Vita Chiesa

Terra Santa: «Celebrare qui la Pasqua è un’emozione grande»

Che significa celebrare i giorni della Passione e della Resurrezione negli stessi luoghi di Cristo? «È un’emozione grande» afferma padre Pierbattista Pizzaballa, custode di Terra Santa. «La liturgia – spiega – è diversa e sottolinea qualcosa di particolare: quell’hic (qui) che risuona molto forte. Altro aspetto, bello anche se non dobbiamo nascondere le difficoltà, è che anche le altre Chiese cristiane contemporaneamente pregano con noi. Tutti, ciascuno con le proprie preghiere e i propri riti, pregano sugli stessi luoghi con una ‘sintonia’ di fede. Un assaggio di unità che si realizza nell’incontrarsi in ciò che ci unisce. Si resta toccati dalla fede della gente semplice e dalla bellezza della liturgia. Si avverte una grande forza». Da tutto questo nasce l’attenzione particolare che la Chiesa, in questi giorni, dedica alle comunità cristiane in Terra Santa.

«Già san Paolo, nelle sue lettere, parla di collette per la Chiesa madre di Gerusalemme, la più piccola e la più povera. Dal momento che le radici della Chiesa sono lì, Gerusalemme non appartiene alla chiesa locale ma a tutta la Chiesa. La colletta per i Luoghi Santi è una forma concreta di solidarietà e di unità con la Chiesa madre. I fondi che vengono raccolti sono utilizzati per il mantenimento delle opere delle differenti chiese di Gerusalemme e dei Luoghi Santi, scuole, santuari, istituti di carità e di assistenza».

Cosa insegnano i cristiani di Terra Santa, provati dalla violenza, a quelli dell’Occidente, forse troppo affievoliti nella fede?

«La piccola minoranza dei cristiani, schiacciata da tutti, poco presa in considerazione e povera sotto tanti punti di vista, è aggrappata alla sua identità e alle sue radici cristiane.È un modo per dire ‘noi ci siamo’ e ‘Gesù è qui con noi’. C’è una fierezza che va sottolineata».

Quest’anno la Pasqua si celebra in un clima di ottimismo per la ripresa del dialogo israelo-palestinese. Questo nuovo clima può influenzare i Paesi vicini (Libano, Arabia, Siria, Iraq…) e ridare equilibrio all’ordine mondiale?

«È ancora presto. L’impressione è quella di trovarci davanti ad una nuova pagina non solo per la Terra Santa ma di tutto il Medio Oriente. Gli avvenimenti del Libano, fino a qualche anno fa erano impensabili. Qualcosa si sta muovendo in bene ed in modo pacifico. Le autorità palestinesi hanno vietato agli Imam linguaggi violenti. Sono atteggiamenti che se mantenuti porteranno frutto. La Chiesa è chiamata a pregare per questo».

Il pellegrinaggio in Terra Santa è anche un gesto di sostegno ai cristiani locali. Che significa farsi pellegrino e come tradurlo a chi vuole recarsi nei Luoghi Santi?

«Innanzitutto non c’è nessun timore per i pellegrini in Terra Santa. Tanti pellegrini stanno tornando. Pellegrino in Terra Santa significa tornare al Vangelo. Leggere il Vangelo qui scuote e suscita nuove domande di fede».Daniele Rocchi