Vita Chiesa
Casa Matteo: dal dolore è nato un grande progetto d’amore
Come è andato il viaggio?
«Il viaggio è stato bello, impressionante, faticoso e carico di mozioni. Il gruppo è stato variamente composito, persone ben disposte a lasciarsi coinvolgere dalle situazioni di sofferenza che abbiamo incontrato. Persone capaci, professionalmente preparate e generose».
Il progetto Matteo partì da un suo consiglio, ci vuole raccontare come è andata?
«Io sono stato la spinta “lievissima” iniziale, in realtà Walter e Carla hanno fatto molto da soli. Il movimento Shalom aveva un progetto nella zona di Gorom Gorom, una zona desertica del nord del Burkina Faso, e i genitori di Matteo lo hanno assunto come impegno».
Con questo progetto è stata realizzata una casa per i bambini, relativamente moderna; quale è il rapporto tra questa costruzione e la realtà che c’è intorno?
«Gorom Gorom è un paese senza strade, perché le strade sono piste, dove quando c’è vento la sabbia va dove le pare. Le case sono fatte con le bozze d’argila, che è la stessa sabbia impastata. Questa struttura è più moderna ma non si allontana dagli standard di costruzione del Burkina. Lo stile è quello dell’architettura locale, ed è progettata secondo le loro linee culturali. E’ molto ampia, e ha un numero limitato di posti letto per ogni stanza».
Gorom Gorom è un territorio a prevalenza musulmana. Come fanno le suore a gestire questi bambini rispettando la loro fede islamica?
«Il rispetto, e il bene che viene fatto, è alla persona, di qualsiasi fede o cultura essa sia. Bisogna considerare però che la primo bisogno di quei giovani è quello di vivere. Per noi è difficile pensarlo, ma lì le cose necessarie sono l’acqua, il cibo, la salute. I bisogni essenziali. Gia oggi i bambini musulmani e cristiani vanno nella stessa scuola, non vi sono problemi di integrazione».
Questa costruzione ha raccolto più di 300.000 euro di offerte fino ad oggi. Lei che l’ha vista quale pensa che sarà il futuro di questa struttura? Potrà riuscire a sopravvivere autonomamente quando le offerte italiane finiranno?
«Le offerte erano finalizzate alla costruzione. È stato fatto un calcolo d’esercizio per la casa, le cui spese che per alcuni anni verranno coperte dalle offerte raccolte qui dall’Italia. Il progetto prevede che attraverso la coltivazione e vendita di ortaggi la struttura arrivi all’autonomia. Il problema è l’acqua che ad oggi non è sufficiente per annaffiare e fecondare il deserto».
Secondo lei ci potrà essere qualche tipo di cooperazione tra la diocesi di Massa Marittima-Piombino e quella di quei territori? E se è possibile in quali termini?
«La diocesi di Dori, comprende Gorom Gorom, Dori e Bani. Il territorio si è recentemente scorporato dalla diocesi di Fada N’Gourma. Il nuovo Vescovo, Gioacchino, sarà ordinato a breve. Lo abbiamo conosciuto e abbiamo parlato con lui. Poi vedremo».
C’è la possibilità che la Diocesi invii un altro sacerdote oltre a don Francesco in quei territori?
«La disponibilità da parte della Diocesi c’è, ma vanno valutate le possibilità. Dipende dalla disponibilità di sacerdoti, dalla loro disponibilità a partire come missionario e dalla collaborazione e le intese con le Diocesi destinatarie».
Qual è il messaggio che l’ha più colpita e che vuole lasciare di questo viaggio?
«Questo tipo di esperienze fanno bene, soprattutto allo spirito con il quale affronti tutti i problemi di ogni giorno, perché ti fanno capire il bisogno di tornare all’essenziale del vangelo e della vita. Abituati a molte cose, perdiamo di vista ciò che è davvero irrinunciabile e necessario. Mi ha colpito la gioia di questo popolo, è un popolo allegro, sereno, pacifico ed accogliente. Sembra incredibile, ma sorridono e cantano».