Vita Chiesa
Camaldoli, dove anche la natura è preghiera
L’appello lanciato dal Papa durante il suo soggiorno in Val d’Aosta («Di fronte al meraviglioso spettacolo della natura, si sperimenta facilmente quanto proficuo sia il silenzio, un bene oggi sempre più raro…») richiama l’attenzione su un valore antico, quello del silenzio: un silenzio che non è solo quiete, ma è contemplazione della natura, ascolto della voce di Dio che parla nell’intimo della coscienza. In Toscana sono molti i luoghi di preghiera caratterizzati anche dalla bellezza della natura circostante: basti pensare all’abbazia di Vallombrosa sulle pendici del Pratomagno, a Monte Oliveto Maggiore nelle crete senesi, al santuario francescano della Verna sull’Appennino, a Monte Senario sui colli che dominano il Mugello e la campagna fiorentina, al santuario di Montenero affacciato verso il mare, alla casa dei Passionisti sul colle dell’Argentario. L’eremo e il monastero di Camaldoli, poi, hanno un legame tutto particolare con le foreste casentinesi, in cui sono immersi.
Ben inteso! A Camaldoli i monaci, me compreso, non vivono dentro i tronchi degli alberi, ma in edifici e spazi appositamente concepiti e costruiti per la loro vita solitaria e/o comunitaria di preghiera e di lavoro. Tuttavia mi sembra importante notare che con un linguaggio un po’ fiabesco ma efficace per accendere la fervida fantasia di un bambino, questo padre affettuoso coglie molto bene e comunica a suo figlio il messaggio che quella cartolina simbolicamente vuole trasmettere: un luogo, cioè, in cui l’uomo cerca di vivere in armonia con la natura, in un rapporto che non sia solo orizzontale, ma aperto a quella dimensione verticale ed elevante per la quale un Terzo o meglio un Primo attore o autore, Dio, dà senso pieno alla vita del creato e insieme dell’umanità.
Tra preghiera e natura i monaci di Camaldoli hanno sempre vissuto, immersi con il loro eremo e il loro monastero nel folto di una foresta rigogliosa, ricca di sorgenti d’acqua e popolata da molte specie animali. Si può anzi affermare che i monaci si sono sempre posti in un atteggiamento di sorprendente reciprocità con l’ambiente da loro abitato. Lo stesso soggetto della cartolina, un monaco ospitato nel tronco cavo di un castagno secolare, ci dà lo spunto per rileggere la storia di Camaldoli come storia di uomini e di alberi in relazione contemplativa. Infatti, dai documenti in nostro possesso emergono chiare, lungo i secoli, le costanti attenzioni e tensioni spirituali che rendono i monaci custodi gelosi del patrimonio forestale. Le prime tracce di questa cura le troviamo già nelle consuetudini scritte nel XI e XII secolo per i monaci di Camaldoli. Il testo applica alla vita nell’eremo un passo del profeta Isaia (41,19): «Pianterò nel deserto il cedro e il biancospino, il mirto, l’olivo e l’abete, l’olmo e il bosso». Sono esaltate le virtù dei monaci e degli alberi, indistintamente, in un sorprendente reciproco confondersi che poeticamente testimonia la contemplazione vissuta: «Tu dunque sarai cedro per elettezza di sincerità e di santità; acacia per pungitura di correzione e di penitenza; mirto per discrezione di sobrietà e di temperanza; olivo per frutto di giocondità, di pace e di misericordia; abete per altezza di meditazione e di sapienza; olmo per aiuto di sostegno e di pazienza; bosso per modello di umiltà e di perseveranza» (dalle Regole della vita eremitica del IV Priore di Camaldoli, Rodolfo III).
Questa pagina è basilare per comprendere tutta la successiva cura ed attenzione modificatrice dei monaci nei riguardi della foresta. Cura ed attenzione che si tradurranno in una vera e propria legislazione a tutela dell’integrità della foresta e in una straordinaria, spesso sorprendente, capacità tecnica, sia per il rinnovamento del bosco, sia per regolare il sistema del commercio del legname, sia per coltivare le erbe officinali. I monaci, dunque, custodivano una foresta che li custodiva; garantivano la vita alla foresta che garantiva ai monaci il silenzio per poter ascoltare la voce di Dio e degli uomini, e della storia che andavano scrivendo insieme. Un’eco di questo rapporto contemplativo dei monaci di Camaldoli con la natura l’abbiamo anche nelle lettere di visitatori del passato. In una di esse si legge che i luoghi sono incantevoli non per se stessi, ma perché si vede «quanto possa operar natura, quando non si maltratta, e quanto essa contraccambi l’amore dell’uomo» (H. Bassermann).
Tornando, per concludere, all’immagine del monaco ospitato nel tronco del castagno, possiamo auspicarci che la natura, con l’uomo e ad opera dell’uomo nella benedizione di Dio, cammini verso il suo compimento; e che il «servizio alla natura» sia sempre più consapevole servizio a un uomo rappacificato con se stesso e conseguentemente con tutto il cosmo.
Tra preghiera e natura, a Camaldoli, nel nostro piccolo, noi monaci attendiamo e accogliamo chiunque voglia attingere ed assaporare quella sapienza antica eppure tanto attuale e necessaria, che consente ad ogni essere umano di ritrovarsi collocato in una dimensione contemplativa della vita. La nostra ospitalità è aperta come il tronco di quell’ormai famoso castagno, proprio per condividere tale sapienza tanto contemplativa quanto profetica oggi. Venite e vedrete!
GIOVANNI PAOLO II: «SOLO NEL SILENZIO L’UOMO RIESCE AD ASCOLTARE LA VOCE DI DIO»