Vita Chiesa
Lucca, mons. Castellani: «Fratel Arturo, uomo della Parola diventata vita»
«Fratel Arturo – con il suo forte tratto di personalità, levigata da una vita vissuta alla luce della Parola di Dio – a ciascuno di noi ha ‘suggerito’ un passo di Vangelo di cui far memoria e tesoro a partire dalla sua sempre ‘giovane’ testimonianza». Lo ha detto l’Arcivescovo di Lucca, mons. Italo Castellani, all’inizio dell’omelia delle esequie di fratel Arturo Paoli, morto lo scorso lunedì all’età di 102 anni.
Concelebravano con lui, oltre a numerosi sacerdoti, altri tre vescovi: mons. Luigi Bettazzi, mons. Mansueto Bianchi e mons. Bruno Tommasi. Presenti anche il priore di Bose, Enzo Bianchi e alcuni Piccoli Fratelli del Vangelo, la Congregazione religiosa che don Arturo Paoli aveva scelto tanti anni fa, dopo la sua esperienza romana di assistente della Giac.
Fratel Arturo verrà sepolto – come aveva lasciato scritto – «nel piccolo cimitero attiguo alla chiesa di S. Martino in Vignale senza monumenti del genere». In quella piccola comunità sulle colline lucchesi che era stato l’approdo al termine di una lunga vita spesa in mezzo ai poveri. Era stato «L’AMICO», come fratel Arturo chiamava il Signore, a indicargli la sua Lucca dove «fermarsi» al suo rientro dal Brasile, dieci anni fa. «Gli anni di San Martino in Vignale», ha detto mons. Castellani, non sono stati «altro che un anticipare il desiderio di incamminarsi e tornare alla Casa del Padre».
Nella lunga omelia, che riportiamo integralmente qui sotto, l’Arcivescovo è partito da alcuni brani biblici che ne illuminano la personalità: «La figura dell’inviato di Dio, del missionario, che si lascia sedurre dal Signore nonostante le sue perplessità e la contrarietà dell’ambiente a cui è inviato e che diventa fuoco nell’annunciare la Parola»; «La povertà e la concretezza come sequela del “modello unico”, Gesù Cristo, che si fa povero, l’ultimo degli ultimi, per essere accanto ad ogni uomo»; «La passione e la responsabilità per la Storia e per la Terra, primo passo per mettere in pratica il Vangelo delle Beatitudini, da annunciare fino agli estremi confini del mondo a partire da un senso pieno e libero di Comunità».
«Sicuramente Fratel Arturo – ha detto ancora mons. Castellani – è “uomo della Parola”: l’ha ascoltata, custodita, amata, studiata, annunciata e predicata con coraggio e fermezza». «Una Parola – ha proseguito – che nella vicenda di Fratel Arturo è divenuta concretezza verso la storia e per la terra».
Mons. Castellani ha poi sottolineato come «la spiritualità di Fratel Arturo» sia «estremamente complessa e generata da molti fonti» ma come, al contempo esprima «una straordinaria semplicità, attinta dal Beato Charles de Foucauld, quando contempla il verbo di Dio nella sua discesa tra gli uomini e la sua completa compromissione con la storia e la tragedia dell’umanità». E ha concluso l’omelia ricordando come quando fratel Arturo partecipava alle concelebrazioni in cattedrale, al momento della Preghiera Eucaristica «non si appoggiava alla mensa ma con le sue mani, grandi e segnate dalla Storia, si afferrava con forza ed estrema passione alla tavola della mensa, che non è un elemento dell’altare ma Cristo stesso. In questo modo, con un particolare affettuoso e familiare, vogliamo ricordare Fratel Arturo ormai “afferrato da Cristo”. E che appartiene ormai solo a Lui. E a nessun altro!».
Ecco il testo integrale dell’omelia di mons. Castellani:
«Io, piccolo fratello del Vangelo, Arturo Paoli…nell’evento della morte dispongo che il mio corpo sia interrato nel piccolo cimitero attiguo alla chiesa di S. Martino in Vignale senza monumenti del genere. Se mi verranno in mente alcune parole, che mantengono viva la mia intenzione di glorificare il Padre, ve le suggerirò…».
Fratel Arturo – con il suo forte tratto di personalità, levigata da una vita vissuta alla luce della Parola di Dio – a ciascuno di noi ha ‘suggerito’ un passo di Vangelo di cui far memoria e tesoro a partire dalla sua sempre ‘giovane’ testimonianza.
Accogliamo la grazia di questa Divina Liturgia del commiato cristiano, per ascoltare ancora una volta con Lui l’unica Parola che salva l’uomo: Gesù Cristo, Vangelo di Dio.
– La figura dell’inviato di Dio, del missionario, che si lascia sedurre dal Signore nonostante le sue perplessità e la contrarietà dell’ambiente a cui è inviato e che diventa fuoco nell’annunciare la Parola: «Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre…nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo» (Ger 20,7,9).
– La povertà e la concretezza come sequela del «modello unico», Gesù Cristo, che si fa povero, l’ultimo degli ultimi, per essere accanto ad ogni uomo: «Cristo Gesù, pur essendo di natura divina spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo (Fil 2,5-7).
– La passione e la responsabilità per la Storia e per la Terra, primo passo per mettere in pratica il Vangelo delle Beatitudini, da annunciare fino agli estremi confini del mondo a partire da un senso pieno e libero di Comunità: «Voi siete il sale della terra…,Voi siete la luce del mondo (Mt 5,13-14).
È questo il percorso sulla Parola del Signore che ho scelto per accompagnare Fratel Arturo, Piccolo fratello del Vangelo, per noi lucchesi «don Arturo», alla pienezza di quell’incontro che ha sempre desiderato e lungamente anticipato nelle sue straordinarie veglie notturne: «O Dio tu sei il mio Dio, dall’aurora ti cerco…» (Sal 62).
Ovviamente non si tratta di «adattare» questi testi alla storia di Fratel Arturo, ma è il tentativo di mettere in evidenza alcuni tratti della vita di questo nostro carissimo Fratello, alla luce della Parola del Signore, passando attraverso l’emozione del cuore e la passione del ricordo che la Parola evoca a ciascuno di noi in questo momento.
1) UOMO IN ASCOLTO DELLA PAROLA
Sicuramente Fratel Arturo è «uomo della Parola»: l’ha ascoltata, custodita, amata, studiata, annunciata e predicata con coraggio e fermezza.
La vicenda del profeta Geremia, accolta nella proclamazione della prima Lettura, getta piena luce sulla sua peculiare testimonianza ecclesiale.
Il profeta che in nome della Parola di Dio ha il coraggio di denunciare l’ingiustizia dei potenti sino all’ipocrisia delle autorità religiose del tempo.
Geremia appartiene a quel tipo di profeti di cui oggi si sente la mancanza, profeti che in nome del Signore non hanno paura di denunciare i tradimenti della Parola.
Nel brano letto ci imbattiamo nell’immagine della Parola di Dio come fuoco. Spesso nella Scrittura, in particolare nell’Esodo, Dio quando parla agli uomini è accostato al fuoco: il celebre roveto ardente è tuttavia qualcosa di esterno a Mosè, una realtà che sta fuori di lui. In Geremia il fuoco della Parola di Dio è invece «chiuso nelle sue ossa (Ger 20,9)», è qualcosa che brucia il profeta dal di dentro. È come se Geremia fosse diventato lui stesso una specie di Oreb vivente: il profeta come manifestazione della Parola che è fuoco!
Per Geremia, che paga di persona la sua fedeltà all’annuncio della Parola, il criterio di autenticità del profeta è nella sua rettitudine di vita.
La Parola di Dio, in un modo o nell’altro, disturba sempre, non può lasciare mai indifferenti, anzitutto chi l’annuncia. Risuonano forti le parole di Geremia: «le mie viscere, le mie viscere! Sono straziato. Mi scoppia il cuore nel petto, mi batte forte, non riesco più a tacere».
Chi ha conosciuto Fratel Arturo almeno una volta l’avrà sentito dire parole simili!
2) A SERVIZIO DELLA PAROLA
Una Parola che nella vicenda di Fratel Arturo è divenuta concretezza verso la storia e per la terra.
Nel discorso della montagna, dopo le Beatitudini che tracciano il progetto divino per un’umanità nuova, Gesù si rivolge ai Dodici ricordando loro di essere «sale della terra…», «luce del mondo…«(Mt 5,1-2).
Il testo del Vangelo di Matteo è giustamente tradotto all’indicativo e non all’imperativo; non c’è scritto infatti «voi siate» (il sale, la luce)», bensì «voi siete». L’indicativo dice chiaramente l’anteriorità del dono di Dio, della sua iniziativa d’amore – la medesima che fonda la verità delle Beatitudini, la medesima che ha cambiato la vita di Arturo – che costituisce la comunità quale sale, quale luce, quale città sul monte.
Il brano evangelico ha un chiaro carattere propositivo e insieme esortativo e ha come destinatari appunto quei discepoli che si sono raccolti intorno a Gesù, per ascoltare da vicino la sua parola e, in definitiva, per conoscere così il suo cuore. Ma anche per poi agire nella storia.
Quante volte Fratel Arturo ce lo ha ricordato! Ho trovato una Sua piccola riflessione su questo brano evangelico, forse secondaria come intensità ma fortemente provocatoria, che così si esprime: «Seguendo un metodo che ho imparato all’università e che mi ha dato buoni risultati, parto dalla negazione. ‘Noi non siamo il sale della terra’! Basta posare uno sguardo sulla nostra città, alzarlo sull’Italia, estenderlo sull’Occidente cristiano.
L’Occidente cristiano non mostra segni di essere stato fecondato dal Vangelo: la vendita delle armi e lo spaccio della droga costituiscono due entrate di tanta importanza che, se il Mercato vi rinunziasse, si sfascerebbe. Dunque l’Occidente cristiano che ha promesso con le parole di Gesù di esportare vita, oggi è impegnato ad esportare morte. I preti e i «quasi preti» hanno una risposta in tasca, da tirar fuori quando appare questa conclusione giudicata pessimistica: «C’è tanta buona gente. Il male fa chiasso e il bene è silenzioso». Sono così ordinarie queste risposte da essere banali. Gesù non ha parlato di anime beate, ha parlato di terra. E non per distrazione, e non dobbiamo cambiare le carte in tavola, terra è terra!».
Allora per noi, e la testimonianza di Fratel Arturo è proprio questa, diventa decisivo «essere sale». Il sale, che ciascuno di noi è, per la grazia del Battesimo, non è fatto per restare in una bella confezione: siamo fatti per mescolarci alla storia, è per quello che siamo stati inventati.
3) FATTO PAROLA
Fratel Arturo, appassionato di Gesù da riconoscere ed accogliere negli ultimi. Lui stesso, il Cristo, si è fatto «l’Ultimo degli ultimi», impegnato fino in fondo a testimoniare che importante non è il dire ma il fare.
La spiritualità di Fratel Arturo è estremamente complessa e generata da molti fonti, al contempo esprime una straordinaria semplicità, attinta dal Beato Charles de Foucauld, quando contempla il verbo di Dio nella sua discesa tra gli uomini e la sua completa compromissione con la storia e la tragedia dell’umanità.
Il brano della Lettera ai Filippesi che abbiamo ascoltato è uno dei testi più amati da Fratel Arturo. Esso ci porta alla radice del suo impegno per ogni donna e ogni uomo che la Storia, in situazioni diverse, gli ha messo davanti: dagli ebrei e gli sfollati da proteggere durante la Guerra, al popolo delle favelas del Brasile; dai giovani impegnati nella vita associativa e politica dell’Italia del dopoguerra e che stava facendo i conti con il cambiamento sociale, ai contadini e ai senza terra dell’America latina; dal sostegno anche intellettuale ai movimenti di liberazione alla vicinanza reale e appassionata ai poveri di ogni dove; l’impegno permanente per la pace… e l’elenco potrebbe continuare a lungo.
Il Beato Charles del Foucauld, nel suo percorso spirituale afferma che: «La prima conseguenza dell’amore è l’imitazione». E quando il Beato Carlo si chiede in che cosa egli debba imitare Cristo, trova la risposta in una espressione di S. Agostino: «Nostro Signore ha scelto l’ultimo posto, a tal punto che nessuno è mai riuscito a toglierglielo». Charles de Foucauld non si allontanerà più da questa persuasione: se non si può togliere a Cristo l’ultimo posto, si può, però, fargli compagnia. E questa compagnia a Gesù, Ultimo degli ultimi, diventa la straordinaria forza liberante del discepolo. E come ha detto Fratel Arturo pochi giorni di morire in una conversazione con degli amici: «Vivete il Vangelo con i fatti e non con le parole, e il Signore sarà sempre con voi!«
Conclusione
Abbiamo fatto questo percorso in compagnia della Parola e dei sentimenti per Fratel Arturo, «Piccolo Fratello del Vangelo» e «Prete che questa Chiesa di Lucca ha generato». Mi permetto alcune piccole osservazioni che si rifanno proprio alla Città di Lucca e al senso di essere prete di Fratel Arturo.
Per lui, cittadino del mondo e uomo dalle esperienze culturali più diverse, la radice con la sua, la nostra Città, è rimasto un elemento fondamentale: ovunque egli ha vissuto ha sempre portato con se la sua Città, amandola pur conoscendone oltre i pregi i suoi tanti limiti e difetti: ma proprio per questo si è trattato di vero amore! Una Città che fin da piccolo gli ha riservato emozioni ed insegnamenti, gli ha consegnato, con discrezione e riservatezza, una lunga storia dove la fede in Cristo ha disegnato non solo l’architettura delle strade e degli edifici ma soprattutto il pensare e l’agire. Il Volto Santo, di cui Fratel Arturo era un «oblato», ogni volta che tornava a Lucca era «l’AMICO» a cui fare visita, primo di una lunga serie di relazioni vere e schiette che ha mantenuto e ha curato fino ad oggi.
Dell’«AMICO», il Signore Gesù – che Fratel Arturo era solito scrivere tutto al maiuscolo – al momento del rientro definitivo dal Brasile in Italia, dovendo discernere dove fermarsi e abitare mi scrive: «Con “l’AMICO” si attraversano periodi di buio e momenti di pace: non ci si annoia mai…Da qualche tempo “l’AMICO” mi dice fermati…Dove? Gli ho chiesto. “L’AMICO” mi ha detto: “Lucca”!…Dando un’occhiata retrospettiva sul mio lungo cammino sento infinita gratitudine verso l’“AMICO” per le tante volte che mi ha detto: “Alzati e va dove ti indicherò”. All’epilogo devo solo dirgli: grazie, non ne hai sbagliata mai una»!
In fondo l’essere ritornato a Lucca, ormai dieci anni fa, «gli anni di San Martino in Vignale», non è stato altro che un anticipare il desiderio di incamminarsi e tornare alla Casa del Padre.
Ed anche essere prete di questa Chiesa di Lucca, oltre la sua scelta religiosa di Piccolo Fratello del Vangelo, è rimasto un carattere permanente della sua vita. E anche il rapporto con i confratelli del clero lucchese, non sempre facile, per lui raffinato e cosmopolita professore di lettere classiche in seminario, è stato pur vitale e necessario. Ricordo con simpatia quando veniva alle celebrazioni in Cattedrale ed incontrava i suoi antichi alunni, ormai già venerabili Canonici del Duomo, che lo appellavano, con affetto ed un po’ di ironia «Professore!» e lui, con altrettanta ironia e ancor più affetto gli ricordava gli errori che facevano nel compito greco settanta anni prima!
Ma un ricordo ed un segno particolare, tra tanti altri, custodisco nel cuore. Fratel Arturo, fino allo scorso anno, ha sempre partecipato alle Celebrazioni in Cattedrale presiedute dal vescovo: la Messa Crismale, la Santa Croce… Fino alla Messa Crismale dello scorso anno, ultracentenario, anche se a fatica, veniva sempre a condividere con il vescovo e i confratelli questi momenti importanti di comunione con il vescovo e la Chiesa: un po’ per affetto e un po’ per farlo sentire più sicuro, al momento della Preghiera Eucaristica lo invitavo ad approssimarsi a questo altare in modo da potervisi anche appoggiare. Ciò che mi colpiva, e che potevo ben vedere perché accanto a me, era il fatto che Fratel Arturo non si appoggiava alla mensa ma con le sue mani, grandi e segnate dalla Storia, si afferrava con forza ed estrema passione alla tavola della mensa, che non è un elemento dell’altare ma Cristo stesso. In questo modo, con un particolare affettuoso e familiare, vogliamo ricordare Fratel Arturo ormai «afferrato da Cristo». E che appartiene ormai solo a Lui. E a nessun altro!
Desidero, concludendo, condividere con Voi queste riflessioni da lui scritte il 29 gennaio 1954, in un momento delicato della sua vita e in un passaggio altrettanto delicato della storia della Chiesa italiana, da cui si evincono: il forte senso di amore-obbedienza alla Chiesa, la sua passione mai spenta per i giovani e, in definitiva, la sua fede indiscussa nel Risorto.
Riguardo ai giovani! Solo due mesi fa mi diceva: «Portami qui a casa i giovani di Lucca; faremo con loro un gruppo e li accompagneremo insieme sulle vie del Vangelo. I giovani di oggi ne hanno tanto bisogno«!
Ed ecco alcuni stralci della meravigliosa sua lettera del 1954 scritta ad un amico prete nell’imminenza di lasciare il servizio a Roma presso l’Azione Cattolica: «…Alcuni di noi siamo in liquidazione…La cosa è maturata lentamente ma inesorabilmente: noi ci siamo sentiti sempre più costretti a dichiararci e a difendere le posizioni dei giovani… Mi pare un grande dono che i giovani vedano qualcuno che ha pagato per loro, non potendo mantenere fede agli impegni che abbiamo verso di loro. Mi rendo conto della difficoltà della nostra posizione: dicevo stamani ad alcuni giovani che noi siamo ad un passo dalla occasione di diventare dei ribelli o dei santi. E vogliamo essere dei santi ad ogni costo… Io mi sono detto disposto ad accettare qualunque soluzione mi viene dall’autorità, sapendo che ogni sepoltura, quando viene da Dio è una resurrezione, e ogni trionfo che non viene da Dio è una sepoltura…Stamane diceva La Pira che ci sono due cose sicure: che Gesù è Risorto e che il Paradiso c’è e ci attende. Che vogliamo di più?».