Vita Chiesa

«Lo pensavamo innocuo». Jaruzelski racconta l’elezione di Wojtyla

«L’elezione di Karol Wojtyla a pontefice fu per gran parte di noi una doppia sorpresa». È uno dei primi passaggi dell’intervista a SAT 2000 al generale Jaruzelski. L’occasione, i 25 anni di pontificato di Giovanni Paolo II. «Il cardinale Wojtyla – dice l’ex dittatore polacco – era una figura della gerarchia ecclesiale ben conosciuta nella cerchia del potere. Era ritenuto una personalità di spicco, forte, filosofo, pensatore, anche se si riteneva che lui non possedesse quella capacità propriamente politica del primate, Stefan Wyszynski».

Nell’intervista, il generale racconta, poi, come avvenne la nomina di Karol Wojtyla a Metropolita di Cracovia. «A quei tempi era obbligatorio un principio di concordanza con l’autorità per le candidature ai posti più elevati della Chiesa. Il primate, in pratica, presentava un paio di candidati e le autorità indicavano chi gli andasse. Sull’elenco presentato ai referenti governativi, Wojtyla si trovava al terzo posto. Nonostante questo fu lui ad ottenere la preferenza. Un rappresentante del del regime, membro del Politburo, e segretario del Comitato Centrale del partito, Zenon Kliszko, indicò proprio l’arcivescovo Wojtyla lasciandosi suggestionare dal fatto che lui era un intellettuale, impregnato di spiritualità e che quindi non avrebbe interferito nella politica. Si pensava a lui come una figura neutrale e soprattutto non sembrava una minaccia per il regime. (…) Dopo la nomina, invece, le autorità cominciarono a nutrire un certo grado di preoccupazione, si pensava che tutto questo prima o poi si sarebbe trasformato in un processo non gradevole per il regime. (…) E quando attorno a Wojtyla iniziarono a riunirsi ambienti di diverso genere, il nostro nervosismo aumentò».

E veniamo all’elezione a Pontefice. «Allora ero ministro della Difesa – ricorda il generale Jaruzelski -. In un primo momento ho reagito dicendo: «Impossibile!»… Ero stordito. Perché ho reagito così? Perché non avevamo minimamente preso in considerazione l’ipotesi che il Papa potesse non essere italiano. E poi, che fosse stato eletto un polacco, proveniente da un paese che si trovava nell’orbita del blocco sovietico… beh era un fatto fuori da ogni logica. (…) Mosca espresse la tensione a diversi livelli, anche militari, ma soprattutto politici. Dominava una constatazione: era colpa del nostro atteggiamento liberale, della tolleranza mostrata verso la chiesa in Polonia, se era stato eletto un Papa polacco. Pensavano che Giovanni Paolo II sarebbe diventato per il sistema il cavallo di Troia: gli avevamo permesso di entrare e avrebbe combattuto contro il socialismo».

Infine, l’ex dittatore polacco dice: «Ammetto che il Papa abbia guardato più lontano di me, di tutto il blocco a cui appartenevo. Dal punto di vista della competizione si può dire che ha vinto il Papa ma non penso che il Pontefice voglia svalutare la questione con queste categorie. La vincitrice è la Polonia, è l’Europa, hanno vinto i valori, che mi sembra sia la cosa più importante. E questi valori, passo dopo passo, si sono rafforzati, allargati portando grandi trasformazioni fino alla caduta del muro. Quella è stata sicuramente quella che si può chiamare una vittoria».

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