Vita Chiesa
Il mistero della morte illumina la vita
«Gli anni della nostra vita sono settanta, ottanta per i più robusti, ma quasi tutti sono fatica, dolore, passano presto e noi ci dileguiamo (…) Insegnaci a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del cuore» (Sal 90, 10.12).
Ci sembra che l’invocazione espressa dal salmista a partire dalla constatazione della relativa brevità dell’esistenza, ci offra un’interessante opportunità di riflessione e di confronto in questo mese di novembre ormai alle porte e da sempre caratterizzato dal ricordo di coloro che ci hanno preceduto nell’affrontare il mistero della morte.
La constatazione dell’orante è lucida in qualche modo accorata giacché ciò di cui egli parla tocca l’esito di ogni vita umana e determina in qualche modo, o dovrebbe determinare, il nostro atteggiamento non soltanto di fronte alla morte ma forse ancora di più davanti alla vita tuttavia anche serena, perfino splendente di quella libertà raggiunta da chi vede le cose alla luce di Dio.
Questa stessa convinzione fondata su una visione dell’esistenza come porzione di tempo ricevuta da Dio e a lui destinata a tornare, ha certamente animato la vita dei santi che ne hanno tratto impulso per le loro opere ricche di amore. E non a caso la Chiesa ce li fa ricordare tutti, noti e meno noti, in apertura dello stesso mese, il primo novembre, quasi a dire che nella realtà del «dopo», dove comunque è gioco forza entrare, si può giungere, anzi è bello giungere come creature vissute e morte nel timore del Signore, intendendo per timore la via della sapienza culminata nella figliolanza divina che Gesù, morendo e risorgendo, ha inaugurato per tutti coloro che credono in lui.
Noi, cristiani all’alba del terzo millennio, come ci poniamo davanti alla morte, e conseguentemente davanti alla vita illuminata dal mistero della morte?
«Di fronte alla morte ha affermato di recente il Presidente della CEI, card. Camillo Ruini, l’uomo di oggi si trova, da un punto di vista culturale, particolarmente indifeso e senza risposte: è portato quindi a fuggire davanti a lei, escludendola dall’orizzonte dei suoi pensieri… (per noi credenti la morte) non cessa di incutere timore, non perde il carattere di sofferenza e di prova suprema, ma si rivela come il luogo della nostra più profonda configurazione a Cristo, che attraverso la sua morte ha redento il mondo. Così nella nostra morte si compie ciò che è stato significato e realizzato germinalmente nel nostro battesimo, cioè il nostro aver parte alla risurrezione di Cristo, il nostro condividere la sua vita divina, come egli ha condiviso fino in fondo la nostra condizione umana. Il senso e l’esperienza cristiana della morte non possono dunque essere rimossi, o amputati dal senso e dall’esperienza cristiana della vita…».