Vita Chiesa

L’umile confessione del nuovo Pastore

In questo momento, io debole servitore di Dio devo assumere questo compito inaudito, che realmente supera ogni capacità umana. Come posso fare questo? Come sarò in grado di farlo?». Stupiscono queste parole con cui il Papa Benedetto XVI si è presentato alla Chiesa e al mondo nell’omelia di inizio del suo Ministero petrino il 24 aprile scorso.

Stupisce l’umile confessione di un Uomo, già vescovo e cardinale di santa romana Chiesa, da pochi giorni divenuto Papa, che si pone davanti a tutti nella trasparenza dei suoi sentimenti e delle sue emozioni. Egli parla di sé senza apparente timore, quasi in colloquiale confidenza. E noi che ascoltiamo con trepidazione le parole del nuovo Pastore della Chiesa universale, cogliamo immediatamente nelle sue parole pacate e nel suo volto sereno l’atteggiamento di chi vuole lanciare un ponte di amicizia verso coloro che gli sono affidati, l’intero popolo di Dio – e in questo ciascuno di noi. E non solo: anche verso «coloro che, rinati nel sacramento del Battesimo, non sono ancora in piena comunione con noi» e «verso i fratelli del popolo ebraico»; infine «verso tutti gli uomini del nostro tempo, credenti e non credenti».

«Non sono solo – ha proseguito il Pontefice -. Non devo portare da solo ciò che in realtà non potrei mai portare da solo. …Il Vostro amore, la Vostra fede e la Vostra speranza mi accompagnano». E ancora, poco dopo, il reiterato invito: «Pregate per me, perché io impari ad amare sempre più il Signore. Pregate per me…».

Dopo il grande Giovanni Paolo II, forte nell’intrepida fedeltà al mandato apostolico testimoniato senza flessioni fino alla fine, pur nel progressivo disfacimento del corpo; dopo un Papa che ha consolidato forme di pastoralità e di sollecitudine per la Chiesa espresse in relazioni di calda umanità, ecco ora un Pastore che si affida ai suoi figli e che, mentre non esita a identificare il suo programma di governo nell’umile ricerca della volontà di Dio, paventa il pericolo della fuga davanti ai lupi e chiede l’aiuto della preghiera. Ecco un Uomo che nella piena consapevolezza di un ministero superiore alle sue possibilità umane si stringe ai fratelli nella fede, e scrive nella storia l’icona di una Chiesa sempre più comunionale, avente Pietro al centro ma pure personalmente interpellata in ciascuno di noi.E noi, come rispondiamo alla paterna e fraterna provocazione del santo Padre Benedetto XVI? Vogliamo apprendere da lui la lezione di un amore limpido, espresso in confessione dell’assoluto primato di Cristo oggi più che mai vivo nella sua Chiesa?

«Non abbiate paura, aprite anzi spalancate le porte a Cristo!» – ha ribadito Benedetto XVI al termine della sua omelia riprendendo l’invito del suo Predecessore e rivolgendosi in particolare ai giovani. Cristo ci porta via solo ciò che deforma la nostra identità di persone e di figli di Dio («il dominio della corruzione, dello stravolgimento del diritto, dell’arbitrio…») dandoci la pienezza della vera felicità, poiché «chi fa entrare Cristo, non perde nulla, assolutamente nulla di ciò che rende la vita libera, bella e grande».

È l’assicurazione certa, e nel contempo la coraggiosa sfida di un eccellente Teologo approdato all’oceano dell’Amore, che tutti chiama a conversione. Perché, al di là di complesse dissertazioni o verbose asserzioni sulla fede, torniamo a Cristo, fondamento della storia e unico senso di ogni vita umana.a cura delle Clarisse di San Casciano Val di Pesa