Vita Chiesa
«Pellegrinaggi e gemellaggi per aiutare la Terra Santa»
In questi giorni ha girato l’Italia proprio per stringere rapporti. Tra le sue tappe anche Firenze e Lucca: perché la Toscana è regione di profondi legami con la Terra Santa. E anche perché don Raed conosce bene Firenze: fino a pochi mesi fa era parroco nel villaggio cristiano di Taybeh (l’antica Efraim di cui si parla nel Vangelo) dove sono in corso molte collaborazioni con la Diocesi fiorentina. Nel suo percorso è venuto anche a trovarci nella redazione di Toscana Oggi
Don Raed, prima di tutto com’è la situazione a Gerusalemme?
«La situazione a Gerusalemme è ferma, anzi peggiora. Gli israeliani continuano a costruire insediamenti nei territori occupati, Gerusalemme è chiusa a tutti i palestinesi, sia musulmani che cristiani. Il processo di pace è fermo. I palestinesi sono pronti a un negoziato vero a condizione che si fermi la costruzione dei nuovi insediamenti, perché la base del processo di pace è “land for peace”, la terra in cambio della pace: gli israeliani dovrebbero lasciare i territori palestinesi che hanno occupato nella Guerra dei Sei giorni nel 1967. Se il processo di pace prevede questo, perché continuano a costruire insediamenti nei territori palestinesi occupati? Questo vuol dire che non vogliono la pace».
In questa situazione, sono sempre più i cristiani che emigrano. Come vive la minoranza cristiana in Terra Santa?
«Prima di tutto io rifiuto il termine minoranza che almeno in arabo vorrebbe dire che siamo deboli, perseguitati, che abbiamo paura. Noi non siamo deboli, non siamo perseguitati, non abbiamo paura. La nostra è una piccola comunità cristiana, di 50 mila persone, tra i territori occupati, Gerusalemme est e Gaza. Questo vuol dire 1,4% della popolazione. Certamente molti sono emigrati nel secolo scorso e in questo secolo, soprattutto dopo la seconda intifada. Ma anche i musulmani emigrano, gli ebrei emigrano. Ma siccome il nostro numero è più piccolo, si vede di più. Noi lavoriamo, con tutte le parrocchie e la Caritas, per aiutare questa piccola comunità cristiana a rimanere in Terra Santa. Questo è il nostro impegno. Perché non vogliamo i luoghi santi pietre morte, musei freddi».
La presenza cristiana in Terra Santa aiuta anche a costruire il dialogo e la pace…
«Sì, certamente. Noi non possiamo essere che costruttori di ponti. Ponti tra israeliani e palestinesi, tra ebrei e musulmani, tra Oriente e Occidente, tra Islam e cristianesimo. Lo facciamo veramente: la nostra è una presenza tranquilla, pacifica, non violenta. Abbiamo lanciato e lanciamo di continuo iniziative per la pace. Questo è il nostro grido: pregate per la pace a Gerusalemme. Quando ci sarà pace a Gerusalemme avremo pace in tutto il mondo. Gerusalemme è la porta della guerra e la porta della pace».
Questa era anche la convinzione del nostro «sindaco santo» di Firenze, Giorgio La Pira: non ci sarà pace nel mondo finché non ci sarà pace tra le religioni del patriarca Abramo…
«Io sono convinto di questo: questo è insieme il problema e la chiave della soluzione. La vocazione della Terra Santa è di essere la terra di Dio, se non capiamo che Dio è nostro padre e dobbiamo essere tutti fratelli e sorelle non ci sarà mai pace in terra Santa e nel mondo».
Qual è in tutto questo il ruolo della Caritas?
«La Caritas è stata fondata a Gerusalemme poco dopo la Guerra del 1967, per rispondere ai bisogni della popolazione palestinese: non soltanto i cattolici ma anche gli altri cristiani e i musulmani. Da allora noi serviamo i più poveri dei poveri, in tanti settori. Nel settore sociale: anziani, malati, disabili, tossicodipendenti. Nel settore medico: abbiamo tanti centri medici. Nel settore del microcredito con prestiti a piccole imprese, a famiglie per la costruzione di case, a studenti. Poi nel settore dei giovani: formazione al volontariato, per costituire un gruppo Caritas in ogni parrocchia. E poi ci occupiamo dello sviluppo. Il nostro scopo è passare dalla carità allo sviluppo, perché non vogliamo creare mendicanti: noi vogliamo creare un popolo forte, che vuole lavorare, vivere con dignità».
Perché è a Firenze?
«Sono venuto in Italia perché volevo ricominciare il rapporto della Caritas di Gerusalemme con Caritas italiana. Incontrerò la Caritas di Firenze, poi andrò anche a Lucca. Non siamo venuti a chiedere soldi. Vogliamo aprire una via di collaborazione, di amicizia, e dire che la responsabilità della presenza cristiana in Terra Santa non è solo nostra: noi siamo vostri fratelli e sorelle che vivono in Terra Santa, lì dove tutto è cominciato, in quella tomba vuota a Gerusalemme. Vogliamo collaborare insieme: ho proposto a Caritas italiana un piano di “viaggi e gemellaggi”. Noi abbiamo venti parrocchie: io chiedo che ogni diocesi adotti una parrocchia tramite la Caritas e l’Ufficio pellegrinaggi. E così ogni gruppo che da quella diocesi farà un pellegrinaggio in Terra Santa, visiterà la parrocchia gemellata per celebrare insieme la Messa domenicale, per un pranzo, uno scambio culturale,… Quando andate in Terra Santa dovete visitare non solo i luoghi santi, che sono molto importanti, ma anche le persone, e ascoltare tutti: cristiani e musulmani, israeliani e palestinesi, perché tutti hanno la loro storia da raccontare».
Qualcosa di simile lei ha fatto a Taybeh, l’antica Efraim, con la diocesi di Firenze, con scambi, ospitalità…
«Adesso parroco di Ramallah, lì vicino. Ma sono sempre legato a Efraim: Efraim nel Vangelo è luogo di riposo, e tutti abbiamo bisogno della nostra Efraim. Siamo grati da dieci anni di questa bellissima collaborazione tra la diocesi di Firenze, la diocesi di Gerusalemme, la basilica di San Lorenzo, la parrocchia di Taybeh, l’associazione “Coltiviamo la pace”, i nostri amici dell’Università di Firenze e del Cnr, abbiamo fatto piccoli miracoli. Abbiamo costruito un frantoio, una casa per anziani, una casa per i pellegrini, abbiamo sviluppato il centro medico e abbiamo lanciato la prima stazione radio per la Terra Santa, Holyland Radio. Tutto questo grazie a questa amicizia con Firenze. Questo è un esempio pilota di quello che pensiamo per il futuro».
In Toscana opera anche la Fondazione Giovanni Paolo II che porta avanti molti progetti di cooperazione in Terra Santa…
«Conosco molto bene la Fondazione che ringraziamo per la loro collaborazione con la Custodia di Terra Santa e con il nostro amico padre Ibrahim Faltas. Stanno facendo bellissime cose, soprattutto nell’ambito culturale, sportivo… Ogni anno organizzano la maratona della pace che è una idea molto bella perché da Betlemme a Gerusalemme sono appena 9 km, ma normalmente non ci si può andare: con lo sport cristiani, musulmani ed ebrei possono andare percorrere insieme questa distanza. Noi incoraggiamo qualunque sforzo, qualunque iniziativa che aiuta a costruire la pace, perché la pace è il più grande regalo che il Signore potrà dare alla Terra Santa. E noi siamo pronti a fare qualunque cosa per ottenere questa benedetta pace».
L’ultimo appello ai cattolici toscani?
«Noi invitiamo tutti a far diventare i pellegrinaggi anche occasioni di carità. Venite, non abbiate paura di venire in Terra Santa, venite in grandi numeri, dite anche agli altri di venire e non lasciateci soli. Perché questo è solidarietà non solo con la popolazione cristiana ma con tutta la Terra Santa. E anche voi dovete sentirvi cittadini di Gerusalemme: Gerusalemme non appartiene a noi, neanche agli ebrei o ai musulmani soltanto: è patrimonio di tutta l’umanità, ognuno è cittadino di Gerusalemme e può dire: qui sono le mie sorgenti. Ogni cristiano deve capire che ha due diocesi di origine: quella dove è nato e battezzato e Gerusalemme. Noi vogliamo un milione di pellegrini italiani in Terra Santa ogni anno, non di meno!»