Vita Chiesa

Gli ottant’anni di Piovanelli: il Cardinale del dialogo

Nell’apprezzamento della sua figura i due ruoli, di protagonista e di testimone, si intrecciano profondamente; credo che in uno studio approfondito ad essa rivolto un capitolo di fondamentale importanza dovrebbe essere dedicato proprio al modo in cui Piovanelli nei suoi interventi ha inteso e saputo riferirsi alla memoria difficile della Chiesa fiorentina, spesso al centro di aspre controversie: dal Concilio di Firenze e da Savonarola agli anni novecenteschi di mons. Facibeni, del card. Elia Dalla Costa, di mons. Bartoletti, di Giorgio La Pira, del card. Florit, del card. Benelli, fino a personalità (don Milani, padre Balducci, don Rosadoni) e momenti (la situazione della comunità dell’Isolotto) prossimi, in modi vari e diversi, a quella che si potrebbe definire la «vocazione al dissenso», una delle componenti ricorrenti e peculiari della storia ecclesiale di Firenze.

Ripercorrendo solo mentalmente il filo dei suoi interventi mi sembra di potervi riconoscere la capacità di ricondurre ad una memoria ecclesiale comune anche gli aspetti più dissonanti propri di queste personalità e di questi eventi; e di promuovere un processo di «riconciliazione» non attraverso l’appiattimento delle peculiarità e dei carismi di ciascuno, o la messa in ombra della gravità delle problematiche via via suscitate, ma attraverso la sottolineatura dell’apporto e dello stimolo in ultima istanza positivo offerto dalla ricerca di una conformità al Vangelo presente in queste esperienze.

Piovanelli è dunque un uomo di dialogo, di comunione e di riconciliazione ecclesiale: lo è, si può aggiungere, non solo sul piano della lucidità e della volontà intellettuale ma anche e soprattutto nella dimensione più profonda del cuore, di un cuore che ha saputo e sa instaurare rapporti di calorosa fraternità. Questo è un elemento che caratterizza non solo il suo modo di rapportarsi alla memoria ma contrassegna anche gli intenti della sua condotta rispetto al presente e al futuro. In una dichiarazione datata 29 maggio 1995, che si riferisce al catechismo degli adulti ma implicitamente sottolinea un atteggiamento dei vescovi italiani che ritengo fosse in primo luogo il suo, afferma: «Lo sguardo dei vescovi è uno sguardo di simpatia [corsivo mio]. Essi vogliono condividere le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi. Vogliono indicare ai loro cristiani e, nella misura del possibile e attraverso i cristiani, a tutti gli uomini, la strada che porta alla vita eterna e, insieme, la strada che ci conduce ad una società in cui l’uomo, nella prospettiva della speranza, realizzi le sue speranze».

La «simpatia» deve essere intesa, è evidente, non nel senso «buonista» e di basso profilo di questo termine ma nel significato etimologico del con-soffrire, e riguarda non solo i conti con la memoria ecclesiale di cui ho appena detto ma anche la condotta nei confronti del presente e del futuro. Sono, queste di Piovanelli, parole che possono indicare un modello di vescovo per questi anni difficili in cui gli uomini si dibattono fra speranze terrene che appaiono spesso assai problematiche da perseguire e una sete di assoluto che però molte volte non sa e non vuole essere determinata nelle molteplici implicazioni, spirituali, etiche, e anche dottrinali, che ne derivano.

Nella Chiesa fiorentina Piovanelli è stato ed è un uomo di dialogo e perciò di riconciliazione proprio grazie alla sua capacità diretta di «sympàtheia». Per questa sua qualità, oltre che per la sua storia personale, molti hanno guardato a lui con grande speranza, fino dagli anni in cui il card. Benelli lo aveva nominato suo vicario generale. È una speranza che egli non ha smentito, prima di tutto aiutando il suo predecessore a rasserenare il clima della vita ecclesiale fiorentina e a realizzare la visita pastorale alla diocesi, rivolta a verificare e promuovere la ricezione del Concilio. Il Sinodo e le assemblee ecclesiali volute e attuate da Piovanelli vescovo hanno costituito un ulteriore inveramento di quelle premesse e di quelle speranze, e hanno dato luogo ad esperienze di partecipazione ecclesiale e di ascolto delle istanze dei credenti tra le più significative della chiesa italiana degli anni Novanta. Occorre aggiungere che non si è trattato di eventi ed esperienze di significato soltanto intraecclesiale. Soprattutto il Sinodo ha contribuito a porre le basi di una rigenerazione del rapporto vitale fra la Chiesa e la città, sia mettendo al primo posto, conformemente agli indirizzi della Chiesa italiana, la necessità e il primato dell’evangelizzazione sia promuovendo un più diretto apporto alla vita civile (basta ricordare le parole dedicate alla pace a conclusione della prima sessione del Sinodo). Ci si può domandare quanto di questa ricchezza di potenzialità attivata dall’episcopato di Piovanelli abbia trovato una piena ricezione nella Chiesa fiorentina. Ma questo è un bilancio critico complesso e ampio che non può che essere rimandato ad altro momento e ad altra sede. Ora vorrei soltanto testimoniare come, quando ci si trovava di fronte a lui con sentimenti di scetticismo e pessimismo, egli sapesse trovare la parola giusta per aprire di nuovo il cuore alla speranza. In un intervento del 1995 afferma: «Nessuno – potremmo dire – è così pessimista come un cristiano e nessuno può essere ottimista quanto lui. Il cristianesimo è un pessimismo superato! [corsivo mio] La riduzione a zero delle speranze umane crea le condizioni perché la fede torni con forza ad illuminare le strade degli uomini e a stimolare il loro impegno per forzare la nascita dell’aurora». Posso solo aggiungere, credo senza forzare il pensiero di Piovanelli vescovo, che egli ha saputo anche promuovere la crescita di quelle speranze umane che un giusto discernimento gli suggeriva di salvaguardare e valorizzare.

*Docente di Storia della Chiesa all’Università di Firenze

La lettera«Caro Cardinale, per noi è ancorapadre sapiente, guida spirituale, maestro di vita» Caro Cardinale,la felice ricorrenza del suo compleanno (80 anni il 21 febbraio) è per me, e certamente anche per tanti preti fiorentini, un ritorno alle nostre comuni radici.La rivedo, innanzitutto, nel suo ruolo di educatore al Seminario di Montughi, paterno, affabile, fermo. Un vero discepolo dei suoi grandi maestri: il cardinale Elia Dalla Costa, don Giulio Facibeni, monsignor Enrico Bartoletti.In seguito, dopo l’ordinazione sacerdotale, ho sperimentato, all’interno del presbiterio fiorentino, la sua fraterna amicizia, la capacità di mediare anche nelle situazioni più difficili e la sua continua tensione a favorire l’unità e la comunione. Per noi preti, allora giovani, lei è stato punto di riferimento e all’occasione sapiente maestro. Ma l’esperienza più forte l’ho vissuta accanto a lei, arcivescovo di Firenze, negli anni in cui sono stato rettore al Seminario Maggiore e poi vicario generale. Sono stati anni belli, anche se difficili. In seminario ho sperimentato il suo sostegno, la sua guida, i suoi consigli spirituali e la sua grande esperienza pastorale, che si traducevano per me e per i seminaristi in validi orientamenti di spiritualità sacerdotale. Come vicario generale, ho capito a fondo chi debba essere il Vescovo nella Chiesa: un uomo stabilmente configurato a Cristo, capo, sposo e pastore.Caro Cardinale, ed ora, con i suoi ottant’anni, cosa resta? Lei rimane per noi un padre sapiente e illuminato, una guida spirituale sicura (la chiamano a predicare esercizi spirituali per vescovi e sacerdoti in tutta Italia!), un maestro di vita. Una vita alimentata da una profonda esperienza di Dio.Preghi per me.Gualtiero BassettiVescovo di Arezzo-Cortona-Sansepolcro La scheda1924, «annata buona»: ha visto nascere cinque vescovi toscaniIl 1924 è stata, per la Chiesa, una «annata buona» che ha dato alle diocesi toscane ben 5 vescovi. Insieme al cardinale Silvano Piovanelli, arcivescovo emerito di Firenze, che festeggia ottant’anni il 21 febbraio, sono infatti altri quattro gli «emeriti» che hanno già raggiunto, o si apprestano a raggiungere nel corso del 2004, l’ottantesimo compleanno.

Il primo a varcare questa soglia, poche settimane fa, è stato Vasco Giuseppe Bertelli, vescovo emerito di Volterra, nato a Pontedera il 23 gennaio (del 1924, ovviamente): per lui, una doppia festa, celebrata sia nella cittadina natale, dove è tornato ad abitare, che a Volterra che lo ha avuto pastore per 15 anni. Lo ha seguito a ruota il vescovo emerito di Montepulciano-Chiusi-Pienza Alberto Giglioli, che ha festeggiato gli ottant’anni il 4 febbraio scorso. A dicembre invece sarà la volta di altri due vescovi: il 13 dicembre infatti compie ottant’anni l’emerito di Siena-Colle val d’Elsa-Montalcino Gaetano Bonicelli, mentre il 18 toccherà all’emerito di Livorno Alberto Ablondi.

Tra i vescovi emeriti (che hanno lasciato, cioè, il governo diocesano) il primato dell’anzianità spetta però a mons. Mario Castellano, originario di Oneglia e arcivescovo di Siena fino al 1989: lo scorso 22 settembre ha festeggianto novant’anni. Il più giovane è invece mons. Giacomo Babini, che ha lasciato la diocesi di Grosseto nel 2001 per motivi di salute e che festeggia questa domenica, 22 febbraio, i suoi 75 anni. Completano il gruppo mons. Pietro Fiordelli, vescovo emerito di Prato (88 anni) e mons. Giovanni D’Ascenzi, vescovo emerito di Arezzo-Cortona-Sansepolcro (84 anni).