Vita Chiesa

Montevarchi, mons. Galantino: «L’uomo di oggi «chiede, senza saperlo, di essere salvato»

«Umiltà, disinteresse e beatitudine: tre virtù che motivano e sulle quali poggia quello spirito missionario e di servizio, che deve essere proprio del credente e della comunità cristiana. Il Papa ci invita a fornirci di questo biglietto da visita; l’unico col quale possiamo stare nel mondo e col quale possiamo giustificare la nostra presenza nel mondo e con il quale possiamo presentarci al mondo se vogliamo contribuire a rinnovarlo e a salvarlo, aspirando nel contempo a salvare noi stessi», ha affermato il presule. L’umiltà è «cifra del vivere cristiano chiave per la realizzazione dell’esistenza di ogni uomo, che vuole portare a pienezza il messaggio evangelico». «Per essere operatori di pace – ha aggiunto Galantino -serve l’umiltà, senza la quale finiscono per prevalere le logiche autoreferenziali propagandate nel nostro mondo; per essere miti serve ancora l’umiltà, in una società che – mossa dalla fretta e dalla frenesia di chi equipara il tempo al denaro, e considera il denaro la prima condizione per una vita felice – spinge all’aggressività, cioè al contrario della mitezza e dell’umiltà».

«Il secondo atteggiamento» richiesto «a chi vuole adeguare la propria vita e le proprie scelte a Cristo Gesù» è il «disinteresse», ha proseguito monsignor Nunzio Galantino. «L’umiltà è disinteressata e gratuita; è libera, perché non è mossa da interessi personali, ma dalla ricerca e dell’attrazione del bene», ha aggiunto. Non solo: «Chi ama, sconvolge e interpella chi lo incontra, in quanto assume la gratuità come stile di vita. In un mondo così assetato di una felicità che non trova, perché la cerca dove non è, solo una Chiesa capace di spingersi di là dei porti sicuri – portino essi il nome di strutture consolidate o di dottrine a prova di stringenti sillogismi – (solo una Chiesa capace di spingersi) nel mare aperto del mondo, della vita concreta delle persone e del territorio, solo una ‘Chiesa in uscita’ capace cioè di vivere così la sua missionarietà potrà farsi compagna di strada dell’uomo di oggi. E solo allora sarà la Chiesa dei veri discepoli del Cristo», che «è disceso dal cielo, come contempliamo nel Natale, per assumere l’umano e vivere nel tempo. Egli ha voluto – potremmo dire impiegando un termine non biblico né liturgico –abitare il territorio, il che ci ricorda l’impegno di abitare, come conseguenza della fede in colui che, dal cielo, è venuto ad abitare fra noi».

«Un compito importante e inderogabile», per mons. Galantino, è «sensibilizzare e animare la cultura, poiché dove sul piano ideale e culturale dominano logiche e idealità inconsistenti o dannose, non si riuscirà a portare le persone su una via costruttiva, solidale e umanizzante». Per questo, ha sottolineato il presule, «deve mantenersi vivo il proposito di educare a una cittadinanza responsabile, sollecitando soprattutto i giovani a non lasciarsi condizionare da raffigurazioni negative e disincantate del vivere associato e dell’impegno sociale e politico, e mostrando loro tale insegnamento con l’esempio della vita». Ha, quindi, espresso un auspicio: «Sogniamo una società nella quale l’educazione sia resa quasi superflua, per il fatto che i valori sono in essa evidenti, e risulta già immediatamente comprensibile cosa significa impegnarsi, essere cittadini, essere leali. Chi vive e cresce in un tale contesto sano, dovrebbe essere già imbevuto, come per osmosi, di questi valori. In questo mondo ideale, che cerchiamo di costruire, non dovremmo educare i più giovani con l’intendo di rafforzarli, e prepararli a inserirsi in un contesto sociale ostile, nel quale tuttavia devono essere giusti e testimoni». Al contrario, «questi atteggiamenti virtuosi dovrebbero apparire già evidenti, perché osservati negli adulti e nelle varie dinamiche relazionali in seno alla società, capaci di veicolare cosa significhi essere uomini e donne, vivere da cittadini, comportarsi in modo onesto e impegnato. Non abbandoniamo, disillusi, questa meta alta, ma teniamola fissa davanti a noi come un obiettivo raggiungibile e da raggiungere».

«Il terzo atteggiamento – ha ricordato ancora Galantino – che il singolo credente e l’intera comunità ecclesiale, guardando a Cristo Gesù, sono chiamati a coltivare per migliorare se stessi e le realtà nelle quali sono inseriti è la beatitudine». «Il vocabolario oggi più in voga preferisce parlare di ‘divertimento’ – ha avvertito il presule -, scambiando la felicità per il godimento di beni immediatamente conseguibili, e che immediatamente svaniscono, in una sorta di usa e getta, che strumentalizza le persone e le cose, e induce a trattare gli altri e perfino se stessi come un oggetto, come le mentalità abortiste e eutanasiche confermano drammaticamente». Avendo posto il soggetto al centro di tutto, «la modernità ha esaltato l’individuo sopra ogni cosa, facendone il centro del reale. Tale valorizzazione della persona umana non è sbagliata, in quanto essa è realmente – ce lo insegna la Bibbia – il centro e il vertice della creazione». Ma «il modo in cui è stata realizzata è stato unilaterale e squilibrato, finendo per giustificare l’egoismo e il privilegio di sé, con la conseguenza di lasciare indietro tanti e creare emarginazione e nuove sofferenze. La deriva della modernità, traghettatasi in tal senso nella post-modernità, ha finito per creare e incoronare un essere umano autonomo rispetto a Dio e rispetto agli altri, individualisticamente chiuso alla trascendenza e alla relazione, lasciandolo presto solo e privo di direzione, come se la promessa della felicità gli fosse improvvisamente negata. Questo uomo chiede, senza saperlo, di essere salvato, preso per mano e accompagnato a scoprire che vi è un senso, che vi è una prospettiva di liberazione e di pace. Chiede una nuova cultura e un nuovo umanesimo, per poter impostare in modo diverso la sua esistenza».