Vita Chiesa
A scuola di preghiera/1
Ognuno di noi è potuto crescere non soltanto perché qualcuno lo ha nutrito ma anche perché qualcuno gli ha parlato. Noi viviamo di relazioni e la preghiera è una relazione. Quando prego mi metto di fronte a un Tu che è Altro da me e al tempo stesso è a me così vicino, così intimo, perché questo Tu è Dio, quel Dio nel quale un giorno sono stato «immerso»: battezzato, appunto, nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Prego ogni giorno perché ci tengo che questa relazione si mantenga, si approfondisca e si rafforzi, perché è la mia vita.
Quando preghi adempi al primo comandamento perché metti in pratica tutte queste cose, dunque pregare è doveroso. La preghiera consiste infatti nel rivolgersi al Tu con tutto te stesso: con tutte le forze, perché sottrai del tempo alle tue occupazioni, disponi il tuo corpo in un atteggiamento consono, ti sforzi di concentrarti; con tutta la tua mente perché sei lì per pensare solo al Signore, cercando di vincere le distrazioni e a Lui indirizzi tutte le tue energie mentali; con tutto il cuore, perché tutto il tuo affetto in quel momento è rivolto a Lui e vuoi riempirti di Lui. Tutto ciò comporta una decisione consapevole: un bene così prezioso non può essere lasciato al caso o allo spontaneismo, al «pregare quando mi sento».
Come potremmo, per altro, affrontare il deserto, ovvero i momenti di aridità interiore che sono parte integrante e necessaria di ogni seria esperienza di preghiera? I momenti di aridità purificano la fede e la rendono più forte, per questo sono necessari. Perchè, dunque, preghi? Non tanto per rilassarti, per stare tranquillo o per ricevere consolazioni interiori ma piuttosto perché cerchi Dio e Lui solo. La preghiera è ri-centrarsi in Dio, ponendolo in cima ai nostri pensieri, ai nostri affetti, alle nostre preoccupazioni. Da questo atto la persona si rigenera, nutre la propria fede, costruisce la propria unità interiore che la mette nella condizione di avvertire chiaramente in ogni momento il senso di quello che è e di quello che fa, di relativizzare i problemi e di elevarsi sopra i propri affanni. «Cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia» e il resto vi sarà dato in aggiunta. I sacramenti ci innestano in Cristo ma la nostra crescita in Lui dipende dalle nostre opere e la preghiera è un’opera indispensabile. Anche quando preghi perché ti trovi nel bisogno, ti avvicini a Dio. Diceva San Bernardo: «Le frequenti tribolazioni portano l’uomo a pregare frequentemente Dio; il pregarlo frequentemente porta a gustarne la soavità e nel gustarlo si prova quanto è dolce il Signore. Così avviene che si è spinti ad amare Dio dalla sua soavità che si è gustata, più che dalla nostra necessità che urge».
In Racconti di un pellegrino russo, buon libro sul potere trasformante della preghiera, si legge: «Molte sono le opere buone che si richiedono al cristiano, ma l’opera della preghiera deve venire prima di ogni altra, perché nessuna opera buona può essere fatta senza di essa. (…) “Acquista la madre ed ella ti darà una discendenza,” dice sant’Isacco il Siro, “impara prima di tutto a pregare e non ti sarà difficile praticare tutte le virtù”».
«Preghiera» diventa «esperienza di Dio». Nello stile semplice, popolare, immediato, spontaneo, festoso, vivace, aggregativo, schietto, ma anche sincero, profondo, coraggioso, impegnato come lo è il volto giovanile della Chiesa. Don Bosco prega con i suoi ragazzi, per i suoi ragazzi, come i suoi ragazzi. Non voleva gesti, riti, tempi, modalità speciali. Chiedeva cose «semplici» e «facili» attraverso cui tutti potessero incontrare Dio, il Cristo Gesù, la Vergine Maria. Se in qualche tratto la sua «preghiera» (intesa come esperienza di vita in relazione a Dio più che come parola o rito compiuti) insegnata ai giovani può dirsi sbilanciata, lo è in favore del realismo e della concretezza che sempre hanno caratterizzato il suo impegno pastorale in un tempo spinto alla modernità, all’intraprendenza, all’attivismo che spingeva ad escludere Dio dalla concretezza della storia. Senza perdere di profondità e di bisogno costante di interiorità la preghiera giovanile che Don Bosco ha vissuto e insegnato, era una preghiera che si faceva operatività, azione, intraprendenza. Oggi i Salesiani lo ripetono con una espressione incisiva e pregnante: «contemplativi nell’azione», capaci di «estasi dell’azione». Obiettivi alti che coniugano il bisogno di cercare e contemplare «il volto di Dio», anche nella storia quotidiana, e il bisogno di immergersi nella fatica per cambiare il nostro mondo (quale giovane non si sente spinto su questa prospettiva?). Di qui un grande esercizio educativo che è ascesi, apprendimento, riflessione, ascolto, esperienza.
Nell’ambito della spiritualità giovanile salesiana si sono moltiplicate le «Scuole di preghiera» (convinti che «a pregare si impara»), le esperienze forti di formazione e di preparazione di «Animatori» (giovani che hanno risposto alla vocazione di essere «giovani per i giovani» nello stile della passione educativa di Don Bosco), gli strumenti educativi che mirano a maturare nei giovani più «normali» (ma anche in quelli che a volte hanno la loro vita segnata da esperienze negative o compromettenti) la capacità di esprimere la propria «familiarità» con Dio, accolto come Padre.