Vita Chiesa
I progetti delle Caritas toscane tra nuove povertà e stili di vita
Don Emanuele, quali sono, secondo il «punto d’osservazione» delle Caritas, i bisogni emergenti nella popolazione?
«Il nostro punto di osservazione sono i Centri d’Ascolto delle Povertà, per questo mi sembra di poter dire che le Chiese della Toscana, dalle Caritas diocesane hanno scelto di ascoltare le domande, osservare e discernere i bisogni a partire dal fondo, dalla fine, dagli ultimi della fila. Ecco che si intercettano vecchi e nuovi bisogni, forme di povertà che si sono trasformate o che, purtroppo, sono ritornate. Faccio soltanto pochi esempi. Il fenomeno del ritorno ai nostri Centri d’Ascolto di cittadini italiani, residenti nelle nostre città ai quali non bastano più le risorse economiche che hanno a disposizione per arrivare in fondo al mese. Una forma di povertà di ritorno legata sicuramente all’attuale congiuntura economica, ma anche ad un modello culturale che non ti permette di essere senza avere, e alla drastica riduzione della spesa sociale. Ecco allora i fenomeni dell’indebitamento e della conseguente vulnerabilità sociale. Basta un imprevisto (malattia, cassa integrazione, spese aggiuntive impreviste…) che persone e famiglie fino ad ieri autosufficienti si collocano sotto la soglia della povertà relativa. Un altro problema è quello della casa. La diminuzione del potere di acquisto dei salari, la crescita degli affitti, gli sfratti e la presenza di politiche della casa deboli aumentano il senso di precarietà e di provvisorietà. Non solo il futuro, ma già il presente è per molti difficile. Occorrono politiche sociali più coraggiose».
Uno dei «fronti caldi» degli ultimi anni è stato quello dell’immigrazione. Com’è, oggi, la situazione?
«L’immigrazione in Toscana è nella media del dato nazionale. I dati del Dossier Immigrazione Caritas 2003 e i dati della regolarizzazione raccontano come la toscana sia territorio accogliente, dove si viene per restare. La capacità trainante dei distretti industriali (l’area fiorentino-pratese, l’area aretina, il comprensorio del cuoio…) e la vocazione all’auto imprenditorialità dei cittadini stranieri residenti nella nostra regione ci fanno essere una regione capaci di includere. Molto tuttavia rimane ancora da fare proprio sui percorsi dell’intercultura, cioè della conoscenza dell’altro, diverso da me. Perché l’incontro, il confronto e lo scambio non diventino conflitto ma producano integrazione senza assorbimento ed annullamento devono essere pensati, progettati e vissuti prima di tutto dalla gente comune. Anche la situazione delle nostre questure non aiuta. Se bisogna riconoscere che dei passi sono stati fatti è purtoppo vero che un cittadino straniero per vedersi rinnovare il permesso di soggiorno (procedura ordinaria) deve ancora subire lunghi ritardi e attese estenuanti, esperienze disumanizzanti».