Vita Chiesa

San Miniato, l’ingresso di mons. Migliavacca: «Aiutatemi ad andare a Betlemme, cioè incontro a tutti»

«La liturgia che celebriamo oggi è carica di significati: è celebrazione che ci introduce negli ultimi passi verso il Natale, verso il venire di Dio in mezzo a noi; è evento in cui abbiamo aperto a San Miniato la porta santa, per un tempo di grazia, il Giubileo, nel dono della misericordia; è momento in cui viviamo l’inizio del ministero episcopale nella diocesi da parte mia, nuovo vescovo di San Miniato. Tutto questo viene illuminato dalla Parola di Dio che abbiamo ascoltato e dai gesti liturgici che poniamo». Queste le prime parole di mons. Andrea Migliavacca come di vescovo di San Miniato, pronunciate nel corso della sua prima omelia, ieri pomeriggio nella cattedrale di San Miniato. Ecco il testo integrale dell’omelia:

Saluto anzitutto i presenti: il cardinale Betori, mons. Fausto, i vescovi della Toscana e di altre diocesi italiane, mons. Morello Morelli con i preti della diocesi, i religiosi e le religiose, la comunità cristiana di questa terra e tutti coloro che qui conducono la loro vita, i giovani e gli amici, tanti, che mi accompagnano da Pavia, verso i quali non viene meno il legame di affetto e di condivisione che, profondamente radicato, vive e avrà nuove opportunità. Saluto anche le istituzioni e le autorità. A tutti grazie per l’accoglienza e la cordialità.

La Parola di Dio ci consegna un messaggio che così si potrebbe rendere: «Dio visita il suo popolo». E’ il messaggio del Natale stesso, a cui ci prepariamo, ma tocca anche il senso vario della celebrazione che stiamo vivendo.

Il profeta Michea, nella prima lettura, ci parla del Signore che viene e verrà non nella gloria trionfante, ma nella semplicità e nella povertà di un piccolo centro della terra di Israele: Betlemme.

Il venire di Dio da Betlemme ci riporta alla discendenza davidica e sottolinea uno stile dell’agire di Dio: il Signore viene collocandosi tra gli ultimi, i peccatori, come farà chiedendo il battesimo di Giovanni Battista. «Maestro dove abiti?» dice il motto che ho scelto. Dove ti troviamo Signore, dove ti riveli a noi? Betlemme, cioè dove povertà e semplicità svelano la divinità e il Salvatore. Ogni luogo, persona, esperienza di vita che oggi ripresenta Betlemme, la sua piccolezza, diventano il luogo in cui si rivela la presenza di Dio, ci viene incontro, si fa trovare, opera come Salvatore.

Vedo in questo primo aspetto il compito del vescovo tra la gente e il compito di ogni credente: andare a Betlemme. Si tratta di rendersi presente nei luoghi diversi della vita e della realtà diocesana dove le vicende umane concrete manifestano speranze, progetti, delusioni, fatiche, sofferenza, condivisione e lì cercare di cogliere la presenza di Dio, ascoltare la sua Parola, scorgere la sua opera, riconoscere che Lui fa il bene e raccontarlo. Ecco, il vescovo deve raccontare a tutti la presenza e l’agire di Dio, il suo farsi vicino. E per far questo, anche lui, il vescovo, deve farsi vicino. Andare a Betlemme. Chiedo ai sacerdoti, ai vari collaboratori, ai credenti, a coloro che sono di fedi diverse di aiutarmi ad andare a Betlemme, a conoscere e incontrare la vita della gente lì dove si trova, dove affronta le vicende della vita, sia quelle liete e anche quelle più faticose.

Un secondo messaggio mi pare di raccogliere da questo testo di Michea: Betlemme diventa luogo rilevante, conosciuto in tutto il mondo, perché nasce Gesù, è scelto da Dio, si potrebbe dire è amato da Dio.

Con il riferimento a Betlemme si parla anche della diocesi di San Miniato, si parla delle nostre città, tutte, dei luoghi dove si vive. Ci è detto: tu sei luogo amato dal Signore, scelto da Lui per viverci, per venirci incontro. I nostri luoghi sono storicamente e urbanisticamente diversi: Dio abita lì dove c’è il suo popolo e arricchisce ciò che incontra.

Anche questa dovrà essere la nostra avventura: vivere San Miniato, la città e gli altri centri, tutta la diocesi, come la terra visitata e benedetta dal Signore, resa ricca da Lui. Si tratta di scoprire e valorizzare tutte le potenzialità che abbiamo: professionali e di lavoro, educative, intraprendenze diverse, singolarità di ciascuno, strutture diocesane e parrocchiali, associazioni, gruppi e movimenti, aggregazioni diverse, immigrati. Tutto va incontrato da noi e riconosciuto come amato dal Signore e quindi consegnato a noi come terra ed esperienza amata e da amare. Si tratta di riconoscere il bene con cui il Signore ci accompagna e per questo dobbiamo guardare alla realtà con l’attenzione a far crescere ciò che deve ancora germogliare.

Sono certo che con tutti voi scoprirò le bellezze di questa diocesi per ripetere io con voi che questa è terra ed è gente amata dal Signore.

La lettera agli ebrei, nella seconda lettura, ci racconta lo stile del venire di Dio, del Messia. Egli non viene per ricevere per sé sacrifici di cose o di animali, ma sarà Lui stesso il sacrificio offerto al Padre una volta per sempre, per redimere tutti noi. Egli viene per amarci con tutta la propria vita, fino al dono estremo (cf Gv. 13, 1: «Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine«). Dio visita il suo popolo… Come avviene questo? Ci dice la pagina di ebrei: viene come servo, viene facendo la volontà del Padre, viene con lo stile di chi ama, di chi lava i piedi ai suoi amici, manifesta la misericordia di Dio.

Non è questo lo stile che il papa ci invita a vivere nella celebrazione del Giubileo, il Giubileo della misericordia appunto?

Ripensiamo la scena richiamata dal testo del vangelo di Matteo sul giudizio universale (Matteo 25, 31s.): «Venite benedetti del Padre mio… perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi».

La misericordia di cui ci parla il vangelo è molto concreta. Non è fatta principalmente di discorsi nobili, illuminati, strategici, ma si realizza in opere buone che realmente incontrano le diverse situazioni di bisogno, che tutti possono fare. Abbiamo aperto la porta santa in questa Cattedrale: simbolicamente dovrebbe essere invito ad aprire le porte di casa nostra, delle nostre istituzioni civili ed ecclesiali, delle nostre vite, del nostro cuore umano per lasciare entrare, incontrare e farci carico dei bisogni dei nostri fratelli e sorelle.

Anche la porta del vescovo dovrà essere aperta all’accoglienza, anzitutto per i fratelli nel ministero, ma anche per i giovani, per chi desidera un incontro, per chi ha bisogno, per chi fa festa o per chi piange. Il papa invita i vescovi a non essere funzionari nei loro palazzi, ma ad essere uomini, credenti tra la gente, capaci di condivisione. E’ un invito impegnativo. E’ una strada da intraprendere e già chiedo scusa per le situazioni in cui non sarò capace di essere così, per le mie fatiche o errori. Sento però forte l’appello evangelico: «Ecco, io vengo per fare la tua volontà».

So che la diocesi, con la Caritas, ha già significative esperienze di carità, rivolte a diverse esigenze e emergenze. Mi aiuteranno a farmi vicino a chi ha bisogno e manifesteranno così la carità della diocesi e del vescovo. Ringrazio già per il bene che farete.

L’anno santo della misericordia diventi anche tempo di conversione per tutti noi, cioè tempo in cui tutti sentirci amati, perdonati, salvati, custoditi dal Signore Gesù che visita il suo popolo.

Anche il Vangelo ci parla di un visita. E’ Maria che visita la cugina Elisabetta, entrambe le donne in attesa di un figlio, Gesù e Giovanni Battista, ma è riconosciuta da Elisabetta come portatrice della grazia divina che salva: «benedetto il frutto del tuo grembo». Ancora una volta è il Signore a prendere l’iniziativa e lo fa tramite Maria. Come accade questo?

Anzitutto c’è il suo cammino: «Maria si alzò e andò in fretta… Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta». In lei vediamo il nostro metterci in cammino che porta la presenza del Signore. E’ quello che il papa ama chiamare: «chiesa in uscita». Si tratta di camminare per cercare, visitare, incontrare, ascoltare, condividere, sostare, abitare. E’ chiesto a tutti questo. Ma non ci è chiesto semplicemente di andare noi, ma di andare portando Gesù. Maria porta Lui nel grembo. E’ l’andare da discepoli, da amici di Dio: si tratta di condividere la sua parola, quella del vangelo, di ripetere i suoi gesti di perdono, di amore, di dono, di non cercare i propri interessi ma il bene degli altri. Atteggiamenti che ci sono stati ricordati dal recente Convegno della Chiesa italiana a Firenze e che saranno oggetto della nostra attenta considerazione.

Al vescovo, a me, dovete chiedere: portaci la visita di Dio, la sua parola, i suoi gesti e lo riconosceremo. Da solo però il vescovo non potrà raggiungere ciascuno: a tutti è chiesto di «uscire», di andare in fretta, come Maria, a incontrare e portare la visita di Dio. Ci aiuterà in questo cammino tenere presente quanto mons. Fausto già vi ha scritto nella sua ultima lettera pastorale che ancora ci può guidare e nella quale ci sono indicate le opere di misericordia come la strada da percorrere verso tutti.

Inoltre Maria porta la visita di Dio perché è in profonda comunione con Lui. «Beata colei che ha creduto» dice Elisabetta. Maria è donna di fede. Solo nella fede si porta Gesù e non se stessi.

Tutta la diocesi allora, preti, religiosi e religiose, giovani, anziani, aggregazioni ecclesiali, malati, vescovo, tutti siamo chiamati a rinnovarci nella fede. «Colei che ha creduto»: è la fede che nasce dall’ascolto della Parola e cerca una profonda comunione con Dio; è la fede che si scopre ricevuta in dono da altri credenti; è la fede che si sostiene nella preghiera; è la fede che si nutre e si orienta anche sulla parola della Chiesa; è la fede che si lascia interrogare; è la fede che cerca dove il Signore è; è la fede fondata sulla tradizione; è la fede da incarnare nella società; è la fede che si coniuga con la coscienza… E’ la fede che porta ad un rapporto personale, vero, intenso con il Signore Gesù.

Per portare la visita del Signore siamo chiamati a scoprire e coltivare la fede. Saremo tra noi reciprocamente testimoni della nostra fede. Raccogliamo la esemplarità di tanti, talvolta nel nascondimento, che vivono con autenticità un cammino di credenti. Sono i santi della nostra terra, quelli noti e quelli che incontriamo nella normalità della vita, nella fraternità vissuta, sono i santi patroni, San Genesio e San Miniato e anche il beato Pio Alberto Dal Corona, esemplare nella fede.

Portare Gesù: richiede da noi, come per Maria, un uscire, un metterci in cammino per incontrare e il ricercare che questo sia un cammino di fede, cioè che ci metta in cammino non prima di tutto geograficamente, ma interiormente.

Riascoltiamo alcune parole di papa Francesco al Convegno di Firenze, nelle quali ci indica quale comunità siamo chiamati ad edificare:

«Mi piace una chiesa italiana inquieta, sempre più vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti. Desidero una Chiesa lieta col volto di mamma, che comprende, accompagna, accarezza. Sognate anche voi questa Chiesa, credete in essa, innovate con libertà. L’umanesimo cristiano che siete chiamati a vivere afferma radicalmente la dignità di ogni persona come Figlio di Dio, stabilisce tra ogni essere umano una fondamentale fraternità, insegna a comprendere il lavoro, ad abitare il creato come casa comune, fornisce ragioni per l’allegria e l’umorismo, anche nel mezzo di una vita tante volte molto dura». E prosegue: Vi affido a Maria… che a Firenze si venera come Santissima Annunziata. Nell’affresco che si trova nella omonima basilica l’angelo tace e Maria parla dicendo Ecce ancilla Domini. In quelle parole ci siamo tutti noi. Sia tutta la Chiesa italiana a pronunciarle con Maria». Sia tutta la chiesa di San Miniato, aggiungo, a ripeterle con Lei».