Vita Chiesa
Nuovo rito del matrimonio, come cambia il modo di dire sì
«Ai cattolici che si avvicinano al matrimonio – ha detto il Segretario generale della Cei, mons. Giuseppe Betori – la Chiesa italiana chiede di partire dalla celebrazione del rito, per un cammino verso una fede matura e consapevole si tratta di un libro – ha continuato – che non si limita e non si esaurisce nella celebrazione, ma offre contenuti e percorsi sia per la preparazione al matrimonio, sia per la riflessione mistagogica, che oggi è più che mai necessaria per dare solidità umana e spirituale alle giovani coppie di sposi, esposte al rischio della superficialità, della fragilità e purtroppo sempre più spesso del fallimento». E proprio della preparazione al matrimonio si è molto discusso in seno al Convengo.
È stata ribadita la necessità di «accompagnare e non seguire» i fidanzati verso la scelta consapevole del matrimonio «come momento culminante di un itinerario, quando la coppia, libera e consapevole – ha detto don Andrea Fontana, direttore dell’Ufficio catechistico di Torino – decide di consacrarsi nell’amore stesso di Cristo, fedele ed indistruttibile, animato dallo Spirito Santo, realizzando ogni giorno la volontà del Padre, cioè la reciproca santificazione attraverso i gesti quotidiani d’amore e di comunione».
I corsi pre-matrimoniali – secondo quanto è emerso – devono configurarsi come progetti personalizzati in itinerari prolungati in cui la Chiesa mostri interesse, cordialità, accoglienza senza giudizio, si sappia mettere in ascolto avendo a cuore il cammino che i fidanzati stanno facendo, personalizzando a ciascuna coppia i contenuti… «ogni coppia – hanno spiegato Marialicia e Carmelo Moscato, responsabili della Pastorale familiare della Diocesi di Monreale – è unica e per questo deve potere ricevere un trattamento personalizzato al fine di fare incontrare la coppia con se stessa non è importante che siano coinvolti nel gruppo ma che diventino sempre più coppia che si avvia al matrimonio».
«Il matrimonio – ha affermato Don Paolo Giulietti, direttore del Servizio Cei per la Pastorale giovanile – si distacca sempre di più dall’idea del contratto. Del gesto burocratico come potrebbe essere un matrimonio civile, perché restituisce tutto all’ambito dell’esperienza religiosa. Al tempo stesso il Nuovo Rito favorisce una visione del matrimonio meno folcloristica e romantica, perché trasposta più decisamente nel campo della fede forse – ha concluso – il Nuovo Rito potrà aiutare a vivere in maniera diversa anche la decisione di sposarsi, come risposta ad una chiamata di Dio che viene dal battesimo e conseguentemente ad accettare il matrimonio come missione».
«Tra le tante novità del Rito la più pubblicizzata è stata la nuova formula “accolgo te” al posto di “prendo te” – ha spiegato don Giuseppe Busani, direttore dell’Ufficio liturgico nazionale – alcuni ritengono che sia meno incisiva della precedente. Non sono d’accordo – ribatte – perché la nuova formula sottolinea maggiormente un impegno fondato sulla grazia di Cristo».
Punto molto dibattuto è stato il secondo capitolo della pubblicazione del Nuovo Rito che prevede la celebrazione del Sacramento del matrimonio senza Eucaristia ma con la sola Liturgia della Parola: «un’opportunità in più offerta alle giovani coppie – ha detto Andrea Grillo, teologo e membro della Commissione istituita dalla Cei per la stesura finale del Nuovo Rito del matrimonio – da parte di una Chiesa che promuove e accoglie ogni storia di fede».
Grillo ha spiegato che la possibilità di celebrare il matrimonio con la sola Liturgia della Parola intende rimediare a due eccessi in cui le comunità parrocchiali possono cadere: «Ci potrebbe essere il rischio di pensare – ha spiegato – da una parte di avere un diritto acquisito a sposarsi in Chiesa e dall’altra di credere che il matrimonio in Chiesa sia il risultato di una selettivo concorso a numero chiuso. Tra una pericolosa indifferenza ed una selettiva diffidenza la Chiesa italiana ha voluto trovare una mediazione, proponendo di accogliere la coppia con una delicata e attenta attenzione pastorale. Il fatto che l’Eucaristia non venga celebrata nel corso del matrimonio, come libera scelta dei nubendi, non deve essere vissuta come mera sottrazione ma come opportunità che si vuole dare alla coppia per riscoprire un più intenso desiderio di Eucaristia».
Quindi gli sposi vanno insieme verso l’Altare… e dopo?
«Gli sposi possono scegliere se rispondere alle domande tradizionali del Sacerdote o declamare insieme una professione di fede, che le contenga tutte, in cui l’accento è posto, in modo particolare, sulla preghiera alla comunità, a cui è dato un ruolo rilevante, che li accompagni e li sostenga nel loro cammino di coppia. Si giunge, quindi, ad una nuova scelta: o pronunciare la formula nuova tanto pubblicizzata “Io accolgo te, come mia sposa, con la Grazia di Cristo prometto di esserti fedele sempre nella gioia e del dolore, nella salute e nella malattia e di amarti ed onorarti per tutti i giorni della mia vita” oppure iniziare un dialogo vero e proprio tra gli sposi che inizia così “Vuoi unire la tua vita alla mia?”».
Quale significato assume il termine «accolgo te» che è stato sostituito al tradizionale «prendo te»?
«Ritengo che sottolinei il dono che l’altro fa di se stesso nella libertà… c’è una disponibilità ad accogliere tutto dell’altro, con i suoi pregi e difetti. È, poi, maggiormente sottolineata l’idea di vocazione al matrimonio, come risposta alla chiamata di Dio. Subito dopo il Consenso (prima era successivo al Padre Nostro), è il momento della benedizione nuziale… ciò sta a significare che la benedizione nasce direttamente dal sacramento del matrimonio. Nuova aggiunta, dopo gli scambi degli anelli, le litanie dei Santi, soprattutto dei santi che sono stati sposati».
E riguardo al Secondo capitolo, di cui si è molto parlato, in cui è offerta la possibilità a giovani coppie che da tempo hanno abbandonato il cammino ecclesiale, di sposarsi comunque in Chiesa ma con la sola Liturgia della Parola?
«Qualcuno ha pensato ad un rito di serie B… Non sono d’accordo. Ritengo che abbia lo stesso spessore dell’altro, ma senza il momento dell’Eucaristia. Il tutto nasce dall’esigenza di evitare il più possibile quei matrimoni in cui è palpabile la poca partecipazione da parte degli sposi e dei parenti. La Chiesa ha fatto questa scelta anche e soprattutto per risvegliare negli sposi il desiderio di Eucaristia, di comprendere in modo pieno e consapevole il senso del matrimonio in Chiesa».