Vita Chiesa

Auguri per un anno cominciato nel dolore

DI DON FRANCESCO SENSINIAuguri… Buon anno… Molto spesso, soprattutto per strada, in questi giorni sono risuonate queste parole. Non gridate, non sprecate, pronunciate con rispetto e attenzione come per non farle sentire a chi, in questo momento difficile, potrebbe sentirsi offeso da un tale augurio. La tragedia del Sud-est asiatico ha segnato l’animo di tutti, ha pacato entusiasmi e ha fatto prevalere tanti interrogativi. Eppure c’è chi si è limitato solo a guardare e non ha condiviso fino in fondo tale stato d’animo.

«E se fosse successo in Africa?» chiedeva un giovane ad una signora. Tale domanda mi ha fatto riflettere: siamo forse colpiti perché quelle zone sono un po’ il luogo magico delle nostre vacanze, sono un po’ casa nostra? Il genocidio dei Tutsi da parte degli Hutu in Ruanda ha provocato un milione di morti. E quando è successo che cosa abbiamo provato? Che cosa abbiamo avvertito nel nostro animo?

Torniamo agli auguri. Anche le risposte sono state, a volte, significative. «Credo che ne abbiamo bisogno altri» rispondeva un signore ad un amico, riferendosi ai sopravvissuti del maremoto. Ecco, mi sono detto, una persona sensibile, attenta. Forse non farà offerte, non pregherà, ma quelle persone le ha dentro di sé. E questo è il primo passo per una vera «umanità».

«Grazie! Ne abbiamo proprio bisogno!» così una coppia di giovani sposi ad un’altra coppia. E chiariva: «Abbiamo perso un bambino. Sono sorte difficoltà nella gravidanza e mia moglie non ce l’ ha fatta. Un figlio sarebbe proprio il Buon anno».

«Grazie! Se sarà un anno buono non lo so, ma sono sicuro che sarà un anno in più», così un anziano ad un amico molto più giovane di lui. Questo è vero per tutti. Ma per chi ancora può costruire la vita l’augurio è ben accetto, per chi invece ormai ha già giocato tutte le carte, può risultare un po’ «stonato».

«Gli auguri li prendiamo per i nostri nipotini»: così due nonni. Già, i bambini, sono le loro immagini che, in quello che è successo e abbiamo visto, ci hanno colpito di più. Sono loro che ci hanno costretti a pensare a Dio, alla sua non-presenza, al suo non-amore. Come faranno a sopravvivere? Come reagiranno?

Il «disturbo» – afferma un famoso psichiatra – è molto più grave e prolungato quando il trauma è causato dall’uomo, come nelle zone di guerra. Se a minacciarti è un altro uomo, perdi la fiducia nel mondo, ti senti solo e provi diffidenza. Se la causa invece è una calamità naturale, la situazione è più controllabile. Ti fidi del prossimo e cerchi solidarietà. E questa è una differenza fondamentale per il recupero. Ecco – ho subito pensato – perché Dio si è fatto uomo in Gesù: per essere solidale con chi ne ha bisogno. Per recuperare soprattutto i più piccoli e indifesi. Buon Anno!