Vita Chiesa
Pastorale giovanile ad un punto di non ritorno
Don Tonelli è partito da una prospettiva storica: «La Chiesa ha fatto da sempre cose speciali per i giovani. Quando la pastorale giovanile non si chiamava ancora così esistevano già strutture specializzate (oratori, congregazioni religiose, scuole cattoliche, settori specifici di Azione Cattolica…), affidate in genere ai sacerdoti giovani». Il Concilio Vaticano II si è innestato su queste esperienze portando orientamenti del tutto nuovi: «Il Concilio – spiega don Tonelli – non ha parlato in modo particolare di pastorale giovanile, ma ha introdotto una serie di indicazioni generali che non potevano non cambiare radicalmente anche il modo in cui la Chiesa si rivolge ai giovani». Anche se ci sono voluti tempi lunghi (e anche se all’inizio i vescovi italiani, afferma don Tonelli, hanno reagito in maniera un po’ fredda alle mille sollecitazioni di Giovanni Paolo II per un’attenzione speciale da dedicare ai giovani) per la pastorale giovanile si è aperta una stagione nuova, originale, di grande fermento.
E oggi, quarant’anni dopo l’inizio dell’avventura conciliare, quale bilancio si può trarre? «Oggi molti sono impegnati a consolidare quanto si è costruito, altri lo mettono in discussione, per una certa perplessità nei confronti dei risultati raggiunti (o non raggiunti)». Sicuramente, aggiunge don Tonelli, in questi anni la pastorale giovanile ha intrapreso una strada su cui ci sono «punti di non ritorno», valori dai quali non si può più tornare indietro. Uno riguarda la nuova concezione di Chiesa, in cui viene chiesta a tutti – e quindi anche ai giovani – una partecipazione attiva e responsabile alla vita della comunità cristiana. Altri punti di non ritorno sono la grande ventata del rinnovamento liturgico; la rinnovata centralità di Gesù Cristo e del Vangelo; e poi la nuova concezione del ruolo dei laici cristiani, chiamati a vivere con libertà la loro missione negli ambiti più diversi: impegno politico, volontariato, servizio pastorale… Lungo questa strada, sottolinea don Tonelli, ci sono stati anche dei problemi. Alcune esperienze tradizionali sono andate in crisi, alcuni modelli di annuncio e di catechesi sono stati messi in discussione; è venuta meno in molti casi la funzione propositiva e autorevole degli adulti. Sono emerse esperienze confuse, frammentarie, a volte anche contraddittorie. È emerso però anche uno stile educativo nuovo nei confronti dei giovani, lo stile dell’«animazione»; è emersa la concezione dei giovani come protagonisti della Chiesa, come risorsa per la comunità.
Alla fine di questo percorso, restano tante domande aperte. Sono quelle da cui siamo partiti: cosa significa, per un giovane, vivere da cristiano nel mondo di oggi? È ancora la stagione del «bravo ragazzo» che frequenta il gruppo parrocchiale? È la stagione dei movimenti, delle associazioni? O è tempo di proporre qualcosa di nuovo? La risposta è ancora tutta da scrivere. Sicuramente, dice don Tonelli, dovrà passare attraverso la definizione di un nuovo modello di appartenenza ecclesiale, più dinamico, più dialettico; attraverso nuovi modelli di santità da proporre ai giovani, che possano essere messi a confronto con i modelli culturali dominanti; attraverso nuove forme di spiritualità; attraverso la proposta dell’esperienza cristiana come un processo di crescita continua, e non come un dato che si acquisisce una volta per tutte.