Vita Chiesa
Vatileaks: sentenza, Sciarpelletti mentì per proteggere Gabriele
Claudio Sciarpelletti, il tecnico informatico della Segreteria di Stato, condannato per favoreggiamento per la vicenda Vatileaks, ha mentito per proteggere l’ex-maggiordomo papale Paolo Gabriele. E’ la conclusione a cui è giunto il tribunale vaticano, che oggi ha presentato il testo completo della sentenza di condanna di Sciarpelletti a due mesi di reclusione con la condizionale. Il processo si era concluso lo scorso 10 novembre.
Il coinvolgimento di Sciarpelletti riguarda una busta, contenente una parte del materiale successivamente confluito nel libro del giornalista Gianluigi Nuzzi “Sua Santità“, con la dicitura “Personale P. Gabriele”, ritrovata dalla Gendarmeria vaticana nel tavolo di lavoro del tecnico in Vaticano. Sciarpelletti ha fornito versioni contrastanti sull’origine della busta – prima dicendo di averla ricevuta da Gabriele, poi cambiando idea e dicendo di averla avuta dal suo superiore mons. Carlo Maria Polvani, responsabile dell’ufficio Informazioni e documentazione della Segreteria di Stato – e di non essere comunque a conoscenza del suo contenuto.
Secondo i tre giudici vaticani – il presidente Giuseppe dalla Torre, Venerando Marano e Paolo Papanti-Pelletier – la “seconda versione” di Sciarpelletti, quella che tirava in causa mons. Polvani, è stata “fornita per aiutare il Sig. Gabriele, che era già indagato”. Inoltre, deve “ritenersi non veritiera l’affermazione più volte ribadita dal Sig. Sciarpelletti, sulla quale egli non manifesta alcun dubbio, secondo cui a lui sarebbe stata consegnata una busta chiusa, della quale avrebbe ignorato il contenuto”.
Secondo i giudici, inoltre, Sciarpelletti ha chiuso personalmente i documenti ricevuti da Gabriele in una busta con il timbro dell’ufficio Informazione e documentazione della Segreteria di Stato “nel tentativo di impedire che altre persone potessero prendere visione dei documenti riservati ivi contenuti, dei quali egli era a conoscenza”.
“Dalle prove acquisite – prosegue la sentenza – è infatti risultata la particolare cura che il Sig. Sciarpelletti ha usato nel nascondere la busta, collocata in un cassetto quasi inaccessibile e all’interno di una cartella. Il che avvalora ulteriormente la tesi della sua conoscenza dei documenti e del loro carattere riservato, che lo avrebbe indotto ad adottate simili cautele”. Quindi, concludono i giudici, “nelle contrastanti versioni dei fatti sopra riferite con riguardo, in particolare, al soggetto autore della consegna della busta ovvero dei documenti in essa racchiusi, oggetto di indagine penale a carico dell’imputato Paolo Gabriele, debba configurarsi un’attività materiale di intralcio alla giustizia idoneo a realizzare quell’attività di ‘eludere le investigazioni dell’Autorità“.
Inoltre, la sentenza ribadisce che Gabriele e Sciarpelletti, malgrado i dubbi sulla effettiva profondità della loro amicizia sollevati dalla difesa durante il processo, “al di là delle normali occasioni di incontro nei luoghi di lavoro, si frequentavano anche con le rispettive famiglie e anche nella casa in Sabina del Sig. Sciarpelletti”. “Poco importa – per i giudici -, a questo proposito, se si trattasse di una grande o di una superficiale amicizia: sicuramente l’imputato e il testimone Gabriele hanno ammesso che si frequentavano, anche con le rispettive famiglie, anche in luoghi diversi dall’ambiente di lavoro”. Quindi, “deve darsi per accertato è il rapporto di frequentazione dei due soggetti anche al di fuori del contesto lavorativo e anche con le rispettive famiglie”. In conclusione, per il tribunale vaticano, dagli elementi acquisiti nelle indagini e nel processo “deve desumersi non solo che (Sciarpelletti, ndr) avesse conservato memoria della busta e dei documenti in essa conservati, ma che ricordasse anche l’autore della consegna, cioé il Sig. Paolo Gabriele, indagato per furto aggravato, per aiutare il quale egli, con le due discordanti versioni, ha arrecato intralcio alla giustizia”.