Vita Chiesa

Quanti anni servono a un assassino per pentirsi?

DI DON FRANCESCO SENSINIE’ una vergogna! Altro che premio… io gli raddoppierei la condanna!» Con queste parole, pronunciate a voce alta, mi sento interpellato mentre sono dal barbiere. L’ uomo continua: «Io per mantenere mio figlio all’università devo pagare e lavorare, mentre quello, che è un assassino, ha preso il patentino europeo di computer e vorrebbe continuare a studiare. Vi sembra giusto?”»,

La reazione nasce dalla lettura di un articolo di giornale nel quale viene riportata a tutta pagina la notizia del «permesso premio» a Omar, il giovane che con la fidanzata uccise, solo quattro anni fa, la madre e il fratellino di lei. Vorrei fare finta di essere sordo perché in realtà la mia tentazione sarebbe di dargli ragione e dirgli che sinceramente la condanna di quattordici anni, mi sembrava leggera ma la giustificavo col fatto che almeno così l’avrebbe scontata tutta e invece…

Ma non sono sordo, e quindi partecipo alla provocazione. Gli chiedo: forse è veramente maturato. Il giudice gli ha riconosciuto l’impegno e la volontà di diventare una persona nuova, di cambiare. «Peccato però che le persone che lui ha ammazzato non abbiano più nessuna possibilità di cambiare» mi risponde.

Mentre io penso a ciò che Omar potrà fare di buono, il mio interlocutore insiste su quello che ha fatto. E apparentemente il suo è un ragionamento più valido perché confermato dalla esperienza.

Ma penso: la vita di una persona può essere «chiusa» nel passato? E allora gli chiedo: se fosse suo figlio penserebbe la stessa cosa? «Forse no! ma vorrei comunque che pagasse il suo debito!» Ma le sembra così ingiusto – insisto – far pagare un debito con un «premio» che in fondo responsabilizza e mette nelle condizioni di essere utile agli altri? «A me sembra troppo comodo cambiare così rapidamente!».

Devo ammettere che certe «conversioni» così veloci hanno più il sapore di una presa in giro, di un gesto di furbizia piuttosto che una vera condizione dell’animo umano. Pur riconoscendo con il mio «amico» la fondatezza della sua affermazione cerco però di approfondire il tempo del cambiamento: «Secondo lei quanto ci vuole per cambiare?» «Non lo so – mi risponde – dipende da persona a persona. La giustizia ha stabilito che per pagare il suo debito ci vogliono quattordici anni di carcere e questi li deve fare tutti. Poi per i problemi della sua coscienza se la vedrà con il Padreterno. Io la penso così. Facciamo anche la barba?» La mia nuova situazione mi impedisce di parlare.