Vita Chiesa
Confessarsi, che fatica!
«Dio non si stanca mai di perdonare, siamo noi che ci stanchiamo di chiedere perdono». Sono queste le parole pronunciate da Francesco nel suo primo Angelus da Papa.
Certo, Dio non si stanca, ma verrebbe da chiedersi: e i suoi ministri? In loro, infatti, un po’ di stanchezza a dire il vero si coglie. Da qualche tempo, mi capita di raccogliere le confidenze di persone che, indignate, raccontano le peripezie che hanno dovuto sostenere per accedere alla grazia del Sacramento della Confessione.
Di solito l’avventura del povero peccatore pentito comincia quando, in modo del tutto inopportuno, è assalito dal desiderio di confessarsi al di fuori della domenica e degli orari delle Messe. Sembra, infatti, che nei gironi feriali l’elargizione della grazia sia più difficile. Per di più, l’incauto penitente, che non ha un confessore stabile, pensa di poter ricevere la misericordia del Signore anche senza appuntamento, ma si sa che ormai, essendo tutti strapieni di cose da fare e non avendo tempo da perdere, non si può fare nulla senza appuntamento, né una visita medica, né ricevere una consulenza tecnica, né riparare un guasto della macchina e tanto meno fare una semplice messa in piega dalla parrucchiera. L’ignaro «cercatore di grazia» si mette dunque in movimento, cominciando la sua peregrinazione di chiesa in chiesa, con il primo e apparentemente facile obiettivo di trovare un ministro del Signore che possa concedergliela. Ma ecco la prima difficoltà. Là dove non trova la porta della chiesa serrata a quattro mandate, non è facile incontrare un prete o un religioso che si aggiri in zona, solo qualche extracomunitario addetto alla sorveglianza o alla pulizia.
Nei casi più fortunati, il penitente si può avvalere di una soffiata da parte di un amico: «Vai in quella chiesa, c’è un cartello che dice che le confessioni sono dalle 10 alle 12». Così, pieno di fiducia, il povero peccatore va, entra nella chiesa e si sedie, cominciando la sua preparazione. Passa un quarto d’ora, passa mezz’ora, passa un’ora e niente, non si vede nessuno, solo tanto buio e tanto freddo. Per riscaldarsi allora il poveretto comincia a passeggiare su e giù e così gli occhi cadono su un campanello su cui è scritto «suonare». Comincia dunque a suonare una, due, tre volte, ma il risultato è sempre lo stesso, non si vede nessuno. Alla fine, deluso e ormai «congelato», il penitente, persa ogni speranza, si incammina verso casa, costretto a rimandare ad un’altra volta il suo proposito, sempre se riuscirà a trovare il tempo e la disposizione d’animo per poter fare un secondo tentativo.
È andata meglio, se così si può dire, ad un altro «peccatore pentito» che proprio alla vigilia di Natale, volendo giustamente riconciliarsi con il Signore, è entrato in una chiesa, contento di poter riconoscere subito la presenza di un sacerdote presso l’altare. Timoroso il penitente si avvicina chiedendo: «Mi scusi, Padre, potrebbe confessarmi?». Non lo avesse mai detto: «Ma viene a confessarsi a quest’ora? Non vede che sto preparando i fiori per l’altare? Venite a confessarvi proprio quando noi sacerdoti abbiamo più da fare?». Per gentile concessione, però, il sacerdote, seppur bofonchiando un po’, accetta di confessare il devoto penitente che, ingenuamente, comincia a parlare dei vari aspetti della propria vita per i quali desidera chiedere perdono al Signore. E mentre con timore e tremore tenta di mettere insieme le parole per esprimere i suoi sentimenti, dall’altra parte della grata si sente dire: «Ma che fa? È venuto qui per tenere un’omelia?». Ovviamente tutto quello che il poveretto aveva in testa e soprattutto nel cuore viene d’un colpo azzerato e si ferma ammutolito, aspettando solo di poter ricevere l’assoluzione e scappare via da tanto disagio, chiedendosi poi se una confessione del genere sia realmente valida.
Non sono poche le volte in cui il penitente deve insistere e fare una vera e propria opera di convincimento nei confronti del ministro che tergiversa, invitando a tornare un’altra volta o a scegliere un momento più opportuno.
Ma c’è da chiedersi: non è sempre il momento opportuno quando nel cuore di una persona sorge il desiderio di incontrare il volto misericordioso del Signore? Forse, bisognerebbe che i nostri sacerdoti e religiosi, smettessero di fare tante altre cose e trovassero più tempo per restare in chiesa a pregare e ad amministrare quello che è davvero il più grande dono che il Signore ci ha lasciato, la sua grazia sovrabbondante, la sua misericordia infinita. Certo, il sacramento ha la sua efficacia indipendentemente dalla povertà dei suoi ministri, ma spesso un cuore pentito desidera ricevere e percepire quella carezza, quel tenero abbraccio che il Signore stesso è pronto a donare a chi con sincerità ritorna a Lui, qualunque sia stato il suo percorso, un abbraccio e una carezza che, non lo possiamo negare, possono giungere solo attraverso un ministro accogliente, disponibile all’ascolto e capace di offrire una parola di conforto ed incoraggiamento, restituendo un po’ di speranza e di pace ad un cuore smarrito e scoraggiato.
A. R.
Le risposte dei sacerdoti: «Dovremmo essere sempre disponibili e non mandare via nessuno. Ma a volte non è facile…»
L’invito di papa Francesco a non stancarsi di chiedere perdono a Dio sembra aver trovato riscontro: a confermarlo c’è anche una indagine statistica promossa dal Cesnur (l’istituto di ricerca sulle religioni diretto dal sociologo Massimo Introvigne): «su un campione di duecento sacerdoti e religiosi intervistati, il 53% ha affermato di avere riscontrato nella propria comunità un aumento delle persone che si riavvicinano alla Chiesa o si confessano, aggiungendo che queste persone citano esplicitamente gli appelli di Papa Francesco come ragione del loro riavvicinamento alla pratica religiosa».
E i sacerdoti, come vivono il sacramento della confessione? Don Antonio Scolesi è parroco ad Albinia (diocesi di Pitigliano-Sovana-Orbetello) ma è anche confessore presso alcuni istituti religiosi e di alcuni seminaristi. «È vero – dice – che noi preti siamo pochi e presi da molti impegni, e può capitare che qualuno venga a cercare un sacerdote e non lo trovi. Però nella mia esperienza posso dire che chi viene con un desiderio forte, la disponibilità la trova. A me capita spesso di persone che vengono da me dopo la Messa, oppure telefonano, e mi dicono “quando posso venire?” Sicuramente per chi sente il bisogno di un colloquio più ampio è il modo migliore». Poi ci sono le persone che si confessano, per abitudine, prima della Messa domenicale: «Anche quella è una esigenza a cui si deve rispondere: lì la confessione è più veloce, si limita all’elenco dei peccati e all’assoluzione».
L’importante comunque, secondo don Antonio, è che i sacerdoti non tralascino questo sacramento ma anzi cerchino di farne scoprire sempre di più la bellezza: «Chi non si accosta alla confessione è perché non ha scoperto quanto sia bello sentirsi perdonati. L’assoluzione che si riceve dal prete non la si può avere da nessun altro. Ed è un sacramento bello anche per il sacerdote: lo si celebra insieme, e fa bene anche al prete».
Don Serafino Romeo è parroco di Chiesanuova, in diocesi di Prato: una parrocchia popolosa, dove il desiderio dei fedeli di confessarsi è ancora vivo. Anche se certe abitudini andrebbero riviste: «Nei momenti delle feste, prima di Natale e Pasqua, abbiamo grandi file, si passa ore e ore a confessare, fino a prosciugarsi. Nel resto dell’anno invece capita anche di stare ad aspettare invano, in chiesa, durante gli orari che vengono indicati per la confessione. Sono momenti in cui il parroco dà la sua disponibilità e le persone troverebbero tempo e ascolto. Se si vuole che la confessione diventi anche un colloquio, qualcosa di simile alla direzione spirituale, c’è bisogno di farla con tranquillità, Invece molti vengono prima della Messa, e allora capita di dover chiedere che aspettino la fine della celebrazione».
A parte questi aspetti pratici, comunque, anche secondo don Serafino i preti devono sempre essere disponibili: «A me, prima di diventare prete, è capitato di chiedere di confessarmi e di sentirmi rispondere di tornare in un altro momento o di andare nella parrocchia vicina. Adesso, da parroco, riconosco che non è sempre facile riuscire a districarci tra tutti gli impegni. Però dobbiamo ricordarci che quello della confessione è un compito che spetta al prete e nessun altro lo può svolgere al posto nostro. Quindi dobbiamo prendere i fedeli quando vengono, anche di notte». Può capitare? «Certo – risponde – le richieste di persone che sentono il bisogno di confessarsi arrivano nei luoghi e negli orari più imprevisti: a me per esempio è capitato durante un viaggio in treno. Poi si deve saper distinguere: ci sono persone che si confessano abitualmente e possono essere disponibili a tornare, ci sono persone che vengono dal prete spinte da un bisogno urgente di raccontare qualcosa che pesa sulla loro coscienza. Per loro la confessione può diventare un momento importante, di svolta per la loro vita. In questi casi l’impegno a non mandare via nessuno è ancora più importante».
Riccardo Bigi