Vita Chiesa
Francesco nel Duomo di Napoli: «Riscoprire le opere di Misericordia»
«Adorazione, amore per la Chiesa, zelo apostolico»: con queste «tre cose», tre consegne, si è concluso in Duomo l’incontro del Papa con i sacerdoti, i religiosi e le religiose. «Adoro il Signore?», ha chiesto Francesco ai presenti: «Abbiamo perso il senso dell’adorazione, dobbiamo riprenderlo». «Non puoi amare Gesù senza amare la sua Chiesa», l’ammonimento del Papa: «L’amore della Chiesa: tanti preti ho conosciuto che si vedeva che amavano la Chiesa». Infine, «lo zelo apostolico, cioè la missionarietà», che «ti porta a uscire da te stesso, per andare fuori a predicare la rivelazione di Gesù». Lo zelo apostolico, in altre parole, «è la missionarietà: la Chiesa deve convertirsi di più. La Chiesa non è una ong, è la sposa di Cristo che ha il tesoro più grande». «Adorazione, amore alla Chiesa e missionarietà», ha concluso il Papa sintetizzando le tre consegne.
«Essere sempre in cammino», perché «la prima testimonianza è che si veda che Gesù è al centro». È la consegna del Papa ai sacerdoti, alle religiosi e alle religiose, nel discorso pronunciato totalmente a braccio, dopo aver consegnato il testo scritto preparato prima. «La vita consacrata è andare alla sequela di Gesù, andare dietro a Gesù, lavorare il Signore», ha esordito il Papa: «Lasciare la famiglia, l’avere figli, l’amore coniugale che è tanto bello per finire a litigare con il vescovo, con i fratelli sacerdoti, con i fedeli, con una ‘faccia di aceto’ non è testimonianza». «Ci sono queste difficoltà, dappertutto», ha riconosciuto Francesco, ma «la gioia è andare dietro a Gesù». «Se voi non avete Gesù al centro – ha detto il Papa rivolgendosi a chi si prepara alla vita consacrata – ritardate l’ordinazione. Se non siete sicuri che Gesù è al centro della vostra vita, aspettate un po’ di tempo per essere sicuri». «Non sono le chiacchiere la testimonianza, l’ambizione di avere questo posto o quell’altro, o i soldi», ha ammonito il Papa.
L’altra testimonianza che i sacerdoti, i religiosi e le religiose devono dare al mondo è «lo spirito di povertà, anche per i sacerdoti che non hanno il voto di povertà». Lo ha detto il Papa, che in Duomo ha ammonito: «Quando la Chiesa entra nell’affarismo, sia per i preti che per i religiosi, è brutto». A questo proposito, Francesco ha citato l’esempio di una suora, «grande economa che faceva bene il suo mestiere, ma aveva il cuore attaccato ai soldi, selezionava la gente secondo i soldi che aveva. Era una grande donna, ma si vedeva questo. La sua ultima umiliazione è stata pubblica. Era nel salotto dei professori in un ‘break’ di scuola, prendeva un caffè, ha avuto una sincope ed è caduta». Visto che non rinveniva, «una professoressa ha detto questo: ‘Mettigli un biglietto da 100 pesos, vediamo se reagisce’. Era morta, ma questa è stata l’ultima parola». «Quando c’è l’avidità e ci si mette negli affari, quanti scandali nella Chiesa, e quanta mancanza di libertà per i soldi!», ha esclamato il Papa ricordando la centralità della prima Beatitudine: «Beati i poveri in spirito». «Un sacerdote può avere il suo risparmio, ma non il cuore lì», il consiglio di Francesco, che ha esortato ad «esaminare la coscienza» e a chiedersi «come va la mia vita di povertà».
«Quando tornate a casa prendete il catechismo». Lo ha detto il Papa, spiegando che la «terza testimonianza» di chi sceglie la vita consacrata è quella della misericordia. «Abbiamo dimenticato le opere di misericordia», l’ammonimento di Francesco: «Vorrei domandarvi quali sono le opere di misericordia corporali e spirituali: quanti di noi abbiamo dimenticato questo? Quando tornate a casa prendete il catechismo: le opere di misericordia sono le opere che fanno le vecchiette nelle parrocchie, la gente semplice. Andare dietro a Gesù è semplice, ma la misericordia…». «A Napoli non lo so, ma a Roma ci sono bambini battezzati che non sanno farsi il segno della Croce», ha osservato il Papa: di qui la necessità di «riprendere le opere della misericordia».
«Una vita comoda, una vita mondana non ci aiuta», e «le chiacchiere distruggono». Ne è convinto il Papa, che in Duomo ha detto: «Qual è il segno che non c’è fraternità? Le chiacchiere il terrorismo delle chiacchiere». «Quello delle chiacchiere – è un terrorismo, che butta una bomba e distrugge. E lui è fuori. Almeno facesse il kamikaze…». «Le chiacchiere sono un terrorismo della fraternità diocesana, delle comunità religiose», ha incalzato il Papa, che ha raccontato anche un aneddoto riferito alla sua diocesi di Buenos Aires. «Nella diocesi che avevamo prima – ha detto – c’era un collegio di suore, brave suore, lavoravano tanto. La casa dove abitavano era un po’ vecchia, l’hanno rifatta troppo bene, anche lussuosa. Hanno messo in ogni camera un televisore: all’ora della telenovela, tu non trovavi una suora in collegio». Anche questo è «il pericolo della mondanità».
«Si vede che san Gennaro vuole bene al Papa, che è napoletano come noi: il sangue è già metà sciolto». Queste le parole rivolte dal cardinale Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli, ai fedeli riuniti in Duomo, al termine dell’incontro con i sacerdoti, i religiosi e le religiose. «Il vescovo ha detto che il sangue è metà sciolto», ha detto a sua volta il Papa: «Si vede che il Santo ci vuole bene a metà: dobbiamo convertirci un po’ tutti perché ci voglia più bene».