Vita Chiesa
Quarant’anni fa il Concilio
In occidente ma anche in oriente, pur sotto il peso della persecuzione ateistica. Anzi proprio la crescente sclerosi culturale del marxismo-leninismo dava un sapore di novità e di speranza alle parole cristiane. In questo senso la scelta di fondo di un Concilio che doveva essere essenzialmente «pastorale», mostrando in positivo la vitalità degli orientamenti cristiani piuttosto che rinnovare condanne, derivava da una consapevolezza della situazione mondiale più acuta e lungimirante dei timori politici ed anche ecclesiastici che accolsero l’annuncio della convocazione conciliare come un pericolo minaccioso per la compattezza del «blocco» occidentale. Papa Giovanni, del resto, già con la «Mater et magistra» e con la «Pacem in terris», si era mostrato attento lettore dei «segni dei tempi».
La «medicina della misericordia» era dunque più adeguata ai tempi dei rigori della severità. «Al mondo smarrito, confuso, ansioso sotto la continua minaccia di nuovi spaventosi conflitti, il prossimo Concilio è chiamato ad offrire una possibilità per tutti gli uomini di buona volontà di avviare pensieri e propositi di pace», disse Giovanni XXIII, il giorno di Natale 1961, indicendo ufficialmente il Vaticano II. E il giorno della solenne apertura, l’11 ottobre del 1962, avvertiva che talvolta gli «ferivano le orecchie» le suggestioni di coloro che «nei tempi moderni non vedono che prevaricazione e rovina». E precisava: «A noi sembra di dover dissentire da codesti profeti di sventura che annunziano eventi sempre infausti, quasi che incombesse la fine del mondo. Nel presente momento storico aggiungeva la Provvidenza ci sta conducendo ad un nuovo ordine di rapporti umani che, per opera degli uomini e per lo più al di là della loro stessa aspettativa, si volgono verso il compimento di disegni superiori e inattesi; e tutto, anche le umane avversità, dispone per il maggior bene della Chiesa».
Insomma Papa Giovanni intuiva che il Concilio sarebbe stato, com’è stato, un elemento decisivo di svolta epocale. Era stato Pio XII, del resto, nel giorno di San Giuseppe del 1958, in uno dei suoi ultimi interventi pubblici, ad avvertire nell’aria i segni di questa svolta. Parlò, infatti, di una «primavera storica» che stava subentrando alle durezze dell’inverno. Giorgio La Pira, naturalmente, colse al volo l’annuncio di quel Papa cui era affezionato nonostante talune nostre intemperanze giovanili. «Professore, che ne dice del Papa che ha l’ossessione anticomunista?». «Il Papa, mal che vada, è uno che prega». In qualche misura, con i convegni sulla pace (il primo è del 1952), il convegno dei sindaci delle città capitali, i colloqui mediterranei e le altre iniziative di Palazzo Vecchio, La Pira anticipava molti temi che sarebbero emersi nel Concilio. Del resto collegava esplicitamente i suoi progetti al Concilio dell’unione, Ferrara-Firenze 1439. «Si allietino i cieli ed esulti la terra, Occidente ed Oriente hanno trovato l’unità sulla pietra angolare che è Cristo».
E così, nel settembre del 1962, un mese prima dell’apertura del Vaticano II, ne prevedeva gli esiti e gli impulsi: «Scompare la guerra, fiorisce la pace, emergono i popoli, si unifica il mondo, crollano le ideologie, ed emerge ogni giorno di più sul mondo, quasi per illuminarlo, la Chiesa». C’era sempre una quota d’utopia o, per meglio dire, una forza in più di speranza teologale nelle intuizioni di La Pira. In una situazione mondiale in cui ritornano rigori d’inverno che insidiano l’avvento della «primavera storica», ripensando al Concilio ne abbiamo ancora bisogno.