Vita Chiesa

Con gioia, protesi verso l’eternità

Stiamo vivendo gli ultimi giorni di novembre che puntualmente si intrecciano con la fine dell’anno liturgico, e mentre il pensiero indugia sulla memoria di coloro che ci hanno preceduto nell’ingresso pieno nella Vita, siamo ancora sospinti alla contemplazione di quell’oltre che appartiene al Mistero e nel quale la liturgia sembra voglia assolutamente introdurci attraverso le visioni apocalittiche e le promesse escatologiche che ci presenta in questo scorcio finale.

Ed ecco, quasi insensibilmente, il passaggio all’Avvento. A prima vista non sembra esserci una grande differenza negli argomenti che la celebrazione offre all’attuazione esistenziale: risuona ancora il rimando alle realtà ultime, e insieme l’invito alla vigilanza; ancora siamo provocati sullo scorrere del tempo e sul peso delle nostre scelte rispetto a ciò che alla fine maggiormente conta; quasi che le battute conclusive dell’anno debbano risolversi, con piena continuità, in un nuovo inizio.

Davanti a questa apparente persistenza di riflessione e di celebrazione – l’Avvento infatti non è solo, come comunemente viene inteso, tempo di preparazione al Natale, ma anche celebrazione della venuta ultima del Signore che deve compiersi nel ritorno escatologico – qualcuno potrebbe chiedersi: come mai questa somiglianza di tematiche? Ha forse il tempo movimento circolare per cui sempre l’inizio coincide con la fine? Eppure noi sappiamo che ilc orso della storia è in crescita verso il completamente e niente è mai ripetitivo…

Di fatto l’Avvento, sia pure con i suoi riferimenti escatologici, ci introduce in un clima diverso: quello dell’attesa frammista alla speranza, dello spazio aperto sul desiderio infinito che abita il nostro cuore, del rinnovato bisogno di pienezza e di gioia.

C’è poi un altro aspetto: se ci soffermiamo a riflettere ancora un po’, scopriamo come in fondo l’attuarsi del mistero cristiano dispiegato nei diversi tempi liturgici si accordi con le movenze del nostro vivere umano.Non avviene forse nella vita di tutti i giorni che ad ogni tappa raggiunta si profili una nuova meta? E che mentre conseguiamo un risultato a lungo desiderato e per il quale ci siamo adoperati ne cogliamo improvvisamente l’insufficienza tanto che in breve formuliamo nuovi progetti e ricerchiamo altre forme di impegno per soddisfare – è bene riconoscerlo – quell’anelito che vive nel cuore e si svolge alle mete più diverse?

Realmente il nostro cuore è inquieto, come ci ricorda S. Agostino, fino a che non trovano adempimento i desideri e le attese più profonde.

L’avvento, che ci fa invocare la venuta del Signore nella carne e ci fa protendere con gioia al suo Natale, ci fa celebrare questa dimensione propria dell’esistenza. Entriamo dunque con gioia in questo tempo che assume nei suoi spazi le movenze dello spirito umano, mentre camminiamo verso quell’eternità dove non esiste il tempo.«Quando giunse la pienezza dei tempi, venne colui che ci liberò dalla schiavitù del tempo. …. Dobbiamo dunque amare colui per mezzo del quale sono stati creati i tempi, in modo da essere liberati dal tempo, e da poterci stabilire nell’eternità, dove non esiste la mutevolezza dei tempi» (Agostino, «Commento al Vangelo di san Giovanni», 31,5).a cura delle Clarisse di San Casciano Val di Pesa