Vita Chiesa

Francesco, Angelus: il male e il peccato si vincono con l’amore

Commentando il passo del Vangelo che presenta la scena dell’incontro tra Gesù e Giovanni Battista al fiume Giordano, il Pontefice nota: «Il Battista vede Gesù che avanza tra la folla e, ispirato dall’alto, riconosce in Lui l’inviato di Dio, per questo lo indica con queste parole: ‘Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!’». Il verbo che viene tradotto con «toglie» significa letteralmente «sollevare», «prendere su di sé». Gesù, infatti, «è venuto nel mondo con una missione precisa: liberarlo dalla schiavitù del peccato, caricandosi le colpe dell’umanità». In che modo? «Amando – ha chiarito il Santo Padre -. Non c’è altro modo di vincere il male e il peccato se non con l’amore che spinge al dono della propria vita per gli altri». Nella testimonianza del Battista, «Gesù ha i tratti del Servo del Signore, che ‘si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori’, fino a morire sulla croce. Egli è il vero agnello pasquale, che si immerge nel fiume del nostro peccato, per purificarci». Il Battista vede dinanzi a sé «un uomo che si mette in fila con i peccatori per farsi battezzare, pur non avendone bisogno. Un uomo che Dio ha mandato nel mondo come agnello immolato». (segue)

«Questa immagine dell’agnello potrebbe stupire – ha osservato Francesco -; infatti, un animale che non si caratterizza certo per forza e robustezza si carica sulle proprie spalle un peso così opprimente. La massa enorme del male viene tolta e portata via da una creatura debole e fragile, simbolo di obbedienza, docilità e di amore indifeso, che arriva fino al sacrificio di sé». «L’agnello – ha aggiunto – non è un dominatore, ma è docile; non è aggressivo, ma pacifico; non mostra gli artigli o i denti di fronte a qualsiasi attacco, ma sopporta ed è remissivo. E così è Gesù! Così è Gesù, come un agnello». Ma «cosa significa per la Chiesa, per noi, oggi, essere discepoli di Gesù Agnello di Dio?». Significa «mettere al posto della malizia l’innocenza, al posto della forza l’amore, al posto della superbia l’umiltà, al posto del prestigio il servizio. È un buon lavoro!». Dunque, «noi cristiani dobbiamo fare questo: mettere al posto della malizia l’innocenza, al posto della forza l’amore, al posto della superbia l’umiltà, al posto del prestigio il servizio». Per il Papa, «essere discepoli dell’Agnello significa non vivere come una ‘cittadella assediata’, ma come una città posta sul monte, aperta, accogliente, solidale. Vuol dire non assumere atteggiamenti di chiusura, ma proporre il Vangelo a tutti, testimoniando con la nostra vita che seguire Gesù ci rende più liberi e più gioiosi».

«Un saluto speciale alle rappresentanze di diverse comunità etniche qui convenute, in particolare alle comunità cattoliche di Roma». Lo ha rivolto ieri Papa Francesco, dopo l’Angelus da piazza San Pietro, in occasione della Giornata mondiale del migrante e del rifugiato. Rivolgendosi a migranti e rifugiati, il Pontefice ha detto: «Voi siete vicini al cuore della Chiesa, perché la Chiesa è un popolo in cammino verso il Regno di Dio, che Gesù Cristo ha portato in mezzo a noi. Non perdete la speranza di un mondo migliore! Vi auguro di vivere in pace nei Paesi che vi accolgono, custodendo i valori delle vostre culture di origine». Un ringraziamento poi per «coloro che lavorano con i migranti per accoglierli e accompagnarli nei loro momenti difficili, per difenderli da quelli che il beato Scalabrini definiva ‘i mercanti di carne umana’, che vogliono schiavizzare i migranti!». In particolare, ha ringraziato «la Congregazione dei Missionari di San Carlo, i padri e le suore Scalabriniani che tanto bene fanno alla Chiesa e si fanno migranti con i migranti». Infine un invito: «In questo momento pensiamo ai tanti migranti, tanti rifugiati, alle loro sofferenze, alla loro vita, tante volte senza lavoro, senza documenti, tanto dolore; e possiamo tutti insieme rivolgere una preghiera per i migranti e i rifugiati che vivono situazioni più gravi e più difficili: Ave Maria…».