Vita Chiesa

Papa in Ecuador, a sacerdoti e religiosi: gratuità e servizio; il rischio dell’«Alzheimer spirituale»

Il Pontefice ha detto di non «avere voglia» di leggere il discorso preparato, che ha consegnato alla Conferenza dei religiosi affinché sia diffuso tra i presenti e ha parlato a braccio.

Il primo pensiero è stato per Maria, che «non ha mai vissuto come protagonista», ma è stata la «prima discepola di suo Figlio». E proprio da Maria dobbiamo imparare la coscienza della gratuità di Dio: «Tutti i giorni – ha affermato – tornate a percorrere questo cammino della gratuità con cui Dio ci ha scelto». Infatti, ha osservato, «non avete pagato un ingresso per entrare nella vita religiosa, non lo avete meritato. Siamo oggetto della gratuità di Dio». Il Santo Padre ha messo in guardia da un rischio: «Se dimentichiamo questo, ci renderemo importanti. Lentamente ci allontaniamo da quello da cui Maria non si è mai allontanata: la gratuità di Dio». Perciò, «prima di andare a dormire – è stato il consiglio di Francesco – dare uno sguardo a Gesù» e, imparando da Lui, «dire tutto è gratis».

Alzheimer spirituale. Il Papa, poi, ha parlato del rischio di cadere in «una malattia pericolosa»: «Non cadete – ha esortato – nell’Alzheimer spirituale, non perdete la memoria da dove siete stati tolti, non perdete le radici. La gratuità è una grazia che non può convivere con la promozione». La gratuità va insieme al servizio: «Servire – ha sostenuto il Pontefice – e non fare altro che servire, anche quando siamo stanchi, anche quando la gente disturba. Chi percorre il cammino del servizio deve lasciarsi disturbare senza perdere la pazienza». Dunque, «il servizio» va «mescolato alla grazie», è la ricetta suggerita dal Santo Padre: «Quello che hai ricevuto gratis, dallo gratis per favore. Per favore – ha insistito – non fate pagare la grazia. La nostra pastorale sia gratuita. È brutto quando qualcuno perde questo senso della gratuità». Il sacerdote o il consacrato che vive questi due aspetti della gratuità e della memoria si vede perché ha due caratteristiche: «la gioia e il fatto di godersi le cose». Infine, l’invito: «Facciamo memoria delle meraviglie che il Signore ha fatto nella nostra vita».

«Non siamo mercenari, ma servitori; non siamo venuti per essere serviti, ma per servire e lo facciamo con pieno distacco, senza bastone e senza bisaccia», ha ricordato il Papa a vescovi, sacerdoti, religiosi, religiose e seminaristi. «La parola di Dio – ha detto Francesco dal santuario nazionale mariano El Quinche, dedicato all’omonima Madonna, venerata in tutto il Paese – ci dice che nella storia di Israele i giudici, i profeti, i re sono un dono del Signore per far giungere la sua tenerezza e la sua misericordia al suo popolo. Sono segno della gratuità di Dio: è Lui che li ha eletti, scelti e inviati». «Questo ci libera dall’autoreferenzialità – ha proseguito – ci fa comprendere che non ci apparteniamo più, che la nostra vocazione ci chiede di rinunciare ad ogni egoismo, ad ogni ricerca di guadagno materiale o di compensazione affettiva, come ci ha detto il Vangelo», in cui «il Signore ci invita ad accogliere la missione senza porre condizioni». Come fa Maria, che «è stata un dono di Dio per i suoi genitori e per tutto il popolo che aspettava la liberazione».

«Ciascuno di noi ha fatto l’esperienza di un Dio che ci viene incontro all’incrocio, che nella nostra condizione di persone cadute, abbattute, ci chiama», ha detto ancora il Papa, che incontrando il clero prima di congedarsi dall’Ecuador ha ammonito: «Che la vanagloria e la mondanità non ci facciano dimenticare da dove Dio ci ha riscattati! Che Maria del Quinche ci faccia scendere dalle nostre ambizioni, dai nostri interessi egoistici, dalle eccessive attenzioni verso noi stessi!». «Non rifiutate di condividere, non fate resistenza a dare, non rinchiudetevi nella comodità, siate sorgenti che tracimano e rinfrescano, specialmente gli oppressi dal peccato, dalla delusione, dal rancore», l’invito di Francesco, che ha ricordato come «l’autorità che gli apostoli ricevono da Gesù non è per il loro vantaggio: i nostri doni sono destinati a rinnovare e edificare la Chiesa». 

«Maria non guarda indietro e, con chiaro riferimento al monito evangelico, cammina decisa in avanti. Anche noi, come i discepoli nel Vangelo, ci mettiamo in cammino per portare ad ogni popolo e luogo la Buona Notizia di Gesù». Il Papa ha usato questa analogia, per spiegare al clero ecuadoregno la virtù della «perseveranza», che in chiave missionaria «significa non andare girando di casa in casa, cercando dove ci trattino meglio, dove ci siano più mezzi e comodità», ma «richiede di unire la nostra sorte a quella di Gesù sino alla fine». Poi il riferimento alle apparizioni della Vergine del Quinche, che parlano di una «signora con un bambino in braccio» che «visitò per alcuni pomeriggi di seguito gli indigeni di Oyacachi quando questi cercavano rifugio dagli assalti degli orsi»: «Varie volte – il comento di Francesco – Maria andò incontro ai suoi figli; loro non le credevano, dubitavano di questa signora, però restarono ammirati dalla sua perseveranza nel ritornare ogni pomeriggio al calar del sole». Di qui la consegna: «Perseverare, anche se ci respingono, anche se viene la notte e crescono lo smarrimento e i pericoli. Perseverare in questo sforzo, sapendo che non siamo soli, che è il Popolo Santo di Dio che cammina. Camminiamo uniti, sostenendoci gli uni gli altri, e chiediamo con umiltà il dono della perseveranza nel suo servizio».

«Com’è bello quando la Chiesa persevera nel suo sforzo per essere casa e scuola di comunione, quando generiamo quello che mi piace definire la cultura dell’incontro!», ha esclamato il Papa, secondo il quale «incontrare il Signore, vivere nella sua casa, partecipare alla sua intimità, impegna all’annuncio del Regno e a portare la salvezza a tutti». «Attraversare le soglie del Tempio esige di trasformarci come Maria in templi del Signore e metterci in cammino per portarlo ai fratelli», ha proseguito, ricordando che «la Vergine, come prima discepola missionaria, dopo l’annuncio dell’Angelo, partì senza indugio verso un villaggio della Giudea, per condividere questa immensa esultanza, la stessa che fece sussultare san Giovanni Battista nel grembo di sua madre». «La gioia di evangelizzare muove la Chiesa, la fa uscire, come Maria», ha spiegato il Pontefice: «Una Chiesa in uscita è una Chiesa che si avvicina, che si adatta per non essere distante, che esce dalla sua comodità e ha il coraggio di raggiungere tutte le periferie che hanno bisogno della luce del Vangelo».

«Non dimentichiamo di aver cura, di animare e di educare la devozione popolare che si tocca con mano in questo Santuario ed è tanto diffusa in molti Paesi latinoamericani». È l’invito del Papa, nella parte finale del suo discorso al clero ecuadoregno, in cui ha fatto presente che «il popolo fedele ha saputo esprimere la fede col proprio linguaggio, manifestare i suoi più profondi sentimenti di dolore, dubbio, gioia, fallimento, gratitudine con diverse forme di pietà: processioni, veglie, fiori, canti che si trasformano in una magnifica espressione di fiducia nel Signore e di amore a sua Madre, che è anche la nostra». Di qui la centralità della devozione popolare, tanto cara ai popoli latini.

«A Quinche, la storia degli uomini e la storia di Dio confluiscono nella storia di una donna, Maria. E in una casa, la nostra casa, la sorella madre terra». Lo ha ricordato il Papa, che si è congedato dall’Ecuador affidandolo alla Nostra Signora del Quinche, «che accompagnò da qui gli albori del primo annuncio della fede ai popoli indigeni». Nell’omonimo santuario, incontrando il clero prima di partire alla volta della Bolivia, Francesco ha auspicato che la Madonna più venerata dagli ecuadoregni «renda ciascuno di noi dono per il nostro popolo, ci dia la perseveranza nell’impegno e nell’entusiasmo di uscire a portare il Vangelo di suo figlio Gesù – uniti ai nostri pastori – fino ai confini, fino alle periferie del nostro caro Ecuador». Del santuario mariano, il Papa ha citato «le tradizioni» che «evocano i cedri, gli orsi, la fenditura nella roccia che qui è stata la prima casa della Madre di Dio». Le origini di questa devozione popolare, ha poi aggiunto rimandando alla «Laudato sì», «ci portano in tempi quando era più semplice la serena armonia con il creato per contemplare il Creatore, che vive tra di noi e in ciò ci circonda, e la cui presenza non deve essere costruita, ma che ci si rivela nel mondo creato, nel suo Figlio amato, nell’Eucaristia».