Vita Chiesa

Nel nuovo Papa cerchiamo un padre

Mentre scrivo, siamo ancora nell’attesa trepidante della «buona notizia»; il Conclave è cominciato e da quel momento il nostro tempo è abitato da un’unica invocazione, continua e accorata: Vieni Spirito Santo, vieni, vieni. Ma, quasi certamente, quando queste righe entreranno nelle vostre case avremo già udito l’annuncio solenne e festoso: «Nuntio vobis gaudium magnum: habemus Papam!».

La Chiesa sussulta per una grande gioia: abbiamo un Padre! Ecco perché noi tutti esultiamo: siamo figli, e figli non più orfani. Questa è la Chiesa, nostra Madre, come l’ha voluta Gesù per noi, come Lui l’ha pensata e costituita, come Lui l’ha generata dalla croce, donando il suo Spirito: «Donna, ecco tuo figlio; figlio, ecco tua Madre» (cfr. Gv 19,26-27). Di questa Madre – la Chiesa – il Papa è il custode; in questa famiglia – la Chiesa – il Papa è il Padre. Ecco ciò che è stato fino in fondo e con tutto se stesso Giovanni Paolo II. La profonda consapevolezza della sua paternità lo ha spinto a cercare i suoi figli fino agli estremi confini della terra, e lo reso attento a tutti e a ciascuno. Dal suo cuore di Padre è sgorgata con tenerezza la sua profonda compassione, che lo ha reso vicino ad ogni uomo, consonante con ogni gioia e ogni dolore, sensibile ad ogni problema dell’uomo di oggi. Dalla sua responsabilità paterna deriva anche la forza con cui egli ha sempre annunciato e difeso la verità, senza sconti e compromessi, come uno che sa di avere il dovere di educare ed orientare i suoi figli. Ognuno di noi si è sentito da lui amato e riconosciuto come fosse l’unico, il prediletto. Chiamarlo «santo Padre» non è mai stata una formalità, ma un bisogno. Questa sua esistenziale e radicale paternità è anche il contenuto primo della sua santità.

«Che cosa siete venuti a cercare?» chiese il Papa ai giovani riuniti in piazza san Pietro per il Grande Giubileo. E la stessa domanda affiorava al mio cuore, vedendo la folla smisurata che per giorni e giorni, da appena appresa la notizia della sua dolorosa agonia, ha letteralmente «abitato» la stessa piazza … La risposta, come in un silenzioso ma continuo dialogo fra il Padre e i suoi figli, l’ha pronunciata lui stesso, lasciandoci così le sue ultime parole: «Io vi ho cercati, e ora voi siete venuti …. Ed io vi ringrazio!». Esercitando con amore la sua paternità ci ha fatto scoprire che siamo «figli»: e da questo amore generante è scaturita come un’ esigenza insopprimibile la risposta della gente: ognuno era lì non sotto una bandiera o per appartenenza ad un movimento ecclesiale o ad un’associazione, bensì a titolo personale, perché ha sentito di doverci essere, proprio lui, proprio allora, a qualunque costo. Ognuno ha riconosciuto di avere un debito personale con Giovanni Paolo II, qualcosa per cui ringraziare, qualcosa da restituire. Si stava in fila come si fosse in casa propria, per qualcosa che ci riguardava personalmente, per un fatto di famiglia. Il tributo offerto al Papa non è stato un dovere di circostanza, ma un atto di amore sinceramente filiale di chi si è sentito amato per primo, la risposta ad una parola che per prima ci è stata rivolta, uno sguardo ricambiato da chi si è sentito per primo riconosciuto, perché lui è riuscito a dire ad ognuno di noi, come fosse l’unico: Tu mi riguardi!

Ormai ci sentiamo «figli», e questo ci attendiamo dal nuovo Papa, questo desideriamo: che ci sia ancora Padre; infallibile nella sua paternità, misericordioso nel farsi prossimo, coraggioso nel condurci, severo nell’educarci, capace di consolare, sostenere, incoraggiare: uno che non abbia paura di aprirci le porte del cielo.a cura delle Clarisse di San Casciano Val di Pesa