Vita Chiesa

Mozambico e Ecuador, un ponte con la Toscana

di Marco LapiLe «vacanze» sono quasi finite. Venerdì 4 ottobre, festa di San Francesco d’Assisi, don Gianluca Emidi ripartirà da Pitigliano alla volta di Chibututuine, la sua parrocchia mozambicana. Un bel modo per cominciare il mese missionario: don Gianluca, infatti, riprenderà il lavoro cominciato quattro anni fa all’interno della «fraternità missionaria» di cui, fino allo scorso dicembre, facevano parte anche i coniugi Enrico e Desi, della diocesi di Massa Marittima-Piombino, e le loro due bambine. Ora a condividere la sua esperienza, oltre al confratello milanese padre Giuseppe, è rimasta una famiglia della diocesi di Ascoli Piceno, con una bambina piccola e un’altra in attesa.

Quella di Chibututuine è un’esperienza missionaria particolare, diversa da altre «gestite» dalle nostre diocesi. La parrocchia, in piena campagna, è infatti in tutto e per tutto della chiesa locale: Don Gianluca e gli altri vi sono stati destinati dall’arcivescovo di Maputo, la capitale del paese. Il centro abitato più vicino è a sette chilometri, Maputo a 70, il territorio parrocchiale è un ovale di 35 chilometri per 20.

Le giornate della fraternità missionaria cominciano con la preghiera comune delle lodi al mattino. In comune è anche il pranzo, mentre la cena di solito viene consumata separatamente perché è giusto che la famiglia viva anche una propria intimità. La sera non ha regole fisse, ci si può rivedere come no, ma non si sta in piedi a lungo perché il ritmo delle giornate è scandito dalla luce del sole. Ci si alza quindi verso le 5,30 e si va a letto altrettanto presto, perché manca l’elettricità e bisogna vivere secondo i ritmi della natura. Questo per una scelta, per quanto possibile, di condivisione delle condizioni di vita dei parrocchiani: così non c’è neppure il telefono e, per quanto riguarda l’acqua, c’è solo un rubinetto all’esterno della casa.

Gli ultimi due anni a Chibututuine sono stati molto gravosi, contrassegnati dall’emergenza per l’alluvione che ha colpito pesantemente, tra le altre, proprio questa zona. Si è dovuto, racconta don Gianluca, ricostruire 500 case di canne e riscavare i pozzi, poiché paradossalmente una delle conseguenze di questa calamità è stata proprio la mancanza dell’acqua potabile. Per sei mesi si è riusciti a garantire un migliaio di pasti in cambio di lavori socialmente utili. Un impegno che sta finendo adesso con un sospiro di sollievo, ma non tanto per la fatica: «È stato un bel momento – spiega il sacerdote pitiglianese – ma siamo contenti che sia finito, perché con il ritorno alla normalità possiamo pensare a progetti di coscientizzazione per uscire sempre più da una concezione assistenzialistica e aiutare piuttosto la gente a camminare con le proprie gambe». Il classico «insegnare a pescare», insomma, anziché regalare il pesce.

Dal punto di vista economico c’è infatti tanto da fare per migliorare la qualità della vita della popolazione. Diverse migliaia di persone lavorano come braccianti per poche ore al giorno in uno zuccherificio; tanti uomini emigrano ancora, soprattutto come clandestini, verso le miniere del Sudafrica, come avviene da cent’anni a questa parte, salvo poi essere rispediti a casa privati di tutto. Le donne, invece, praticano l’agricoltura per il fabbisogno della famiglia. La vicinanza della capitale consente anche un po’ di mercato, ma più che altro si produce e si vende un prodotto quantomeno discutibile, una specie di grappa di pessima qualità ricavata soprattutto dalla canna da zucchero.Ma la missione di don Gianluca si caratterizza soprattutto per un’altro aspetto, la ministerialità laicale. Accanto alla condivisione dell’esperienza missionaria con famiglie, c’è infatti da sottolineare la realtà – da tempo comune in tutto il Mozambico – delle «comunità ministeriali» nella gestione delle parrocchie. Il territorio di Chibututuine è infatti diviso in 11 comunità, ognuna con una propria vita e tutti i ministeri che servono per andare avanti, affidati naturalmente ai laici. A capo di ogni comunità c’è l’«animatore», che coordina le attività, poi ci sono i catechisti e i ministri come quello della Parola, che guida le liturgie nelle domeniche in cui i sacerdoti non possono intervenire – dato che riescono a coprire un massimo di due o tre comunità ogni domenica, spostandosi in fuoristrada – oppure il ministro della carità, quello della giustizia e pace o ancora quello della speranza, cui è affidato il compito di assistere i malati terminali e anche le loro famiglie nel periodo del lutto. «Se dovessi indicare il contributo particolare che la mia esperienza può insegnare – conclude don Emidi – è proprio questo delle comunità ministeriali». Un’esperienza che potrebbe già essere utile, se non necessaria, in diocesi vaste e poco popolate proprio come quella di origine di don Gianluca, e che aiuta i laici a far di necessità virtù assumendosi le proprie responsabilità senza delegare tutto al sacerdote. A Chibututuine la ministerialità laicale viene promossa e sostenuta attraverso appositi corsi di formazione, nella sede parrocchiale o nelle singole zone, con la presenza di qualche componente della fraternità missionaria durante la settimana e grazie anche all’apertura della parrocchia 24 ore su 24. Non ci sono porte chiuse, infatti, nella casa di chi si è aperto al mondo. Prato, l’esperienza di Alessio a EsmeraldasSono partito per avere un colpo nello stomaco e l’ho preso davvero!» inizia così la testimonianza di Alessio Santini, pratese, 25 anni, ragioniere, impegnato in parrocchia, che la scorsa estate è andato in Ecuador nella missione della sua Diocesi.

Nel Vicariato apostolico di Esmeraldas, in Ecuador, i sacerdoti della Diocesi di Prato operano ad Atacames e a Malimpia. Don Luca Finocchi (51 anni) è giunto ad Atacames nell’ottobre 1989, seguito pochi anni dopo dal fratello, don Giovanni (43 anni); mentre, a Malimpia dal 3 gennaio del 1982, vive ed opera don Bruno Strazieri (59 anni). L’impegno dei sacerdoti, affiancati dalle suore, da missionari laici e talvolta da volontari mira soprattutto a fornire un sostegno spirituale e religioso, vuole assicurare una più adeguata assistenza sanitaria, una formazione scolastica e professionale e tende a potenziare le tecniche agricole.

«Sono tornato provocato da quella realtà – afferma Alessio – e contento di aver scoperto che la vera gioia è data dal mettersi al servizio degli altri, smettendo di pensare a come divertirsi». I volontari del gruppo «Marimba» della parrocchia di Santa Maria delle Carceri – che con Alessio hanno passato l’agosto ad Atacames – hanno imbiancato la falegnameria, l’ospedale e le aule del collegio; hanno dato una mano nell’asilo; hanno visitato i circa 40 villaggi sparsi nel territorio; mentre i medici hanno lavorato in ospedale ed i tecnici si sono occupati dei computer.I bambini che camminano scalzi, giocano nel fango, vivono insieme agli animali ed appaiono estremamente bisognosi di affetto, sono loro che hanno lasciato il segno più profondo nell’animo di Alessio: «Mi cercavano perché li facevo giocare, suonavo la chitarra e cantavo con loro, ma soprattutto volevano essere presi in braccio, anche cinque o sei per volta». Il rapporto con la fede è un altro aspetto sul quale Alessio si è trovato a dover riflettere: vivendo in missione, ha ammesso il giovane pratese, ci si rende conto di tutto quello che si è ricevuto in senso materiale, affettivo e cristiano e che si è sempre dato per scontato. «Da noi la gente si lamenta per gli orari delle Messe, – spiega – perché fa fatica ad alzarsi presto magari per andare a quella delle 10! Laggiù c’è gente che fa chilometri a piedi per raggiungere il villaggio dove si celebra la Messa». Visitando i villaggi, Alessio ha visto anche Prime Comunioni e Battesimi: «quel che più mi ha colpito – precisa – è stata la festa, semplicissima, solo con qualche panino al burro, ma vissuta con profonda gioia da tutto il villaggio».M. C. Caputi