Vita Chiesa
Inter mirifica, la profezia del Concilio
Era il 4 dicembre del 1963, e allora si parlava soprattutto di radio e di carta stampata, mentre si affacciava ancora timidamente la televisione, di cui con preveggenza il Concilio già prefigurava un suo ruolo crescente. Ma al di là dei principi che metteva a fuoco, il decreto stabiliva anche un ruolo concreto, un’azione attiva di cui pastori, diocesi, operatori e utenti avrebbero dovuto farsi carico. Non soltanto, quasi stando alla finestra, a segnare con la matita blu quello che non si doveva fare, ma per immergersi nel mondo delle comunicazioni sociali, diventarne il lievito per corrispondere ai bisogni spirituali dell’umanità e al dovere della Chiesa di “proclamare il Vangelo della salvezza fino ai confini del mondo”.
Nacque allora la “Giornata”, che da 37 anni è un’occasione per il magistero per affrontare ogni singolo aspetto dei mass media. E anche questa fu lungimiranza: perché intanto la tv s’impadroniva da protagonista della scena e si preparava l’avvento del web, il più formidabile strumento di comunicazione capillare che il genio umano abbia potuto inventare.
Occorre riconoscere che dei due piani delineati dal decreto conciliare quarant’anni fa – guida illuminante del magistero e partecipazione diretta dei cattolici alla vita dei mass media – soprattutto il primo ha avuto un puntuale sviluppo. Grazie all’azione di Giovanni Paolo II che sin dal primo giorno del suo pontificato ha avuto ben chiaro, proprio sulle tracce dell’insegnamento del Concilio, quanto un uso corretto delle comunicazioni sociali avrebbe giovato alla missione della Chiesa. Lo ha spesso ripetuto: il loro compito è soprattutto “servire la verità, difendere la dignità e la libertà umana e illuminare le coscienze dei loro lettori, ascoltatori e spettatori”. Il magistero ha fatto la sua parte. Esaltando, di volta in volta le grandi potenzialità dei media – e utilizzandole lo stesso Pontefice al meglio – ma anche denunciandone gli aspetti deteriori o addirittura fortemente nocivi ai bisogni dell’umanità. Col fiato grosso, invece, è apparsa la comunità cristiana nel mettere in pratica le sue esortazioni, e dello stesso decreto conciliare. Anche perché il ruolo delle comunicazioni sociali è diventato uno strapotere che non è facile contrastare.
Soprattutto la televisione oggi ha un peso straordinario nella formazione dell’opinione pubblica. Gli interessi di ricchi e potenti impongono messaggi, ai fini commerciali ma talvolta anche politici, di cui gli spettatori non sono in grado di avvertire i pericoli.
Esiste una cultura dei media, superficiale e persino virtuale quanto si vuole, che però è l’unica fonte a cui si rivolge un’enorme quantità di persone. Si può storcere il naso, condannarla, ma questo non risolve la questione di fondo, e che la Chiesa non può assolutamente perdere di vista: questa parte dell’umanità, forgiata sugli idoli dei mass media, non deve essere trascurata. Fa parte di quel mondo, verso il quale il Concilio ha dato mandato perché sia trasformato in senso cristiano. Tanto più quando sono in gioco i diritti umani – tra i quali non ultimo c’è appunto il diritto alla verità e alla sua bellezza, “Veritatis splendor” ha detto Giovanni Paolo II, e al rispetto della propria coscienza – e persino il bene immenso della pace.