Vita Chiesa
I misteri della fede/3: la vita di Gesù
«Ogni tentativo di rappresentarci l’incarnazione supponendo una idea precostituita di Dio e dell’uomo rischia di degenerare in mitologia o di ridurre razionalisticamente l’evento dell’incarnazione. La teologia, in effetti, non spiega questo evento: lo accoglie nella fede e, sulla base di esso, sviluppa una visione nuova di Dio e dell’uomo. In questa elaborazione riflessa ci si rende conto che il linguaggio dell’incarnazione – che si fonda sul passo del vangelo di Giovanni citato – è solo uno dei modi possibili per parlare del mistero di Gesù Cristo. Noi diciamo che è un modo dall’alto, ma ne esistono altri, ad esempio dal basso».
Perché Dio ha bisogno di farsi uomo?
«Dio non ha bisogno di farsi uomo. Diciamo che in Dio, nel nostro Dio, c’è la possibilità di farsi uomo e questa possibilità non è solo un poter fare fondato sull’onnipotenza divina, ma è il segreto più profondo del suo essere. Pertanto, quando Dio si fa uomo, ecco che si rivela e ci viene donata la vita stessa di Dio nella sua verità radicale: Dio è il mistero dell’uomo e del mondo».
Gesù, vero Dio e vero uomo: su questo tema ci sono stati aspri dibattiti, sono nate eresie. E ancora oggi c’è chi considera Gesù solo un grande personaggio storico o chi, alla maniera new age, lo riduce a una delle tante manifestazioni del divino nella storia. Chi è il Gesù dei cristiani?
«È probabile che spesso, anche tra chi si dice credente e praticante, a una corretta professione della fede non corrisponda una adeguata comprensione. In effetti, l’interiorizzazione delle verità di fede non può essere data per scontata. Implica un cammino, che è al tempo stesso di ricerca intellettuale e di maturazione spirituale. Pertanto, credo che molti si rapportino a Gesù o pensandolo semplicemente come Dio (qualcosa come il nome cristiano di Dio) o, tutt’al più, separando il Gesù-Dio, che ci salva, dal Gesù-uomo, che ci ha lasciato utili esempi e insegnamenti di virtù. Sono i due classici e ricorrenti errori cristologici: il monofisismo e il nestorianesimo».
Nel Credo, durante la Messa, diciamo morto per la nostra salvezza. Cosa significa?
«Che cosa ha a che vedere la morte di Gesù con la nostra salvezza? È una domanda che in questi giorni forse qualcuno si è posto, stimolato dal dibattito sul film di Mel Gibson, La passione di Cristo (un film che ha fatto già discutere molto, prima ancora di essere proiettato nelle sale). Vorrei qui ricordare solo due cose: innanzitutto, se la morte di Gesù ci salva, ciò avviene non perché è morte, ma perché è di Gesù, e quindi è da vedersi come il compimento della sua vita e del suo farsi carne e storia; in secondo luogo, più correttamente si dovrebbe dire che è il mistero pasquale, nella sua unità inscindibile di morte e risurrezione, il vero e proprio evento della salvezza».
San Paolo dice che se Cristo non fosse risorto, la nostra fede sarebbe vana. Anche la risurrezione però è un mistero: come possiamo tentare di comprenderlo?
«Già il Nuovo Testamento, nella pluralità delle tradizioni, ci mostra la difficoltà di comprendere ed esprimere un evento assolutamente unico, e perciò privo di analogie, come la risurrezione. Il collegamento tra risurrezione di Cristo e fede dei discepoli è comunque essenziale. Sono due poli inseparabili, ma anche irriducibili. La risurrezione di Cristo, in altri termini, gode di una oggettività, di una fatticità a cui solo la fede dà accesso (si ricordi che Gesù risorto non è riconosciuto dai discepoli in modo immediato, naturale). In qualche modo è possibile conoscere il Risorto solo essendo resi partecipi della sua condizione di vita nuova. Parafrasando Paolo, nessuno può dire: Gesù è risorto se non grazie allo Spirito del Risorto».
Dov’è oggi Gesù? In cielo o vicino a noi? Come possiamo incontrarlo?
«È fondamentale tenere insieme le due affermazioni: Gesù è in cielo, ossia in Dio, e Gesù è con noi fino alla fine del mondo, come ci ha promesso. La salvezza, e quindi il cambiamento della storia realizzatosi con Gesù, consiste proprio in questa nuova vicinanza di Dio per mezzo di Gesù, Dio e uomo. Direi che ogni esperienza cristiana matura giunge a ritrovare l’uomo nel più profondo di Dio e Dio nel più profondo dell’uomo».
Gesù è uomo della Galilea. A ragione viene riscoperta l’origine giudaica di Gesù ma viaggiando si può e si deve essere più precisi: egli è uomo del Nord, della Galilea. Questo dato è negato dalla struttura dell’anno liturgico che mette in evidenza solo i fatti della nascita e della sua fine, tutti avvenuti in Giudea. In Galilea egli si è formato, lì ha formulato il suo progetto e il suo messaggio, da lì ha preso forma il suo evangelo.
Attraversando in battello il Lago di Tiberiade (chiamato dalle tradizioni sinottiche «Mare di Galilea») il pellegrino si accorge che tutto l’immaginario a cui i Vangeli lo hanno introdotto fin da piccolo è tratto da quel catino di acqua e dai suoi dintorni: la barca, le due rive, le tempeste, la pesca, il seme caduto nei vari terreni, il monte e il piano, le folle dei villaggi e i discepoli, le casupole e le frontiere Lì in quell’angolo, ai margini del grande mondo, si è formato il mondo della nostra fede. Se Gesù fosse della Giudea i racconti che ascoltiamo in piedi, i canti che eseguiamo, i disegni dei nostri bambini, gli scenari delle nostre anime avrebbero toni e colori diversi.
Gesù è uomo del popolo. Gesù è vissuto costantemente in mezzo alla gente. Ed è la gente dispersa nella campagna e nei villaggi minori, ignorata dalle persone che contano, lontana ed alternativa ai grandi centri. Gesù conosce i ritmi e le feste di quella gente, i suoi brusii e i suoi drammi, la sua struttura di solidarietà e la sua forza oppressiva di controllo. Il villaggio è la cifra del suo vangelo e ciò – che io sappia – è la prima volta che accade nell’intera letteratura mondiale. Il contatto con le classi superiori avviene solo alla fine quando lo scontro con tutto il sistema è inevitabile e quando la sua azione disturba ormai l’intera nazione. Durante la sua attività egli non ha mai frequentato quel 2% che deteneva l’intero potere e quando l’ha fatto è stato da essa inesorabilmente condannato. I suoi scontri principali non sono con la gentaglia poco dotta e poco perbene ma con coloro che fungevano da cinghie di trasmissione fra il potere centrale e il popolo: scribi, farisei, maestri Gesù comunica con la gente, cura i suoi bisogni elementari, parla all’esistenza quotidiana. Egli raccoglie i poveri per la festa, restaura la speranza e la coscienza del popolo.
Gesù è uomo dello Spirito. In lui c’è un mistero che ti raggiunge a ogni sosta e a ogni lettura del vangelo. Dice parole vere che sono in perfetta armonia con quell’ambiente eppure nascondono il mistero di una origine superiore, valgono per ogni dove. Egli presenta Dio come «Padre», lo fa regnare nei suoi atti e atteggiamenti, lo mostra all’opera per cambiare la sorte dei poveri, fa scoprire e rende a ciascuno l’identità di figlia o figlio. Gesù all’efficacia della sua azione aggiunge sempre la qualità di coinvolgere i suoi interlocutori e la capacità di dare speranza. Egli è un Profeta che testimonia Dio non presente in cielo o nelle pieghe nascoste dell’anima ma nelle esperienze ora possibili, nell’incontro con lui. Egli è il Poeta che vede le mani dell’Artista nella natura e nell’umanità, che scopre che ogni cosa ha un fondo e ogni fondo porta un messaggio di vita. Si capisce che quest’uomo è più che un uomo, non perché è mezzo uomo bensì perché è finalmente l’uomo che ognuno dovrebbe e che non riesce mai ad essere. Nei percorsi della sua terra, alle svolte di quelle valli sempre più aride e scoscese emerge con forza la sua intelligenza positiva, la sua libertà costruttiva, un amore divino di questo individuo finalmente umano. Si scorge che il segreto del suo essere non sta nelle cose che ha appreso né nella organizzazione che lo sorregge né nel successo che arride alla sua impresa. Nei momenti di fama come sulla croce egli rivela che una unica forza sorprendente e misteriosa lo sorregge e lo accompagna sempre: lo Spirito di Dio. Con Esso egli è sempre unito al Padre e sempre disponibile per ogni uomo.
Alla fine del viaggio il pellegrino torna a casa con un nuovo coraggio e una grande scoperta. Ha riscoperto sullo sfondo del suo ambiente un Gesù più concreto e vicino, sente che lui stesso era lì ad attenderlo per sfiorare e far fiorire la nostra stessa vita. Si può ripartire.