Vita Chiesa
A scuola di preghiera/3: le parole
Il Figlio è la Parola definitiva che il Padre ci ha rivolto e pregare significa attingere ed entrare in modo misterioso nella preghiera che il Figlio rivolge al Padre, imparare da Lui a chiamare Dio con il nome di Padre. La liturgia quaresimale ci suggerisce anche di non moltiplicare le parole, ma di entrare nella propria stanza e pregare nel segreto. Dice un autore monastico del XII secolo: « ti renderai conto con quale difficoltà talora entri nella cameretta del tuo cuore per trovarvi una spelonca, dove seppellirti, in certo modo, lungi da tutte le cose del mondo e pregare il Padre tuo nel segreto. Sembra talvolta che il cuore si sia indurito come un macigno. Si direbbe che una montagna si sia parata dinanzi, impedendo ogni sguardo interiore sulle cose spirituali; finché non arriva il vento forte e gagliardo che spiana i monti e spezza le pietre davanti al Signore». (Elredo di Rielvaux, «Gesù a dodici anni», Morcelliana).
Con quali parole pregare quando molto spesso ci troviamo disorientati o confusi, con il cuore indurito come un macigno?
C’è un parallelismo tra lo Spirito nascosto nella lettera e il Verbo celato nella nostra carne, un parallelismo che è anche una pedagogia perché per la stessa via per la quale l’esperienza di Dio si fa raggiungibile dall’uomo, l’uomo può camminare per giungere a Dio.
«Quanto a noi, camminando con cautela e semplicità nell’esposizione del sacro e mistico eloquio, seguiamo l’usanza della Scrittura che espone con parole nostre la sapienza nascosta nel mistero; fa entrare nei nostri affetti Dio, mentre ce lo rappresenta con figure; e insinua nelle umane menti gli attributi sconosciuti e invisibili di Dio, che sono cose preziose, con similitudini note di cose sensibili, e di vile materia». (Bernardo di Chiaravalle, Sermoni sul Cantico dei Cantici)
La sapienza di Dio usa le semplici parole umane come «contenitori» della rivelazione della sua Vita e del suo disegno di salvezza. Sono le stesse parole e immagini che noi possiamo usare con maggior frutto per aprire a Dio la nostra umana esperienza e lasciare che sia raggiunta e trasformata dalla sua Verità.
Chi prega con i salmi usa una preghiera che è di un singolo, ma anche di un popolo, e la sua personale esperienza di dolore o di gioia, di speranza o di timore, trova il compimento pieno nella Gerusalemme dove Dio abita, nella Chiesa, figura della Gerusalemme eterna che attende di esser raggiunta alla fine del pellegrinaggio terreno: «Quanto sono amabili le tue dimore, signore degli eserciti!» (Salmo 83) La casa di Dio è il luogo dove l’uomo ritrova la sua origine, e i salmi non sono altro che la preghiera del ritorno alla casa del Padre.
Prima di insegnare ai suoi discepoli a pregare «Quando pregate dite: Padre» (Lc 11,2) Gesù ha imparato lui stesso a pregare con i salmi, così come sua Madre, Maria di Nazareth; sono le preghiere del popolo di Israele che i nostri padri hanno ricevuto da Mosè e dai profeti, e che usati nel lungo cammino di schiavitù e di liberazione, di terra promessa e di esilio sono diventati anche per il popolo cristiano il canto del cammino, il pane del deserto.
«O Dio, vieni a salvarmi» (salmo 69): ogni Ora dell’Ufficio Divino inizia con questo che è il versetto di un salmo. Gli antichi monaci dicevano che questa era la forma della preghiera per eccellenza. In quante situazioni non sappiamo cosa fare, come scegliere, che posizione prendere… O Dio, vieni a salvarmi, donami il senso profondo di tutta la mia vita così che ogni scelta ne sia illuminata.
I salmi sono una vera miniera di espressioni di preghiera semplici e adatte ad ogni circostanza. Sono nella gioia perché la felicità mi arride, perché le cose vanno bene, «O Dio, mio Re, voglio esaltarti» (Salmo 144); sono in quella acutezza di commozione emotiva, di vibrazione profonda che nasce da un incontro, da un avvenimento che tocca le corde più profonde della mia esistenza «Effonde il mio cuore liete parole, io canto al Re il mio poema» (Salmo 44).
I salmi sono canti da eseguirsi con accompagnamento di strumenti musicali, e sono nati per essere cantati da un popolo: «Non c’è strumento che possa meglio affinare il cuore umano – il cuore umano come parte di un popolo, perciò di una comunione – più del canto. Non c’è niente che dia gloria a Cristo più del canto». (Luigi Giussani, «Tutta la terra desidera il tuo volto»).
Sto godendo lo spettacolo sereno di un bel tramonto o sono già sveglia in una di quelle albe trasparenti come madreperla, e godo della luce del sole che accarezza le cime degli alberi, o gioca dietro le nubi lasciandole bordate di oro? «Benedici il Signore, anima mia, Signore mio Dio, quanto sei grande, rivestito di maestà e di splendore, avvolto di luce, come di un manto!» (Salmo 103)
Certo, non è sempre immediato e consapevole fare il passaggio dalle creature nella loro bellezza, alla Persona misteriosa del Creatore che in esse rivela qualcosa di sé, proprio per questo la parola del salmo non solo aiuta ad esprimere un’ esperienza umana di gioia autentica, ma educa questa gioia facendola diventare consapevole atto di fede nel Creatore e lode a Lui, suprema Bellezza e Bontà.
Ci sono poi situazioni in cui l’angoscia sembra prendere il sopravvento, in cui l’orizzonte è nero, non respiriamo nella speranza, ma siamo come sotto un’incombente minaccia: «Perché Signore stai lontano? Nel tempo dell’angoscia ti nascondi?» (Salmo 9) Posso così, con l’aiuto della parola ispirata, esprimere la fatica, dire l’angoscia della lontananza dal Signore e pregarlo invocandolo. Posso esprimere situazioni difficili, persecuzione, ingiustizia, con una parola che aiuta anche a uscire dalla difficoltà, con un atto di fede: «A Te si abbandona il misero, tu accogli, Signore il desiderio dei miseri». (Salmo 9).
Posso fare l’esperienza dell’errore, per fragilità o per colpa morale; il giusto, dice il salmo, «Se cade non rimane a terra, perché il Signore lo tiene per mano» (Salmo 36, 95), ma posso anche nella preghiera assumere la responsabilità delle mie azioni e chiederne perdono: «Riconosco la mia colpa» (Salmo 51), e così trovo «Beato l’uomo a cui è rimessa la colpa, e perdonato il peccato» (Salmo 31).