Vita Chiesa
Papa Francesco, Giornata mondiale malato: «Sapienza del cuore è servire i fratelli»
La sapienza del cuore, spiega il Pontefice nel messaggio, «non è una conoscenza teorica, astratta, frutto di ragionamenti». Essa piuttosto è «un atteggiamento infuso dallo Spirito Santo nella mente e nel cuore di chi sa aprirsi alla sofferenza dei fratelli e riconosce in essi l’immagine di Dio». Dunque, «in questa sapientia cordis, che è dono di Dio, possiamo riassumere i frutti della Giornata mondiale del malato». Innanzitutto, «sapienza del cuore è servire il fratello. Nel discorso di Giobbe che contiene le parole ‘io ero gli occhi per il cieco, ero i piedi per lo zoppo’, si evidenzia la dimensione di servizio ai bisognosi da parte di quest’uomo giusto, che gode di una certa autorità e ha un posto di riguardo tra gli anziani della città. La sua statura morale si manifesta nel servizio al povero che chiede aiuto, come pure nel prendersi cura dell’orfano e della vedova». «Quanti cristiani – osserva il Santo Padre – anche oggi testimoniano, non con le parole, ma con la loro vita radicata in una fede genuina, di essere ‘occhi per il cieco’ e ‘piedi per lo zoppo’!».
«Persone che stanno vicino ai malati che hanno bisogno di un’assistenza continua, di un aiuto per lavarsi, per vestirsi, per nutrirsi. Questo servizio, specialmente quando si prolunga nel tempo, può diventare faticoso e pesante. È relativamente facile servire per qualche giorno, ma è difficile accudire una persona per mesi o addirittura per anni, anche quando essa non è più in grado di ringraziare», evidenzia Francesco. E «tuttavia, che grande cammino di santificazione è questo! In quei momenti si può contare in modo particolare sulla vicinanza del Signore, e si è anche di speciale sostegno alla missione della Chiesa». Sapienza del cuore, prosegue il Papa, «è stare con il fratello. Il tempo passato accanto al malato è un tempo santo. È lode a Dio, che ci conforma all’immagine di suo Figlio». Il Pontefice invita a chiedere «con viva fede allo Spirito Santo che ci doni la grazia di comprendere il valore dell’accompagnamento, tante volte silenzioso, che ci porta a dedicare tempo a queste sorelle e a questi fratelli, i quali, grazie alla nostra vicinanza e al nostro affetto, si sentono più amati e confortati». «Quale grande menzogna invece si nasconde dietro certe espressioni che insistono tanto sulla ‘qualità della vita’, per indurre a credere che le vite gravemente affette da malattia non sarebbero degne di essere vissute!», denuncia Francesco.
Sapienza del cuore, continua il Papa, è anche «uscire da sé verso il fratello. Il nostro mondo dimentica a volte il valore speciale del tempo speso accanto al letto del malato, perché si è assillati dalla fretta, dalla frenesia del fare, del produrre, e si dimentica la dimensione della gratuità, del prendersi cura, del farsi carico dell’altro». In fondo, «dietro questo atteggiamento c’è spesso una fede tiepida, che ha dimenticato quella parola del Signore che dice: ‘L’avete fatto a me’». Per questo, il Santo Padre ricorda ancora una volta «l’assoluta priorità dell’‘uscita da sé verso il fratello’ come uno dei due comandamenti principali che fondano ogni norma morale e come il segno più chiaro per fare discernimento sul cammino di crescita spirituale in risposta alla donazione assolutamente gratuita di Dio». Dalla stessa natura missionaria della Chiesa sgorgano «la carità effettiva per il prossimo, la compassione che comprende, assiste e promuove». Sapienza del cuore è poi «essere solidali col fratello senza giudicarlo. La carità ha bisogno di tempo. Tempo per curare i malati e tempo per visitarli. Tempo per stare accanto a loro come fecero gli amici di Giobbe». Ma, precisa Francesco, «gli amici di Giobbe nascondevano dentro di sé un giudizio negativo su di lui: pensavano che la sua sventura fosse la punizione di Dio per una sua colpa».
«La vera carità è condivisione che non giudica, che non pretende di convertire l’altro; è libera da quella falsa umiltà che sotto sotto cerca approvazione e si compiace del bene fatto», spiega il Papa. L’esperienza di Giobbe trova «la sua autentica risposta solo nella Croce di Gesù, atto supremo di solidarietà di Dio con noi, totalmente gratuito, totalmente misericordioso. E questa risposta d’amore al dramma del dolore umano, specialmente del dolore innocente, rimane per sempre impressa nel corpo di Cristo risorto, in quelle sue piaghe gloriose, che sono scandalo per la fede ma sono anche verifica della fede». Perciò, «anche quando la malattia, la solitudine e l’inabilità hanno il sopravvento sulla nostra vita di donazione, l’esperienza del dolore può diventare luogo privilegiato della trasmissione della grazia e fonte per acquisire e rafforzare la sapientia cordis». Si comprende perciò «come Giobbe, alla fine della sua esperienza, rivolgendosi a Dio possa affermare: ‘Io ti conoscevo solo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti hanno veduto’. Anche le persone immerse nel mistero della sofferenza e del dolore, accolto nella fede, possono diventare testimoni viventi di una fede – conclude il Papa – che permette di abitare la stessa sofferenza, benché l’uomo con la propria intelligenza non sia capace di comprenderla fino in fondo».
Il testo integrale del Messaggio