Vita Chiesa

Papa Francesco, Messa Crisma: la «stanchezza dei sacerdoti» e «l’odore delle pecore»

«Se il Signore pensa e si preoccupa tanto di come potrà aiutarci, è perché sa che il compito di ungere il popolo fedele non è facile, è duro; ci porta alla stanchezza e alla fatica». Lo ha detto il Papa, che nell’omelia della Messa del Crisma si è soffermato sul tema della «stanchezza» dei sacerdoti.

«Lo sperimentiamo in tutte le forme», ha esordito Francesco: «dalla stanchezza abituale del lavoro apostolico quotidiano fino a quella della malattia e della morte, compreso il consumarsi nel martirio». «La stanchezza dei sacerdoti!», ha esclamato il Papa: «Sapete quante volte penso a questo: alla stanchezza di tutti voi? Ci penso molto e prego di frequente, specialmente quando ad essere stanco sono io. Prego per voi che lavorate in mezzo al popolo fedele di Dio che vi è stato affidato, e molti in luoghi assai abbandonati e pericolosi. E la nostra stanchezza, cari sacerdoti, è come l’incenso che sale silenziosamente al cielo. La nostra stanchezza va dritta al cuore del Padre». «Siate sicuri che la Madonna si accorge di questa stanchezza e la fa notare subito al Signore», ha assicurato il Papa: «Lei, come Madre, sa capire quando i suoi figli sono stanchi e non pensa a nient’altro». «‘Benvenuto, riposati, figlio. Dopo parleremo… Non ci sono qui io che sono tua Madre’ – ci dirà sempre quando ci avviciniamo a Lei. E a suo Figlio dirà, come a Cana: ‘Non hanno vino’».

«Una chiave della fecondità sacerdotale sta nel come riposiamo e nel come sentiamo che il Signore tratta la nostra stanchezza», ha proseguito il Papa, che nell’omelia della Messa del Crisma ha messo in guardia dalla «tentazione di riposare in un modo qualunque, come se il riposo non fosse una cosa di Dio», e ha esclamato: «Com’è difficile imparare a riposare! In questo si gioca la nostra fiducia e il nostro ricordare che anche noi siamo pecore». Poi le domande del Papa, rivolte ai sacerdoti: «So riposare ricevendo l’amore, la gratuità e tutto l’affetto che mi dà il popolo fedele di Dio? O dopo il lavoro pastorale cerco riposi più raffinati, non quelli dei poveri ma quelli che offre la società dei consumi? Lo Spirito Santo è veramente per me ‘riposo nella fatica’, o solo Colui che mi fa lavorare? So chiedere aiuto a qualche sacerdote saggio? So riposare da me stesso, dalla mia auto-esigenza, dal mio auto-compiacimento, dalla mia auto-referenzialità? So conversare con Gesù, con il Padre, con la Vergine e san Giuseppe, con i miei Santi protettori amici? So riposare dai miei nemici sotto la protezione del Signore? Vado argomentando e tramando fra me e me, rimuginando più volte la mia difesa, o mi affido allo Spirito che mi insegna quello che devo dire in ogni occasione? Mi preoccupo e mi affanno eccessivamente o, come Paolo, trovo riposo dicendo: ‘So in chi ho posto la mia fede’«?

«Ripassiamo un momento gli impegni dei sacerdoti, che oggi la liturgia ci proclama». È l’invito del Papa, che li ha riassunti così: «Portare ai poveri la Buona Notizia, annunciare la liberazione ai prigionieri e la guarigione ai ciechi, dare la libertà agli oppressi e proclamare l’anno di grazia del Signore. Isaia dice anche curare quelli che hanno il cuore spezzato e consolare gli afflitti». «Non sono compiti facili, esteriori, come ad esempio le attività manuali – costruire un nuovo salone parrocchiale, o tracciare le linee di un campo di calcio per i giovani dell’oratorio», ha precisato Francesco, secondo il quale «gli impegni menzionati da Gesù implicano la nostra capacità di compassione, sono impegni in cui il nostro cuore è mosso e commosso». Poi gli esempi pratici: «Ci rallegriamo con i fidanzati che si sposano, ridiamo con il bimbo che portano a battezzare; accompagniamo i giovani che si preparano al matrimonio e alla famiglia; ci addoloriamo con chi riceve l’unzione nel letto di ospedale; piangiamo con quelli che seppelliscono una persona cara… Tante emozioni e tanto affetto, se noi abbiamo il cuore aperto, che affaticano il cuore del Pastore».

«Per noi sacerdoti le storie della nostra gente non sono un notiziario», ha sintetizzato il Papa: «Noi conosciamo la nostra gente, possiamo indovinare ciò che sta passando nel loro cuore; e il nostro, nel patire con loro, ci si va sfilacciando, ci si divide in mille pezzetti, ed è commosso e sembra perfino mangiato dalla gente: prendete, mangiate. Questa è la parola che sussurra costantemente il sacerdote di Gesù quando si sta prendendo cura del suo popolo fedele: prendete e mangiate, prendete e bevete… E così la nostra vita sacerdotale si va donando nel servizio, nella vicinanza al Popolo fedele di Dio… che sempre, sempre, stanca».

«La stanchezza della gente, delle folle, per il Signore, come per noi, era spossante, ma è una stanchezza buona», ha detto il Papa, che nella parte finale dell’omelia ha analizzato le tre stanchezze dei sacerdoti: «la stanchezza delle folle, la stanchezza dei nemici e la stanchezza di sé stessi». «La gente che lo seguiva, le famiglie che gli portavano i loro bambini perché li benedicesse, quelli che erano stati guariti, che venivano con i loro amici, i giovani, non gli lasciavano neanche il tempo per mangiare», ha detto Francesco: «Ma il Signore non si seccava di stare con la gente. Al contrario: sembrava che si ricaricasse». «Questa stanchezza in mezzo alla nostra attività è una grazia che è a portata di mano di tutti noi sacerdoti», ha proseguito: «Che bella cosa è questa: la gente ama, desidera e ha bisogno dei suoi pastori! Il popolo fedele non ci lascia senza impegno diretto, salvo che uno si nasconda in un ufficio o vada per la città con i vetri oscurati. E questa stanchezza è buona, è sana. È la stanchezza del sacerdote con l’odore delle pecore, ma con sorriso di papà che contempla i suoi figli o i suoi nipotini. Niente a che vedere con quelli che sanno di profumi cari e ti guardano da lontano e dall’alto». «Non possiamo essere pastori con la faccia acida, lamentosi, né, ciò che è peggio, pastori annoiati», ha ammonito il Papa: «Odore di pecore e sorriso di padri».

«Occorre chiedere la grazia di imparare a neutralizzare: neutralizzare il male, non strappare la zizzania, non pretendere di difendere come superuomini ciò che solo il Signore deve difendere». Ne è convinto il Papa, che a proposito della «stanchezza dei nemici» ha ricordato che «il demonio e i suoi seguaci non dormono e, dato che le loro orecchie non sopportano la Parola di Dio, lavorano instancabilmente per zittirla o confonderla». «Qui la stanchezza di affrontarli è più ardua», ha ammesso Francesco: «Non solo si tratta di fare il bene, con tutta la fatica che comporta, bensì bisogna difendere il gregge e difendere sé stessi dal male». «Il maligno è più astuto di noi ed è capace di demolire in un momento quello che abbiamo costruito con pazienza durante lungo tempo», le parole del Papa. La «grazia» di «imparare a neutralizzare il male», però, «aiuta a non farsi cadere le braccia davanti allo spessore dell’iniquità, davanti allo scherno dei malvagi». «La parola del Signore per queste situazioni di stanchezza è: ‘Abbiate coraggio, io ho vinto il mondo!’», ha ricordato il Papa citando il Vangelo di Giovanni. 

«Civettare con la mondanità spirituale». È questo, per il Papa, il nome della terza stanchezza dei sacerdoti, «forse la più pericolosa»: «La stanchezza di se stessi». «Le altre due – ha spiegato Francesco – provengono dal fatto di essere esposti, di uscire da noi stessi per ungere e darsi da fare. Questa stanchezza, invece, è più auto-referenziale: è la delusione di sé stessi ma non guardata in faccia, con la serena letizia di chi si scopre peccatore e bisognoso di perdono: questi chiede aiuto e va avanti». Si tratta, ha aggiunto il Pontefice, «della stanchezza che dà il volere e non volere, l’essersi giocato tutto e poi rimpiangere l’aglio e le cipolle d’Egitto, il giocare con l’illusione di essere qualcos’altro». «E quando uno rimane solo, si accorge di quanti settori della vita sono stati impregnati da questa mondanità, e abbiamo persino l’impressione che nessun bagno la possa pulire», le parole del Papa, secondo il quale «qui può esserci una stanchezza cattiva». La parola dell’Apocalisse, ha sottolineato il Papa, «ci indica la causa di questa stanchezza: ‘Sei perseverante e hai molto sopportato per il mio nome, senza stancarti. Ho però da rimproverarti di avere abbandonato il tuo primo amore’». «Solo l’amore dà riposo», ha affermato il Papa: «Ciò che non si ama, stanca male, e alla lunga stanca più male».

La lavanda dei piedi è «la lavanda della sequela», in cui il Signore «si fa carico in prima persona di pulire ogni macchia, quello smog mondano e untuoso che ci si è attaccato nel cammino che abbiamo fatto nel suo nome». Lo ha detto il Papa, a proposito del rito del Giovedì Santo, che oggi pomeriggio compirà a Rebibbia con i detenuti. «Sappiamo che nei piedi si può vedere come va tutto il nostro corpo», ha detto: «Nel modo di seguire il Signore si manifesta come va il nostro cuore. Le piaghe dei piedi, le slogature e la stanchezza, sono segno di come lo abbiamo seguito, di quali strade abbiamo fatto per cercare le sue pecore perdute, tentando di condurre il gregge ai verdi pascoli e alle acque tranquille». «Il Signore ci lava e ci purifica da tutto quello che si è accumulato sui nostri piedi per seguirlo», le parole del Papa: «Questo è sacro. Non permette che rimanga macchiato. Come le ferite di guerra Lui le bacia, così la sporcizia del lavoro Lui la lava»: «La sequela di Gesù è lavata dal Signore affinché ci sentiamo in diritto di essere gioiosi, pieni, senza paura né colpa e così abbiamo il coraggio di uscire e andare sino ai confini del mondo, a tutte le periferie, a portare questa buona notizia ai più abbandonati, sapendo che Lui è con noi, tutti i giorni fino alla fine del mondo». «E per favore, chiediamo la grazia d’imparare a essere stanchi, ma ben stanchi!», l’invito finale.