2020 a Beirut le ricordano tutti: figurarsi in casa sua, aggrappati alla collina, proprio sopra il porto. 

Oggi, dall’altra parte della superstrada, oltre container e rimorchi dimenticati, c’è un enorme blocco di cemento, come il moccolo di una candela: dicono fosse la sede delle dogane, oggi è il simbolo dello sfacelo. Dal porto, miraggio e allucinazione, escono pure automobili bruciate. Le trasportano carri attrezzi, chissà dove e chissà perché adesso. L’esplosione, causata da 2750 tonnellate di nitrato d’ammonio immagazzinato per sei anni sul molo senza misure di sicurezza, ha ucciso almeno 218 persone, sventrato palazzi e mandato in frantumi vetri anche a decine di chilometri di distanza. I feriti sono stati oltre 6mila. Rami non si è fatto nulla. Stava sopra al porto e c’è rimasto, facendo i conti con la pandemia di Covid-19. Dell’anno scorso ricorda di non essere mai andato a scuola. Chiamatela didattica a distanza, se vi pare: lui ha fatto i turni per lo smartphone del fratello, ascoltando i messaggi della maestra su WhatsApp se c’era internet. “A ottobre le lezioni dovrebbero ricominciare in presenza”, sorride. “Mi piacerebbe un sacco tornare a scuola anche se non sappiamo bene come fare, se ci sarà l’autobus e quanto costerà il biglietto”. La benzina, con le forniture che arrivano a singhiozzo e ore di fila ai distributori, è uno dei nodi del Libano oggi. Come il carovita che non dà tregua, la mancanza di elettricità e le medicine sempre più difficili da trovare, la linea rossa che tanti non avrebbero pensato potesse essere mai superata.La madre di Rami si chiama Elian. Ha 44 anni e se le chiedi cosa sta facendo il governo per le vittime dell’esplosione mostra un sorriso. È lo stesso che fanno tutti, una smorfia amara che ritorna, dal porto fino alla collina di Jdeideh: vuol dire nulla di nulla. “Qui ci sia aiuta solo tra noi”, sospira Elian. “Mio marito ha bisogno di cure ma non ha assicurazione medica perché è disoccupato: l’unico aiuto lo abbiamo dalle suore del Buon pastore”. Sono loro, con il supporto della onlus Good Sheperd International Foundation, ad aver organizzato l’incontro. Animano una rete di assistenza che va su e già per i quartieri e ha come centro il Dispensario Sant’Antoine: situato sulla collina di Jdeideh, affiancato da un centro sociale nella cittadella sciita di Roueissat e sostenuto dall’università gesuita di Saint Joseph, assiste cristiani e musulmani, libanesi, iracheni e siriani, senza alcuna distinzione.“A chi non ha soldi non chiediamo di pagare, chi può contribuisce come riesce” ci spiega suor Antoinette Assaf, 54 anni, la direttrice. “Ci attiviamo per cercare i farmaci, se serve mettendo a disposizione fondi dal nostro budget di emergenza; il nostro motto è ‘La religione è per Dio, il Dispensario per tutti’”.Con ormai tre persone su quattro in una condizione di povertà, in Libano quella sanitaria è un’emergenza nell’emergenza. Spesso gli scaffali delle farmacie e dei centri di prima assistenza sono vuoti. Il governo denuncia speculazioni degli importatori, mentre si moltiplicano le chiamate d’aiuto al Dispensario Sant’Antoine.Giù al porto invece è tutto silenzio. Fermi gli scheletri delle gru, ferma l’inchiesta. Quando ha incriminato l’ex capo del governo Hassan Diab e tre suoi ministri per negligenza dolosa, il procuratore Fadi Sawan è stato rimosso. La tesi dei suoi nemici è che fosse di parte perché nell’esplosione aveva perso la casa. Non sta andando meglio al nuovo procuratore, Tarek Bitar, finito sotto accusa per aver convocato politici e funzionari dei servizi di sicurezza. Oggi sulla facciata un palazzo di fronte al porto sventola uno striscione su scritto ‘”Avete perso l’immunità”: satira contro ogni veto, come quello opposto alle azioni penali nei confronti dei deputati, e sogno di un altro Libano. (www.dire.it)