Vita Chiesa
Firenze, l’appello del card. Betori: «Dignità e sicurezza per questa città»
Lo sguardo puntato verso il Convegno ecclesiale nazionale di novembre, quando tutta la Chiesa italiana si è data appuntamento a Firenze, sotto la guida di Papa Francesco. Senza perdere di vista però la vita quotidiana della città, con le sue bellezze e i suoi disagi. Sono questi gli spunti di riflessione che il cardinale Giuseppe Betori ha offerto durante la festa di San Giovanni Battista: la Messa celebrata in Cattedrale nella solennità del patrono di Firenze è stata, come sempre, l’occasione per lanciare un messaggio forte. «Mi si permetta di invitare la comunità ecclesiale e la città tutta – ha affermato l’Arcivescovo – a prepararsi in modo adeguato all’incontro con il Santo Padre, con la preparazione delle menti e dei cuori, ma anche con il ristabilimento della dignità e della sicurezza dei luoghi, attraverso un’efficace azione di contrasto al degrado in cui tutti dobbiamo sentirci impegnati. Firenze, la nostra città, non può essere trattata come uno spazio in cui ciascuno ha il diritto di trasgredire, di danneggiare e di esprimersi in modo indegno di un essere umano».
Quella di San Giovanni, ha ricordato Betori commentando il brano del Vangelo appena proclamato in Cattedrale, è stata «una missione di annuncio della verità sull’uomo e su Dio»: una missione che il Battista ha pagato con la vita, come ancora oggi avviene per tanti cristiani in tante parti del mondo, dove la libertà religiosa è negata. Ma anche nell’Occidente in cui viviamo, ha sottolineato, «la testimonianza dei credenti nel nostro tempo» vede «un confronto difficile, a cui non possiamo sottrarci; non, come da molte parti ci viene rimproverato, per volontà di egemonia, ma, al contrario, per servizio all’uomo, alla sua identità integrale, per contribuire alla ricostruzione della sua dimensione autenticamente umana in un mondo in cui la dignità della persona e il bene comune sono spesso disattesi e in cui c’è anche chi va profilando come inevitabile la scomparsa della nostra specie, per passare a un’era trans-umana o post-umana».
Tra i temi su cui si gioca questa missione di annuncio e di difesa della verità sull’uomo, si collocano in particolare «i diversi profili della concezione della persona e dei legami sociali». Anche il martirio di Giovanni Battista, ha ricordato, fu consumato sull’identità della famiglia, un tema particolarmente rilevante in questi giorni in cui «da più parti viene messo in questione l’istituto familiare, quale unione di un uomo e una donna nel vincolo del matrimonio per la generazione e la cura dei figli, prima cellula costitutiva della società. Costituisce un pericolo per l’equilibrio e la tenuta della società tutta fare confusione su questo fronte, magari per voler offrire sostegno giuridico ad altre tipologie di convivenza, che – senza negare loro rispetto e diritto d’esistenza – altro però sono, e solo come altro possono quindi trovare riconoscimento».
E il tema della famiglia (e del rifiuto della famiglia) si lega a un’altra drammatica vicenda di cui a Firenze si è parlato in questi giorni, dopo la sentenza di primo grado sulla comunità del Forteto, che l’Arcivescovo non ha nominato nella sua omelia ma alla quale ha fatto evidentemente richiamo con queste parole: «Ne dobbiamo essere consapevoli soprattutto noi, sul cui territorio si è consumato un dramma che ha travolto l’esistenza di tante persone, cui va rinnovata la vicinanza e la richiesta di perdono per il ritardo con cui ci si è resi conto della loro tragedia. Non va infatti dimenticato che alla radice di questa vicenda drammatica sta il rifiuto della famiglia, così come la tradizione ce l’ha affidata, un rifiuto che è sfociato nell’utopia deleteria di ricostruire la socialità su basi diverse. Contestata la famiglia naturale, si è aperto lo spazio al sopruso e alla sofferenza. Quale pastore della Chiesa fiorentina, devo poi anche lamentare come, in quel deviato contesto, non ci si sia vergognati di coinvolgere la memoria di un prete nostro, che nessuno deve avere l’ardire di sottrarci, deformandone l’immagine».
San Giovanni Battista, ha sottolineato ancora Betori, ci richiama anche un’altra verità contrastata dalla cultura del nostro tempo: «la nostra vita è un dono, noi siamo un dono!». Per questo, ha aggiunto, «contraddice la nostra natura più vera la pretesa di sostituire la logica del dono, che sta alla base del nostro essere, con quella del desiderio, del guadagno, della pretesa e del diritto. Vale questo – e ne vediamo le catastrofiche conseguenze – nel modo con cui si orientano le forze che dominano la vita economica e sociale; vale – e le conseguenze sono non meno esiziali – per come non pochi si pongono di fronte alla generazione della vita, pretesa come un diritto e, per questo, disposti perfino a staccarla dal riconoscimento delle sue radici paterne e materne. Se un figlio non è più accolto come un dono, ma preteso come un diritto, vince l’idea che lo si possa ottenere a qualunque costo, anche fuori dal contesto di un amore che lo generi, comprandone al mercato i fattori costituenti, o strappandolo – a un prezzo anch’esso legato al mercato – dal seno che lo ha generato».
Non è mancato, nelle parole del cardinale Betori, un riferimento all’enciclica di Papa Francesco, «Laudato si’» in cui il Papa tiene insieme l’ecologia umana e quella del creato: proprio la missione di annuncio della verità «chiede una visione antropologica organica e spazia dalla salvaguardia della vita e della sua dignità al riconoscimento del diritto dell’uomo a costruire il proprio progetto di vita anche con un’abitazione dignitosa e un lavoro sicuro, dalla cura della salute all’accoglienza del migrante e del rifugiato, dal rifiuto della guerra e della violenza come strumento di regolazione dei rapporti tra i popoli e gli individui al primato della persona nella sfera economica che va sottratta all’impero del denaro e del consumo, dal rispetto dell’identità sessuale nella sua unità psichica e corporea al farsi carico delle molteplici povertà che affliggono i fratelli». «Di questa visione unitaria dell’esistenza – ha concluso l’Arcivescovo – la nostra città porta il segno fin nel suo patrimonio culturale, architettonico e artistico e ci chiama a essere eredi coerenti e capaci ancora di dare frutti. Il progetto di Dio è la riconciliazione degli uomini e un futuro di pace, che si edifica nella comunione con lui, nella verità su noi stessi, nella fraternità universale».