Vita Chiesa

Casa Matteo: dal dolore è nato un grande progetto d’amore

di Giuseppe TrinchiniUn progetto di solidarietà in Burkina Faso: è il modo che i genitori di Matteo, un giovane di Venturina scomparso ad appena 17 anni, hanno scelto per ricordare il loro ragazzo. «Casa Matteo» è stata inaugurata il 12 gennaio dal Vescovo di Massa Marittima-Piombino Giovanni Santucci e dal Vescovo della locale Diocesi Paul Oudreaoga. E il taglio del nastro è stata una festa straordinaria. Gorom-Gorom ha abbracciato Walter e Carla Ulivieri, i genitori di Matteo, tra discorsi ufficiali e musiche tradizionali, e circondato di affetto gli amici italiani che li hanno accompagnati, tra cui l’ex sindaco Guerrieri e uomini e donne del movimento Shalom (nella foto mons. Santucci con la delegazione in Burkina Faso). Appena rientrato a Massa Marittima siamo andati ad intervistare monsignor Santucci per sentire a caldo le sue impressioni.

Come è andato il viaggio?

«Il viaggio è stato bello, impressionante, faticoso e carico di mozioni. Il gruppo è stato variamente composito, persone ben disposte a lasciarsi coinvolgere dalle situazioni di sofferenza che abbiamo incontrato. Persone capaci, professionalmente preparate e generose».

Il progetto Matteo partì da un suo consiglio, ci vuole raccontare come è andata?

«Io sono stato la spinta “lievissima” iniziale, in realtà Walter e Carla hanno fatto molto da soli. Il movimento Shalom aveva un progetto nella zona di Gorom Gorom, una zona desertica del nord del Burkina Faso, e i genitori di Matteo lo hanno assunto come impegno».

Con questo progetto è stata realizzata una casa per i bambini, relativamente moderna; quale è il rapporto tra questa costruzione e la realtà che c’è intorno?

«Gorom Gorom è un paese senza strade, perché le strade sono piste, dove quando c’è vento la sabbia va dove le pare. Le case sono fatte con le bozze d’argila, che è la stessa sabbia impastata. Questa struttura è più moderna ma non si allontana dagli standard di costruzione del Burkina. Lo stile è quello dell’architettura locale, ed è progettata secondo le loro linee culturali. E’ molto ampia, e ha un numero limitato di posti letto per ogni stanza».

Gorom Gorom è un territorio a prevalenza musulmana. Come fanno le suore a gestire questi bambini rispettando la loro fede islamica?

«Il rispetto, e il bene che viene fatto, è alla persona, di qualsiasi fede o cultura essa sia. Bisogna considerare però che la primo bisogno di quei giovani è quello di vivere. Per noi è difficile pensarlo, ma lì le cose necessarie sono l’acqua, il cibo, la salute. I bisogni essenziali. Gia oggi i bambini musulmani e cristiani vanno nella stessa scuola, non vi sono problemi di integrazione».

Questa costruzione ha raccolto più di 300.000 euro di offerte fino ad oggi. Lei che l’ha vista quale pensa che sarà il futuro di questa struttura? Potrà riuscire a sopravvivere autonomamente quando le offerte italiane finiranno?

«Le offerte erano finalizzate alla costruzione. È stato fatto un calcolo d’esercizio per la casa, le cui spese che per alcuni anni verranno coperte dalle offerte raccolte qui dall’Italia. Il progetto prevede che attraverso la coltivazione e vendita di ortaggi la struttura arrivi all’autonomia. Il problema è l’acqua che ad oggi non è sufficiente per annaffiare e fecondare il deserto».

Secondo lei ci potrà essere qualche tipo di cooperazione tra la diocesi di Massa Marittima-Piombino e quella di quei territori? E se è possibile in quali termini?

«La diocesi di Dori, comprende Gorom Gorom, Dori e Bani. Il territorio si è recentemente scorporato dalla diocesi di Fada N’Gourma. Il nuovo Vescovo, Gioacchino, sarà ordinato a breve. Lo abbiamo conosciuto e abbiamo parlato con lui. Poi vedremo».

C’è la possibilità che la Diocesi invii un altro sacerdote oltre a don Francesco in quei territori?

«La disponibilità da parte della Diocesi c’è, ma vanno valutate le possibilità. Dipende dalla disponibilità di sacerdoti, dalla loro disponibilità a partire come missionario e dalla collaborazione e le intese con le Diocesi destinatarie».

Qual è il messaggio che l’ha più colpita e che vuole lasciare di questo viaggio?

«Questo tipo di esperienze fanno bene, soprattutto allo spirito con il quale affronti tutti i problemi di ogni giorno, perché ti fanno capire il bisogno di tornare all’essenziale del vangelo e della vita. Abituati a molte cose, perdiamo di vista ciò che è davvero irrinunciabile e necessario. Mi ha colpito la gioia di questo popolo, è un popolo allegro, sereno, pacifico ed accogliente. Sembra incredibile, ma sorridono e cantano».

La scheda: Quattro suore per cinquanta bambiniCasa Matteo, il progetto intitolato al ragazzo di 17 anni di Venturina scomparso tre anni fa, nato e voluto dalla volontà dei genitori e sostenuto da Unicoop Tirreno e Movimento Shalom, è nata a Gorom-Gorom, nel Nord-Est del Burkina Faso (uno dei paesi più poveri del mondo) quasi al confine con Niger e Mali. I dieci ettari di terreno dove sorge sono stati donati dal Comune. In poco più di un anno sono stati costruiti tre edifici coperti per una superficie di 1500 metri quadrati con una spesa di un po’ meno dei 300mila euro già raccolti dal Progetto Matteo. La gestione della struttura è affidata ad una congregazione di suore burkinabe in collaborazione con il Comune di Gorom. Quattro le suore e dieci gli inservienti che accudiranno i 50 bambini. Un edificio ospita le suore; c’è poi la casa dei bambini: cinque stanze con dieci lettini, 10 bagni, un immenso refettorio. Il terzo padiglione ospita la stanza dei giochi e quella per lo studio quando al pomeriggio torneranno da scuola. Il pozzo – scavato a 90 metri di profondità – alimenta una cisterna che manderà acqua a pressione anche nell’orto dove già crescono cipolle, melanzane, pomodori. Infine, due edifici più piccoli in direzione del paese: sono l’infermeria e il dispensario dei medicinali. Nel progetto c’è già la costruzione dell’ostello dei volontari – costo 30mila euro – mentre diventa un obbiettivo realizzare anche una sala parto per le donne dei villaggi. Per l’adozione a distanza dei bimbi dell’orfanotrofio si sono già fatte avanti aziende e parrocchie. E questo sarà, insieme all’agricoltura, il modo principale per assicurare un futuro a Casa Matteo.