Vita Chiesa
Salviamo la domenica
Cosa si intende con «santificare le feste»?
«Essendo un comandamento della tavola dei dieci comandamenti, fa parte di uno schema fondamentale della moralità. Lì c’è scritto Ricordati di santificare le feste, che ha un significato preciso sia per gli ebrei che per i cristiani: non dimentichiamoci infatti che sono comandamenti dell’Antico testamento e quindi valgono anche per gli ebrei. Il comandamento significa che nell’uso del tempo ci deve essere un tempo di Dio, un tempo riservato a Dio, che l’ebraismo interpreta soprattutto attraverso il riposo: il sabato non si fa niente perché sia chiaro che l’uomo può fermarsi e il mondo va avanti lo stesso perché chi lo manda avanti è Dio. Questo il senso del santificare la festa nella tradizione ebraica. Nella tradizione cristiana tutto questo è rimasto con l’aggiunta della partecipazione all’Eucarestia, alla Messa. Questo è il problema di fondo al quale segue il precetto ecclesiastico di andare a Messa tutte le domeniche e le feste comandate. È stato un Concilio a tradurre in termini concreti di partecipazione alla Messa domenicale l’antico comandamento di santificare le feste».
Non andare a Messa lo si riteneva un peccato grave (un tempo si diceva mortale). Adesso si ha l’impressione che sia considerato un peccato veniale. È così?
«La domanda se sia peccato mortale o veniale se la sono posta anche i moralisti della tradizione cattolica. La risposta è che mancare a questo comandamento è peccato mortale perché è cosa importante, non è cosa lieve, in quanto applicazione del comandamento di Dio. Naturalmente questo senso un po’ meccanico, quasi tecnico, della distinzione tra peccato mortale e peccato veniale, questo direi è caduto nella coscienza cristiana di oggi, ma credo che qualsiasi cristiano serio non riterrà di poca importanza questo precetto della Messa domenicale. Allora se diciamo che è molto importante, vuol dire anche che non osservarlo è un peccato mortale. Naturalmente non nella materialità, perché se una volta manco alla Messa, magari perché sono malato, non devo pensare di aver fatto peccato mortale. Questa è una forma fiscale d’intendere i comandamenti. Grave è invece il momento in cui nella coscienza più profonda il dedicare questo giorno a Dio cessa di essere una cosa importante nella mia vita».
In molti casi, soprattutto per giustificare l’assenza dalla confessione ma anche dalla Messa, si ricorre al discorso del rapporto diretto con Dio: «Non ho bisogno di intermediazioni».
«A questo proposito è bene premettere che ci sono alcune persone che vivono questo discorso in maniera seria, cioè hanno effettivamente un rapporto profondo con Dio e magari sono del tutto lontani dalla vita della Chiesa. Che ci siano casi di questo genere non voglio negarlo e ne sono rispettoso. Però, devo anche dire che parlando in confidenza con alcune di queste persone, al momento in cui ho chiesto loro di dirmi con onestà quante volte concretamente si rapportano con Dio, in molti casi ho avuto per risposta un bel sorriso: Beh! Veramente, ben poco. Una vita religiosa lasciata alla propria inclinazione difficilmente si regge. Non per nulla Gesù ha voluto dietro a sé la Chiesa, ha voluto la Comunità, ha voluto i sacramenti, cioè tutto un complesso di cose dentro le quali ci si possa muovere aiutati, rinforzati, sostenuti. Altrimenti, lasciati a se stessi, va a finire che chi ci comanda è la voglia o la non voglia, ma sull’ho voglia o il non ho voglia, una vita non si costruisce».
A quarant’anni dalla riforma liturgica, che voleva favorire l’avvicinamento dei fedeli innanzitutto alla celebrazione eucaristica domenicale, si può dire che il progetto sia in parte fallito?
«Se qualcuno pensava che riformando la liturgia noi avremmo riempito le chiese e bloccato il fenomeno di abbandono della vita della Chiesa da parte delle popolazioni europee, questi era un ingenuo. Certamente coloro che hanno voluto la riforma liturgica non si illudevano in questa maniera. Il problema della fede, della partecipazione alla vita della Chiesa va ben al di là della qualità della liturgia, del richiamo che una celebrazione può avere sulle persone. Quindi la riforma liturgica andava fatta e va praticata e va continuata con fervore indipendentemente dal fatto che molta o poca gente venga in chiesa. Anzi, direi che se non avessimo avuto la riforma liturgica, avremmo avuto un allontanamento dalla Chiesa più marcato proprio perché quanto più la liturgia restava estranea dalla possibilità di comprensione e di partecipazione tanto più cresceva la sensazione della sua estraneità alla vita e quindi della opportunità di abbandonarla».