Vita Chiesa

Ripensare la parrocchia a partire dalla famiglia

di Andrea e M. Cristina ZurliNell’ambito dell’itinerario di formazione organizzato dalla commissione famiglia e vita della Conferenza Episcopale Toscana, si è svolto sabato 1° marzo, presso la parrocchia di Santa Lucia e San Giuseppe al Galluzzo, il secondo incontro di approfondimento rivolto ai responsabili e agli operatori di pastorale familiare, sul tema «La pastorale parrocchiale con la famiglia».

A parlare è stato invitato mons. Renzo Bonetti, parroco della diocesi di Verona e responsabile del progetto della Cei «Parrocchia-Famiglia», progetto che vede coinvolte trentadue parrocchie italiane, nelle quali si sta sperimentando un nuovo coinvolgimento delle famiglie nella pastorale parrocchiale.

Tredici diocesi della nostra regione, che hanno risposto all’invito con una massiccia rappresentanza di famiglie con bambini, sono state sollecitate a riflettere sul modo di pensare oggi la parrocchia, proprio a partire dal dato strutturale che ne sostiene l’impianto organizzativo e cioè la famiglia; questa infatti, per sua natura, costituisce il modello paradigmatico di ogni articolazione relazionale e in essa, come in nessun’altra realtà, ci è dato di intuire qualcosa delle intime relazioni trinitarie, come ci ricorda il Papa nella Lettera alle Famiglie del 1994.

Senza nulla togliere al ruolo proprio della struttura parrocchiale, che è quello di organizzare la presenza della Chiesa nel territorio, oltre a quello di rendere dispiegato nel tempo e nello spazio il mistero di grazia di Dio, mons. Bonetti ha voluto sottolineare il dato imprescindibile della famiglia quale istituzione divina – e per ciò via di salvezza – alla quale ogni altra realtà umana deve porsi a servizio; è infatti alla famiglia, e in particolare al maschio e alla femmina, che Dio ha voluto affidare la propria immagine perché, nella rete di relazioni umane di cui essa è portatrice e tessitrice, ne testimoniasse l’intimo carattere nuziale.

La sfida lanciata dal progetto «Parrocchia-Famiglia» – in linea con le indicazioni contenute nella Familiaris Consortio – è proprio quella di recuperare e valorizzare la fonte naturale della comunione, per farne centro e vero soggetto di pastorale: ciò non significa organizzare la parrocchia attorno alla famiglia, ma è impiantare la ricchezza della parrocchia nel tessuto delle relazioni naturali in cui la famiglia vive e nella quale svolge il suo ruolo di socializzazione e umanizzazione, per farne un’unica struttura relazionale. Questa rivoluzione copernicana però non si compie per via organizzativa, ma passa dall’impegno di far crescere le famiglie, perché – guidate dallo Spirito, in virtù del loro battesimo – siano fonti di comunione, salvezza e grazia; la riuscita del progetto pertanto dipende dal reale cammino di conversione delle famiglie stesse.Se oggi nella Chiesa c’è la necessità di ripartire dalla famiglia è perché è maturata l’urgenza di ristabilire un equilibrio tra Ordine e Matrimonio, a livello di modalità pastorale, ma ancor più a livello di riflessione teologica. Il punto di partenza, secondo Bonetti, è recuperare il dato antropologico della coppia, quale novità e originalità che non troviamo altrove: prendere sul serio che la persona scaturita dalle mani di Dio è un essere sessuato, deve spingere a considerare la sua specificità relazionale e ad assumere la coppia quale nuovo soggetto ecclesiale, per poi impostare l’approfondimento sulla sua chiamata sacramentale.

L’assunzione dell’amore della coppia a dignità sacramentale, infatti, non dice niente di più della sua bontà intrinseca, ma specifica la sua chiamata missionaria per l’edificazione della Chiesa, come ci ricorda il documento dei Vescovi italiani Evangelizzazione e Sacramento del Matrimonio del 1975, «Ordine e Matrimonio specificano la comune e fondamentale vocazione battesimale ed hanno una diretta finalità di costruzione e di dilatazione del popolo di Dio». Il Catechismo riprende: «Entrambi i sacramenti sono ordinati alla salvezza altrui. Se contribuiscono anche alla salvezza personale, questo avviene attraverso il servizio degli altri. Essi conferiscono una missione particolare nella Chiesa e servono all’edificazione del popolo di Dio».

Nella nostra realtà ecclesiale – si domanda mons. Bonetti – c’è consapevolezza che gli sposi, abitati dallo Spirito Santo, sono sacramento dell’amore di Cristo e della Chiesa? Sappiamo tutti noi riconoscere l’Amore laddove ha scelto di rivelarsi?

Appare chiaro che un cammino di riscoperta in questo senso getterebbe le basi per un nuovo rapporto famiglia-parrocchia, ma questo passa attraverso una formazione specifica degli sposi e in particolare dei fidanzati che si preparano alla celebrazione del Matrimonio: se al seminarista che si accinge a diventare sacramento di Cristo sposo e pastore, si richiede un serio discernimento e un itinerario di formazione piuttosto impegnativo, altrettanto dovremmo richiedere alle coppie che si accingono a rendere presente Cristo nell’ordinario della propria esistenza, ad essere «ostensorio vivente» dell’Amore trinitario, affinché esse sappiano vivere meglio la ricchezza del loro sacramento.

Mons. Bonetti ha concluso soffermandosi sul compito ecclesiale della famiglia, che nulla toglie alla specificità e ricchezza del presbitero nella comunità, ma anzi la esalta e la specifica meglio; dalla lettura comparata del decreto conciliare sul ministero sacerdotale Presbiterorum Ordinis e dell’esortazione apostolica Familiaris Consortio, si scopre che entrambi gli stati di vita partecipano della missione di Gesù Cristo e della Chiesa sotto la forma dei «tria munera»: profetica, sacerdotale e regale; questi doni risplendono in tutta la loro bellezza, se vissuti nella reciprocità delle vocazioni. La missione profetica del sacerdote di annuncio attraverso la parola, trova il suo corrispettivo nell’annuncio che gli sposi fanno nel vissuto del loro quotidiano; anche la funzione sacerdotale del presbitero è resa efficace da quella degli sposi, che hanno il compito di tradurre la sua azione sacramentale e di fornire lo spazio reale dove i figli possono interpretare il segno. Infine la componente regale: se il presbitero è chiamato ad incarnare Cristo sposo, capo e pastore della comunità, la famiglia è chiamata a costruire il terreno comunionale su cui questa funzione deve innestarsi.